Nel regno fatato di Netflix trovate un film che ha tutto per essere un originale Netflix, ma non è un originale Netflix, anche se da Netflix è distribuito (per il mercato internazionale). Lo trovate in catalogo dall’8 giugno.

Perché inizio così la recensione di Hustle? Perché mette insieme una serie di ingredienti di successo di cui potete facilmente trovare i genitori proprio all’interno dello streamer del Tudum (o Dudum o quello che è), facendo in gran parte credere come il fantomatico algoritmo possa di fatto essere dietro tale produzione quando in verità c’è niente di meno che sua maestà LeBron James. C’è anche una regia (e dei crediti di testa) molto in stile Sundace, che non guasta mai quando si parla di tale format.

Un titolo che non è tanto un titolo sul mondo del basket, ma un titolo derivato dal mondo basket (trovato il primo parente: The Last Dance) e in qui lo sport serve per parlare di altro, partendo sempre dalla veridicità di coloro che ne hanno e ne fanno parte tuttora.

Negli USA è da qualche tempo che i grandi nomi dei giocatori fanno rima con l’idea popolare di eroe contemporaneo, lo ha imparato anche Prime Video.

Qui però la prospettiva viene ribaltata e il punto di vista di una storia (di fiction) viene sorretta dall’unico attore professionista di peso presente in pellicola, tolti i vari Robert Duvall, Queen Latifah e Ben Foster (qualcuno un po’ presente, altri decisamente ridotti a fare un misero compitino), un Adam Sandler nuovamente potenziato in un ruolo drammatico perché depotenziato della sua esagerata carica comica. Come è stato in Diamanti Grezzi dei Safdie bros. uno degli originali Netflix più belli nella storia produttiva dello streamer (secondo parente, sei tu?).

Lui è la cosa migliore della pellicola, capace di duettare con cestisti professionisti come Juan Hernangómez, il suo co-protagonista, che un attore non è e si vede, e Anthony Edwards (che invece come villain ci sta eccome) o ex come Kenny Smith, e di rendere, almeno emotivamente, solida una sceneggiatura invece piuttosto difettosa e banale come quella scritta da Taylor Materne e Will Fetters (la penna di A Star is Born). A supportarlo c’è la regia di Jeremiah Zagar, che tira le linee della storia riuscendo ad infiocchiettarla in modo tale da renderla perfetta per la fruizione familiare, per non dire casalinga.

Il resto si ferma a “Never Back Down” e per la funzione del film ci può anche stare.

Il tuo nemico sei tu

Stanley Sugerman (Sandler) è uno degli scout di punta dei Philadelphia 76ers e per questo è perennemente in viaggio in giro per il mondo per cercare nuovi giovani talenti ed aggiudicarseli prima degli altri. Un lavoro che lui adora dato il suo sconfinato amore per il gioco (una delle cose principali che ripete è “I love this game” e “I hate football“), anche se il suo sogno nel cassetto è quello di diventare coach, in modo da tornare sul campo e stare più vicino a sua moglie e a sua figlia.

L’opportunità sembra finalmente materializzarsi davanti a lui, quando, come nella più classica delle storie, qualcosa decide di mettergli all’ultimo i bastoni tra le ruote.

Adam Sandler e Queen Latifah

Tornato in sella, il padre di famiglia ricomincia la sua routine senza fine e senza sosta, in cerca di quel giocatore in grado di fargli svoltare definitivamente la carriera. Quel giocatore lo trova in Spagna, mentre è intento a sfidare (e a stracciare) per la strada i bulli di quartiere indossando delle Timberland.

Il suo nome è Bo Cruz (Hernangómez) ed è l’under dog per eccellenza, il quale accetta di trasferirsi negli USA con Sugerman solamente per riuscire a mandare soldi a sufficienza alla madre e alla figlioletta. Ovviamente nessuno crederà nelle doti del ragazzo fuorché colui che lo ha scoperto e che arriverà ad essere il suo allenatore, il suo mentore e la figura genitoriale che per tanto tempo gli è mancata e di cui necessitava per diventare finalmente un padre, un uomo e, se ce scappa, anche un giocatore professionista.

L’unico avversario che ha davanti è se stesso, una volta sconfitto lui, allora tutto è possibile. Avete mai sentito qualcosa del genere? Io qualche volta

Come ti faccio piacere di nuovo un film che hai già visto

Zagar non è un regista per nulla sprovveduto e, anzi, ha dimostrato durante la sua carriera di avere diverse frecce nel suo arco.

Infatti, sebbene sia, con Hustle, solamente al secondo film di finzione (il primo è We the Animals ed è un dramma puro che tocca tutt’altre corde), ha alle sue spalle una produzione già molto importante divisa tra documentari, episodi per serie televisive e videoclip musicali. Una costellazione varia e che gli ha permesso di sperimentare diversi tipi di linguaggio, la cui summa lo ha reso un nome ideale per una pellicola che gira molto intorno all’idea di mischiare diversi nomi dell’ambiente, che attori professionisti non sono, tenendo una scheletro fiction base e puntando forte su presa diretta e montaggio del basket giocato.

Per questo a fare da chioccia e a tenere, di fatto, le redini drammaturgiche hanno piazzato chi in quel campo è un buon compromesso tra interesse di pubblico e bravura effettiva come Adam Sandler, da poco emancipatosi dalla sua bolla comica.

Non che qui non ci sia spazio per la comicità, badate bene, ma l’attore di Brooklyn è inserito nel titolo veramente come un centro di basket: lui smista i palloni, manda gli altri a canestro, discute col coach e scalda il pubblico, mentre i fuoriclasse del rettangolo gli girano intorno, facendo ciò che sanno fare meglio.

Hustle è un film che parla di riscatto sociale, di rapporto maestro/allievo, del superare i propri limiti e dell’importanza di credere in se stessi, citando Rocky (siamo a Phili dopo tutto) e mille altri film, ma non cercando mai di puntare davvero alla profondità dietro tale messaggio, quanto invece adoperarlo per creare una cornice facilmente identificabile per il pubblico e puntare su un intrattenimento conciliante, godibile e vivace. Le emozioni le danno i nomi coinvolti, i momenti toccanti resi credibili da Sandler e il trasporto all’interno del campo da gioco. Un film che riesce a dirci, senza essere stucchevole, che tutto è risolvibile, tutto è possibile e tutto è positivo, persino l’ossessione, che è più forte del talento.

Hustle è disponibile su Netflix dall’8 giugno 2022.

65
Hustle
Recensione di Jacopo Fioretti

Hustle è il secondo film di finzione del regista Juan Hernangómez ed è prodotto, tra gli altri, da LeBron James. Un nome che ci fa capire quanto il titolo sia legato al mondo del basket, da cui prende, come attori, sia giocatori che ex giocatori professionisti, ma al cui centro pone un bravissimo Adam Sandler, nuovamente vincitore di una prova che lo vede lontano da una comfort zone, che a guardarla oggi potrebbe quasi essere rivalutata come un limite per un attore che fin dalla sua collaborazione con PTA si è sempre ben comportato. La pellicola che trovate su Netflix è di quelle che punta su una storia già vista e dei personaggi facilmente inquadrabili per costruirci un impianto divertente, coinvolgente, rassicurante e in grado di trasportare il pubblico direttamente nel mondo del basket con equilibrio e armonia tra forma e contenuto. Quando la sceneggiatura rischia di detronizzarlo ci pensano Sandler e il sincero amore che chi c'è dietro il film ha per il gioco.

ME GUSTA
  • La prova attoria di Adam Sandler è in grado di reggere tutta la carica drammaturgica del film.
  • La regia e il montaggio riescono a sopperire alle banalità dello script.
  • Si tratta di un titolo equilibrato e funzionale a ciò per cui è stato concepito.
  • Le sequenze sul campo da basket sono molto divertenti.
FAIL
  • La sceneggiatura pecca non solo per le tematiche, ma anche per lo sviluppo della storia e del personaggio di Bo.
  • Il film è fondamentalmente scontato e facilone, dunque non piacerà a chi cerca qualcosa di più di un paio d'ore per divertirsi.