La politica e i suoi ritardi nel campo delle rinnovabili rischiano di appesantire le bollette dei provati e porre un ostacolo alla transizione ecologica. Questo è il caso delle cosiddette Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) delle coalizioni di utenti che, secondo la definizione dell’ENEA, “collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso impianti locali alimentati da fonti rinnovabili”.

Le CER sono state introdotte a febbraio 2020 con il decreto Milleproroghe e regolamentate con una legge del novembre 2021. I decreti attuativi sarebbero dovuti uscire dopo 6 mesi, ma a distanza di un anno cittadini e imprese sono ancora lì ad aspettare delle risposte. Questi ritardi rendono la situazione particolarmente gravosa, soprattutto in un periodo di crisi energetica come quello attuale.

La causa di questo fenomeno risiede principalmente nei ritardi della burocrazia, ma c’è anche chi sostiene siano dovuti anche a un conflitto di interesse. Questo perché le CER trasformerebbero i privati da semplici consumatori a produttori-consumatori di energia, cosa che rischierebbe di destabilizzare gli equilibri di mercato. I costi di questi ritardi vengono pagati da imprese e cittadini poiché non possono sfruttare i vantaggi legati a queste comunità.

In Italia ci sono poco più di 30 CER, tutte in via sperimentale, a differenza della Germania in cui sono oltre 1’700. Senza i decreti attuativi anche i 2,2 miliardi di euro del PNRR per finanziare l’autoconsumo energetico sono a rischio. Il caso delle CER rappresenta uno dei tanti sintomi della mancanza di una strategia chiara nel settore.