L’ilarità fatale, nonostante sia molto rara, ha accompagnato l’Uomo fin dai tempi più remoti.
A metà tra la mitologia e la realtà, il primo a farne le spese fu l’oracolo Calcante. Calcante era a conoscenza che, una volta trovato qualcuno più bravo di lui nelle divinazioni, la morte sarebbe sopraggiunta.
Calcante un giorno incontrò Mopso, il quale lo battè in una serie di sfide atte a dimostrare la supremazia tra i due, dopo l’ultima sfida Calcante rimase ancora in vita, questo lo portò a ridere per la felicità per ore, fino alla morte… avverando così la profezia.
L’esempio sopra citato non può essere considerato una vera e propria prova dell’Ilarità fatale, la morte di Calcante viene descritta anche in una versione di Apollodoro, ma in questo caso l’oracolo muore per il dolore.
Tralasciando i casi non verificabili, raggiungiamo i giorni nostri: Il 24 marzo 1975, Alex Mitchell morì dopo 25 minuti di risate ininterrotte, risate scatenate dall’episodio di [b][url=http://it.wikipedia.org/wiki/The_Goodies_%28serie_televisiva%29]The Goodies[/url][/b] dal titolo [i]Kung Fu Kapers[/i] (qui sopra uno spezzone dell’episodio letale).
Nel 1989 invece, Ole Bentzen venne stroncato da un arresto cardiaco dovuto all’esponenziale aumento dei battiti (tra i 250 e i 300 al minuto). Il fattore scatenante fu il film: [i][url=http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=18187]Un pesce di nome Wanda[/url][/i].
Altro caso classificato come Ilarità fatale risale al 2003, a farne le spesa stavolta fu Damnoen Saen-um, il quale morì asfissiato nel sonno davanti agli occhi della moglie. La povera consorte racconta di aver tentato invano di svegliare il marito che rise per più di 60 minuti prima di spirare.
Una risata vi seppellirà… letteralmente.