Finalmente c’è l’intesa: Open Fiber potrà utilizzare alcune delle infrastrutture di TIM – dai cavidotti ai pali, passando per le canaline – per far passare la sua fibra ottica. Eh già, fino ad oggi non era possibile – con ovvi problemi e ritardi sulla progressione dei lavori dell’azienda.

È un primo step nella direzione della rete unica, attraverso la nascita di una nuova entità che si occuperà della rete primaria (dalle centrali agli armadietti) e quella secondaria (già della Fibercop), cioè quella che va dai cabinet alle case degli italiani. Poi l’altra società, quella che offre i servizi di rete veri e propri, che rimarrà della società Tim.

L’operazione è complessa e se vi siete persi le puntate precedenti potrebbe essere piuttosto complicato capire come si sta evolvendo il settore delle telecomunicazioni in Italia. Peraltro, i player in gioco sono diversi: c’è il fondo statunitense KKR che possiede diverse quote di Fibercop, nuova creatura nata lo scorso 1 aprile e che vede la partecipazione di TIM e Fastweb. Poi la Cassa deposito e prestiti, il collante dell’operazione di rete unica, che possiede quote di Open Fiber (oltre il 60%), ma anche alcune quote (il 9,9%) di Tim.  E poi il colosso francese Vivendi, che il maggiore azionista di Telecom Italia, cioè sempre Tim.

Per il momento è tutto ipotetico, prima della nascita della società per la rete unica dovranno muoversi ancora diversi ingranaggi. Per il momento, di certo c’è che Open Fiber potrà usare in affitto per almeno 20 anni le infrastrutture di TIM nelle cosiddette aree bianche. Il costo? 230 milioni di euro. Nota a margine: il fondo statunitense ha chiesto e ottenuto che se il matrimonio tra Telecom e Open Fiber si farà, non si tenga conto della creazione di valore che Open Fiber otterrà nelle aree bianche proprio grazie all’affitto ventennale delle infrastrutture.