Vorremmo iniziare questa recensione de The Crow – Il corvo con una preghiera, cioè di non soffermarsi solo sul voto o, quantomeno, di non saltare subito a quello. Volendo ci possiamo anche togliere subito il pensiero: questo remake (o reboot, ormai non ci capiamo più nulla, anche se al 99% l’avventura finirà qui) del cult più o meno omonimo del 1994 diretto da Alex Proyas non funziona. Non è sufficiente, non è ben pensato, non è ben realizzato e, con tutta probabilità, neanche così ben recitato.
Diventa allora interessante, per chi ha di questi feticismi, capire i motivi dietro la realizzazione di un’operazione del genere, che da anni è in cantiere e da anni viene puntualmente stoppata per motivi vari ed eventuali. C’è una motivazione creativa? Una spinta commerciale? Una scommessa persa da parte di qualcuno che conta, una congiunzione astrale o, peggio, planetaria in stile Hercules, oppure, ancora, un giro riciclaggio di denaro? Non lo sapremo mai, ma possiamo provare ad ipotizzare.
La pellicola diretta da Rupert Sanders e con protagonista Bill Skarsgård, nelle sale italiane dal 28 agosto 2024, parte da un deficit importante, che è quello di doversi confrontare con un film che nel corso del tempo è divenuto sempre più materia aerosa nelle menti degli appassionati perché si è man mano allontanato dalla sua definizione audiovisiva per approdare ad un’eternità donatagli dalla tragica morte di Brandon Lee. Tantissime persone che hanno sentito parlare de Il corvo o sanno cos’è, lo sanno proprio a causa di quel tragico incidente. Quando bisogna confrontarsi con qualcosa che è divenuto altro da sé si perde in partenza, quindi, si è cercato di sfruttare l’immaginario cercando un aggiornamento contemporaneo, anche in virtù di una possibilità di mercato che prevede un momento di grande confusione nei cinecomics. Un marasma in cui ci si può provare ad infilare. Si tratta di un’ipotesi ibrida, ce ne rendiamo conto, ma probabilmente è la migliore per ragionare su un malinteso da entrambi questi fondamentali punti di vista.
Problemi di adattamento
L’aggiornamento di un testo passa dalla sua profonda comprensione. Non è possibile altrimenti riuscire a manipolarlo in nessun modo, figurarsi riuscire a plasmarlo al punto da prenderlo dal suo contesto storico e semantico di riferimento e trasportarlo in tutt’altro. Probabilmente non ci era riuscito a pieno neanche Proyas quando ha adattato il fumetto di James O’Barr, sul quale ha deciso di innestare una profonda riflessione sulla sofferenza e sulla forza dell’amore. L’idea del film del 1994, per quanto non così tanto felice (ce lo perdoneranno i cultori della pellicola), aveva però il merito di aver capito la storia originale al punto da riuscire ad alterarla senza perderne il senso profondo, magari inglobandolo, tagliandolo in un altro modo, ma tenendola sempre presente.
Il primo (grande) problema di The Crow – Il corvo si può rintracciare qui, dal momento che non riesce a mettere a fuoco i suoi punti di partenza e decide di recuperare una veste, un abito, un velo, con cui coprire un’incomprensione che però esce fuori quasi subito e a farne le spese per primo è probabilmente proprio colui che ci doveva sfilare sulla passerella, il più piccolo dei Skarsgård. Che è poi è uno dei motivi di esistenza di una pellicola del genere, dato che nel corso della sua travagliata storia produttiva ha visto l’avvicendarsi di tantissimi nomi per raccogliere l’eredità della rockstar interpretata da Lee.
Il motivo dell’incomprensione passa dal non avere un riferimento preciso da cui partire e dunque dalla mancanza di una prospettiva decisa che possa muovere l’adattamento. Non si capisce se la scrittura del film di Sanders parta dall’intenzione di essere un film generazionale in cui descrivere una parabola di un protagonista mosso da un trauma in cerca della propria libertà opponendosi ad un vecchio villain (randomico, come quelli in cui si è specializzato Danny Huston, che va bene ovunque giusto perché dopo un po’ te lo dimentichi sempre) con il potere di controllare tutti, una metafora della lotta per l’emancipazione “giovani vs. vecchi”. Non si capisce se invece lo muova la voglia di cavalcare l’idea della trasposizione precedente in cui si cercava di intercettare l’amore in una storia di vendetta o, invece, se sia un revenge movie vero e proprio da dove partire per fare saga.
Tante idee, con tutta probabilità anche un filino troppe, la cui confusione ha portato allo sfilacciamento dell’essenza della storia e che nella resa non ha premiato in nessun caso, anche e soprattutto per la manifesta incapacità o, forse meglio, il progressivo disinteresse nel percorrere sul serio una delle idee messe in campo. Un peccato vista la sufficiente validità di ognuna, tanto da essere intercettabili nel titolo, ma mai legate, mai perfettamente a fuoco e, cosa imperdonabile, neanche minimamente amalgamate.
Si, ma Il corvo dov’è?
La storia in The Crow – Il corvo è evocata, anzi, sussurrata, come se desse per scontato che al pubblico interessi solamente un aspetto di essa e abbia già in sé tutte le conoscenze per mettere assieme i pezzi. Un sogno come antefatto, poi nulla più, il nuovo Eric ha un sacco di tatuaggi, è affetto da mutismo e si trova in rehab, dove conosce la nuova Shelly (interpretata dalla cantautrice FKA twigs, pseudonimo di Tahliah Debrett Barnett) e improvvisamente riacquista la parola. I due si innamorano. Lei è braccata da un gruppo di cattivi e quindi i due scappano, bevono, si drogano e fanno i falò in spiagg… ehm, nei boschi. Una vita meravigliosa fino a quando succede il fattaccio.
Da qui si innesca una meccanica origin story con tanto di maestro a far da guida, in cui il nostro antieroe capisce cosa può fare con il suo potere, più o meno da dove proviene e più o meno cosa può farci. Ecco quindi che inizia la storia di vendetta e la lunga striscia di sangue che porterà il nostro al gran finale, che è diverso rispetto all’originale e all’adattamento precedente e quindi non ve lo diciamo. Vi basti sapere che è l’ennesima scelta che dimostra come ci sia veramente stata poca chiarezza su dove indirizzare un’operazione del genere.
E allora l’anima della storia de Il corvo dove? La si può intravedere in delle scenografie a metà tra il gotico e il patinato e nella volontà di tornare ad un underground molto anni 90, in un dualismo reiterato tra luce e ombra, vita e morte e via discorrendo, in una colonna sonora emo rock molto commerciale e nella prova del protagonista molto confuso. Bill Skarsgård è un attore che ha fatto della particolarità del proprio viso e del proprio corpo in generale il suo strumento di lavoro per eccellenza ed ha quindi bisogno di essere messo nelle condizioni di impressionare lo spettatore in modo preciso. Qui viene invece depotenziato, costretto a tenere insieme una storia mal raccordata, invece di esserne una personificazione potenziata.
Il risultato è che l’essenza di de The Crow – Il corvo esiste, quando va bene, di soluzioni elementari, anche piuttosto pigre, e, quando va male, non esiste proprio, persa nei meandri di una pellicola che probabilmente ha capito solo a livello superficiale il materiale che doveva invece ripresentare al pubblico al quale ha invece mostrato una versione che è solo un eco lontano, neanche troppo convinto. E dire che le intenzioni con cui in film è stato fatto erano sufficienti per fare meglio di un risultato che fa dire: “I fan avranno sempre il cult del 1994“.
Nella recensione de Il corvo - The Crow di Rupert Sanders abbiamo analizzato i motivi che lo hanno portato ad essere un grande malinteso da tutti i punti di vista, al punto da risucchiare anche Bill Skarsgård, che doveva essere una delle fondamenta dell'intera operazione. Un'operazione dalle troppe anime, che non da mai il sentore di fidarsi della strada da percorrere e che finisce con il far sparire anche la storia che l'ha ispirata.
- Le intenzioni non erano neanche male, infatti si vedono, ma non riescono mai a connettersi.
- La scrittura è sfilacciata in troppe anime.
- Il film è scolastico e pigro nello sviluppo e nella messa in scena.
- Gli attori appaiono molto confusi sul registro da tenere.
- La struttura è contradditoria e neanche riesce ad intrattenere.