Talk to me, nelle sale italiane dal 28 settembre 2023 con Midnight Factory, è uno di quegli horror che prende in giro lo spettatore, ma nell’accezione migliore e più intrattenente possibile.
L’opera prima dei fratelli Danny e Michael Philippou è un lavoro che si diverte a prendersi tutte le libertà che erano delle pellicole di serie B del genere, quando in America si era in piena sbornia slasher (quindi da fine anni ’70 in poi), per tramutare la solita metaforetta di matrice cattolica sui peccati degli adolescenti in una roba incredibilmente seria che gioca su ciò che più sta mettendo in crisi i teenager negli anni nostri: le difficoltà legata all’empatia. L’immaginario legato alle possessioni è la ciliegina su una torta preparata a dovere da due autori che volevano riprendere in mano un registro classico e cercare di renderlo contemporaneo.
Talk to me è uno di quegli horror che prende in giro lo spettatore, ma nell’accezione migliore e più intrattenente possibile.
Davvero niente male per due youtuber australiani (se non li conoscete allora l’invito è quello di andarvi a fare un giro sul loro canale, vi capiterà di imbattervi in qualcosa che potrebbe farvi capire perché sono stati in grado di fare un film del genere) al loro esordio alla regia di un lungometraggio, soprattutto se pensate che è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes nel 2022 prima di divenire l’horror dell’estate negli Stati Uniti.
A crederci è stato, non a caso, uno dei nuovi colossi del mondo della produzione e della distribuzione, ovvero la A24, un punto di riferimento per quanto riguarda il lancio di nuovi autori e una garanzia di qualità, anche a livello distributivo. Se una pellicola viene scelta da loro allora ha tutte le carte in regola per divenire un titolo di sicuro appeal per il pubblico internazionale e Talk to me non fa assolutamente eccezione (4 milioni e mezzo di dollari di produzione per un incasso che al momento ha superato i 65). Tra l’altro, è notizia del mese scorso che i fratelli Philippou sono a lavoro su un prequel proprio per la casa di produzione di New York.
90 secondi da sballo
Mia (Sophie Wilde) ha perso sua madre da un paio d’anni in uno dei modi più tragici possibili e non riesce ancora ad aprirsi con suo padre, che, come nelle migliori tradizioni, si trova inerme di fronte alla complessità di emozioni che la figlia sta vivendo. Fortuna che la ragazza ha una famiglia di scorta, rappresentata dalla sua migliore amica Jade (Alexandra Jensen) e il fratellino Riley (Joe Bird), i quali, insieme alla severissima mamma Sue (Miranda Otto), si sono sempre dimostrati accoglienti, comprensivi e calorosi nei confronti della ragazza, specialmente dal giorno lutto.
Nella sera dell’anniversario della morte della donna Mia convince Jade a portarla ad una festa, nonostante non fosse stata invitata perché poco simpatica al padrone di casa e nonostante la presenza del fidanzato dell’amica, che guarda caso è anche il suo ex. La ragazza alla fine ottiene quello che vuole, ma per farsi accettare nell’ambiente si propone come cavia per lo spasso del momento: le sedute spiritiche. Cosa volete, le cose cambiano.
Mia ha perso sua madre da un paio d’anni in uno dei modi più tragici possibili e non riesce ancora ad aprirsi con suo padre, che, come nelle migliori tradizioni, si trova inerme di fronte alla complessità di emozioni che la figlia sta vivendo.
Le regole sono semplici. Basta stringere una mano mummificata e pronunciare le parole “Talk to me” e “I let you in” in modo da permettere allo spirito di impossessarsi del proprio corpo, ma guai a superare i 90 secondi perché va bene essere accoglienti, ma poi l’ospite si potrebbe prenderci gusto.
Inutile dire che la cosa a Mia piacerà e anche troppo, il che porterà ad un incidente particolarmente traumatico che metterà accidentalmente la ragazza in contatto con la madre defunta, ma porterà anche gli eventi a precipitare molto velocemente verso un baratro senza ritorno sia per la ragazza che per tutti quante le persone loro malgrado coinvolte.
L’incubo peggiore è non poter comunicare
Talk to me si traveste da teen horror per poi imbastire un discorso che gioca su degli impianti molto collaudati del genere, come le possessioni e la condanna dello sballo che porta prima all’abuso e poi alla dipendenza, per invitare il pubblico ad una riflessione più profonda. Sempre mantenendo un approccio pop, libero e autoironico.
I fratelli Philippou filtrano con il concetto di empatia, vivisezionandolo in modo tale da renderlo il filo conduttore che muove il congegno orrorifico della pellicola. Non si tratta solo di una denuncia sulla sua mancanza nel mondo giovanile né sull’incapacità dei teenager di provarla in modo sano nei confronti dell’altro, ma della distorsione stessa di questa capacità. Come se fosse una caratteristica aliena per i personaggi della pellicola, dato che il trauma della morte della mamma per Mia sta nella nella mancanza di una verità certa dietro la sua scomparsa, dovuta anche alla non comunicazione tra figlia e padre.
L’empatia diviene dunque il mostro. La frase “Talk to me” è il canale per far entrare i demoni nella propria vita, la voglia di parlare con loro diventa la condanna per una famiglia, il divertimento dell’assistere ad un evento doloroso soppianta la consapevolezza (inghiottita dai video fatti con gli smartphone).
Talk to me si traveste da teen horror per poi imbastire un discorso che gioca su degli impianti molto collaudati del genere, come le possessioni e la condanna dello sballo che porta prima all’abuso e poi alla dipendenza, per invitare il pubblico ad una riflessione più profonda.
Empatia vuol dire anche lasciare andare. Vuol dire capire la sofferenza dell’altro e aiutarlo a passare oltre, a porre una fine alle sue pene oppure concludere una storia d’amore che non può andare avanti. L’empatia fa paura perché ci rende vulnerabili, perché non siamo in grado di essere coraggiosi, perché non siamo in grado di accettare le nostre verità e quelle degli altri. Eppure abbiamo bisogno di averla nella nostra vita perché rimanere soli è la cosa più terrificante che ci può essere, anche più di condannare qualcun altro per i nostri peccati.
Talk To me ci dice che dobbiamo cominciare a comunicare con gli altri e con noi stessi prima che sia troppo tardi. Prima di divenire parte di un processo in cui questa possibilità diviene una sua distorsione, una deriva più tossica e disimpegna, meno paurosa, ma svuotata di qualsiasi senso positivo. Il vero terrore è vivere in un mondo del genere.