Arrivati al trentesimo (!!) lungometraggio del Marvel Cinematic Universe – senza neanche contare, dunque, spin-off più o meno canonici e i numerosi serial televisivi, spesso molto importanti nell’organigramma della macrotrama – potremmo forse pensare di averle viste ormai tutte: eppure Black Panther: Wakanda Forever riesce comunque a stupire per come è stato pensato e realizzato, adattandosi e modellandosi su una tragedia avvenuta nel mondo reale che ne ha infinitamente condizionato l’ideazione e la messa in atto. Parliamo, naturalmente, della prematura morte di Chadwick Boseman, interprete di T’Challa / Black Panther nel primo film nonché in altre iterazioni del MCU, divenendo in breve tempo amatissimo dal pubblico.
Come gestire la cosa, in vista del secondo, praticamente obbligatorio, capitolo della saga? Il recasting era fuori discussione, ma gestire all’interno della storia una seconda morte del personaggio (dopo quella a indistinta opera di Thanos in Infinity War) “appena” resuscitato era difficile. Come, ad ogni modo, sarebbe stato difficile gestire il tono della pellicola, i passaggi di consegne, in generale non farsi imbavagliare e imbrigliare da una dipartita tragica e complessa in tutte le sue implicazioni.
Wakanda Forever, ve lo anticipiamo subito, ci riesce magnificamente, pur non risultando, però, un film così incisivo come ci si poteva aspettare.

La morte di un eroe, la nascita di altri eroi

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T’Challa è morto. E, con esso, Black Panther. Non importa tanto il come e il perché: nonostante tutti gli sforzi della sorella Shuri, l’amatissimo sovrano non ce l’ha fatta e ha lasciato il suo paese a piangere – o, meglio, a onorare – la sua dipartita, cercando di capire quale direzione avrebbe preso in futuro. T’Challa era un leader rispettato non solo in patria ma anche nel mondo intero: le Nazioni Unite si fidavano di quest’uomo che aveva dimostrato più volte di essere un eroe che aveva a cuore le sorti di tutte le genti del pianeta.
Tuttavia, un paese estremamente influente come il Wakanda, senza una leadership chiara, carismatica e fidata, fa paura: la regina Ramonda, tornata a gestire le sorti del paese in questo momento delicato, si trova a dover tirare fuori le unghie per farsi rispettare e per non cedere alle ingerenze altrui nella propria nazione, che per le riserve di Vibranio che vanta è chiaramente ambitissima.
Un altro popolo, maestoso quanto nascosto, tuttavia, sarà protagonista delle vicende di Wakanda Forever: si tratta degli abitanti del regno sommerso di Talocan, in Sud America, il cui monarca è Namor, potentissimo e riverito dai suoi sudditi. Minacciati dagli umani per via della presenza di vibranio nelle loro acque, non tardano ad allestire una rappresaglia, chiedendo ai wakandiani supporto visti gli intenti comuni di protezione delle proprie risorse, uniche al mondo.
La famiglia reale wakandiana si trova stretta tra due fuochi nel momento più difficile della sua storia, e alla principessa Shuri, con l’ausilio delle Dora Milaje e delle fidate Nakia e Okoye, spetta il compito di scovare il bandolo della matassa per trarsi d’impaccio. Bandolo che potrebbe essere nelle mani di un’altra giovanissima scienziata come lei, l’afroamericana Riri Williams.

La vita è mutamento

Black Panther: Wakanda Forever vive e viaggia su due livelli: da un lato è un classico film d’azione Marvel con supereroi alle prese con superproblemi e villain con richieste (dal loro punto di vista) ragionevoli ma alquanto radicali, dall’altro è un continuo atto d’amore verso Chadwick Boseman e il suo lascito, che si fondono incredibilmente con quello di T’Challa.
Come ripartire dopo un lutto che lascia spiazzati e più deboli e di prima? È possibile rialzarsi e fare la cosa giusta? Il film fornisce una risposta anche piuttosto elegante, sicuramente funzionale ai fini della trama. Sia Shuri che Namor sono due facce della stessa medaglia, investite di poteri regali, anzi semidivini, ma travolte dal peso dei propri doveri, che li costringe a prendere decisioni drastiche.

Letitia Wright è molto brava nel mostrare il tormento di Shuri, che fa molta tenerezza nel suo cambiamento avvenuto tra un film e l’altro: da ragazzina smart, spalla dalla battuta pronta, a determinatissima leader pronta a calcare le orme del fratellone, ma comunque decisa a trovare una strada tutta sua. Al contempo, Tenoch Huerta Mejia fa sua questa nuova versione di Namor, piuttosto diversa dalla controparte fumettistica ma che funziona bene nel contesto in cui è calata. Non era impresa facile rendere digeribili i singolari cambi al personaggio dovuti per non renderlo troppo similare, su schermo, all’Aquaman DC, e bisogna dire che il lavoro svolto in merito rende, per quanto rimanga in superficie. Huerta regala anche la giusta fisicità al ruolo, rendendolo credibile.
Così come il primo film, il nucleo centrale della storia riguarda due figure appartenenti a minoranze che devono lottare aspramente per la sopravvivenza della propria gente, mentre i potenti del mondo bianco li guardano da lontano, con sospetto, pronti a far fuoco indiscriminatamente verso qualunque apparente minaccia, che si tratti di una pantera in agguato o di una semplicemente ferita, ma che non vuol darsi per vinta.

MCU: ha ancora senso parlare di “film” comunemente intesi?

Se da un punto di vista narrativo, dunque, il film marcia in maniera abbastanza sostenuta e le due ore e quaranta non diventano mai pesanti da sostenere, sembra quasi più di stare a vedere una miniserie tv per i ritmi e le situazioni presentate durante tutto il corso della visione: tanti personaggi, tante sottotrame, un filo conduttore ma, a dirla tutta, la pellicola poteva risultare più coesa e meno dispersiva, dati soprattutto gli sviluppi finali, che non spoilereremo. Però, giusto per fare un esempio molto semplice, Everett Ross e tutto quel che gli gira attorno è presente solo per far da ponte al MCU, e poteva essere evitato, o meglio, andrebbe evitato in un film che dovrebbe essere stand-alone ma, evidentemente, deve essere parte della ginormica serie tv che è diventato il Marvel Universe, con riferimenti e collegamenti a iosa appena è possibile l’opportunità.
Altro elemento che poteva essere inserito meglio è Riri Williams: gran bel personaggio, senza dubbio, e il fatto che nel MCU sviluppi un rapporto mecenatistico con Shuri piuttosto che con Tony Stark come nei fumetti ha anche più senso… ma qui non brilla quanto potrebbe nonostante la bravura e simpatia della sua interprete Dominique Thorne. Sembra davvero semplicemente un “more of the same”, una sorta di incrocio tra, appunto, Shuri, Tony Stark e Peter Parker che non brilla di luce propria, soprattutto da un punto di vista tecnologico e scientifico. Ma questo, in realtà, è un difetto che coinvolge anche Shuri, che nel primo film appariva molto più sperimentale nelle sue scoperte e invenzioni. La realtà è che tutto quel che fa Riri poteva farlo Shuri: la sua presenza è un semplice trampolino per la serie tv in uscita l’anno prossimo.

80
Black Panther: Wakanda Forever
Recensione di Marco Lucio Papaleo

Black Panther: Wakanda Forever, tirando le somme, è un film piacevole ma non imprescindibile, mai così spettacolare da giustificarne l'eccessiva durata, per quel che la storia deve raccontare. Non è una pellicola che lascia il segno, a qualunque livello che non sia quello umano e della gestione delle risorse. Si tratta, sì, di un formidabile atto d'amore e rispetto verso Chadwick Boseman, porta avanti tematiche importanti a livello di sentimenti e crescita personale, è ben recitato e Coogler gestisce al meglio tutto quel che ha, ma non lascia mai col fiato sospeso, non stimola alcun sense of wonder, non lascia con la curiosità di vedere cosa succederà in futuro. Rispettoso e ben confezionato, ma molto meno esaltante del previsto.

ME GUSTA
  • L'omaggio a Chadwick Boseman è perfetto
  • Cast molto bravo
  • Tematiche strutturate bene...
FAIL
  • ...ma tirate eccessivamente per le lunghe
  • A livello di azione e soluzioni sceniche sa di già visto