Insomma, nella vita non è mai troppo tardi per le prime volte. È così anche per chi è più pessimista e pigro della media nazionale (forse internazionale). Magari a chi è così serve solo un tempo maggiore rispetto ad altri più avventurosi. Un tempo maggiore tipo 54 anni e 50 film per arrivare a fare il primo non in lingua inglese e a farlo anche bene, anzi, benissimo, pur essendo un cineasta statunitense (meglio, newyorkese), uno di quelli più pessimisti e pigri della media nazionale.
Nella recensione di Coup de chance vi parliamo della nuova fatica di sua maestà Woody Allen, presentata Fuori concorso all’80esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in sala dal 6 dicembre con Lucky Red. La sua prima non anglofona, ma in lingua francese, fatta all’età di 88 anni. Anche se a vedere le prove del cast, in cui troviamo due nomi importanti, Valérie Lemercier e Melvil Poupaud, e due ancora piuttosto “freschi”, Lou de Laâge e Niels Schneider, non sembra che questo ostacolo linguistico abbia influenzato troppo la direzione attoriale né tanto meno la regia del film. A dirla tutta a volte non sembra neanche di essere a Parigi.
Insomma nella vita non è mai troppo tardi per le prime volte. È così anche per chi è più pessimista e pigro della media nazionale (forse internazionale).
Non è invece certamente la prima volta che Allen dà prova di essere un Maestro. In questo caso però costruisce probabilmente la pellicola migliore degli ultimi anni e lo fa in mono apparentemente naturale, perché si tratta di un film d’altri tempi da tanti punti di vista. Due su tutti, la libertà con quale mette in scena la moralità dei suoi personaggi e la maniera con cui utilizza dei meccanismi “hitchcockiani” per far girare la parte thriller. Perché stiamo parlando di una pellicola thriller.
Il cineasta di fatto riprende, come altre volte in passato, tematiche, situazioni, topoi che già ha affrontato più volte nel corso della sua lunghissima carriera (nello specifico qui si rivedono Match Point e Crimini e misfatti), ma si spinge oltre, arrivando a farne un controcampo originale e quindi mostrando un lato inedito, quasi più ottimista, anzi, meglio, tragicamente divertito, unendo nostalgia e casualità. Due delle sue compagne di viaggio predilette.
Il caso non esiste
Che belli Jean (Poupaud) e Fanny (de Laâge)! Ricchi, in forma, sorridenti, con una casa in campagna, un’autista personale e un parterre di amici talmente annoiati da esprimersi solamente per giudizi sommari e pettegolezzi vari ed eventuali. Tutto ciò che si addice ad una coppia da copertina. Per carità, ogni tanto a lei viene il sospetto di essere una moglie trofeo, ma nulla di particolare, le questioni irrisolte le abbiamo un po’ tutti. Suo marito, per esempio, spende una marea di tempo e soldi per i trenini elettrici.
Vivono una realtà voluta e costruita nel tempo. Una realtà di quelle che non ti cadono dal cielo e per le quali devi sudare tutta una vita. Una di quelle solide, che il caso non può creare e dunque neanche sfasciare.
E invece un pomeriggio qualunque Fanny con il caso ci fa i conti, sotto forma di un affascinate ex compagno di liceo, tale Alain (Schneider), da sempre innamorato della ragazza e che, in pieno stile Allen, si trova a Parigi per scrivere il suo libro di poesie dopo un lungo itinerare. Incontro fortunato o invece tutto il contrario?
Vivono una realtà voluta e costruita nel tempo. Una realtà di quelle che non ti cadono dal cielo e per quali devi sudare tutta una vita. Una di quelle solide, che il caso non può creare e dunque neanche sfasciare.
Dipende dai sensi di colpa di Fanny, che subisce la più tentatrice tra le corti: quella che proviene dalla nostalgia per una vita che poteva vivere e non ha vissuto, ora pronta a darle una seconda possibilità. D’altro canto però c’è la realtà solida di cui sopra, costruita con un uomo che la ama.
Ecco, Jean è uno di quelli che crede fermamente che la fortuna non esista, che uno non si possa affidare al destino e che quando si vuole una cosa bisogna fare di tutto per ottenerla e per mantenerla. Chissà come la prenderebbe lui se il caso si presentasse alla sua porta.
Coup de Maître
Coup de Chance è un film che utilizza il solito triangolo amoroso alleniano per imbastire un thriller filosofico, di quelli liberi da qualsiasi tipo di vincolo morale e che non si preoccupano di giustificare le azioni di qualsivoglia dei suoi personaggi. Un tipo di film che si vede sempre meno al giorno d’oggi e che il regista ha già fatto, ma non propriamente in questo modo.
Allen si interroga di nuovo sulle sue posizioni riguardo l’esistenza della fortuna e, come solo i più grandi sanno fare, riesce a piegare il suo linguaggio, dall’intreccio all’approccio, al servizio dello scopo, pur rimanendo straordinariamente coerente con se stesso. Il tutto preoccupandosi soprattutto di fare cinema, che è sempre la cosa più importante.
Un tipo di film che si vede sempre meno al giorno d’oggi e che il regista ha già fatto, ma non propriamente in questo modo.
Quello che all’apparenza è semplicità, anche banalità, persino ripetitività nella fattispecie, nasconde una sapienza straordinaria e una complessità di fondo come sempre importante e approcciata con il solito punto di vista sagace. La capacità con la quale Allen riesce ad inserire la componente nostalgia il giusto per sfumare il suo thriller calorosamente illuminato da Vittorio Storaro vale il prezzo del biglietto, come dicono quelli bravi.
Coup de Chance è, in fin dei conti, un film che parla della nostalgia. Nello specifico parla del suo fascino, dell’attrattiva per il ricominciare da capo, per l’avere una seconda possibilità, costruendo un meccanismo tensivo tale da far rimanere lo spettatore inchiodato fino all’ultimo frame, in attesa dell’atto finale della lotta eterna tra la ferocia del caso, che distrugge e rimescola tutto, e quella disperata di chi lo ripudia, anzi, di chi lo ha combattuto per tutta la vita. Meraviglioso.
Coup de Chance arriva nelle sale italiane il 6 dicembre 2023 con Lucky Red.
Coup de Chance, presentato Fuori Concorso a Venezia 80, è il cinquantesimo film di Woody Allen e il suo primo non in lingua inglese. Una pellicola bellissima che utilizza uno dei soliti triangoli del cineasta per mettere in scena un thriller esistenziale sul conflitto tra la violenza del caso e quella di chi cerca di opporglisi. Allen rinnova il suo punto vista, si interroga di nuovo sulle sue posizioni e piega il suo cinema a questo, pur rimanendo di una coerenza totale. Il suo è un film sul fascino della nostalgia, pensato come un percorso per riflettere se la fortuna esista o meno. Il tutto con un tono da divertito nichilista con la solita capacità di parlare attraverso storie semplici. Una dote che appartiene solo ai più grandi di tutti.
- La fotografia di Vittorio Storaro.
- La libertà con la quale Allen costruisce l'intreccio e i personaggi.
- La semplicità con cui riesce a parlare di questione complesse.
- Il rinnovamento delle sue posizioni e del suo cinema pur rimanendo sempre coerente.
- Parigi non sembra Parigi, di fatto potrebbe essere ambientato ovunque.