La messa in onda e la recensione di Tiger King 2 arrivano in un momento assai diverso rispetto a quello in cui la prima stagione ha letteralmente sconvolto il palinsesto della piattaforma streaming: molte cose sono cambiate, l’interesse per il personaggio è cambiato e, con esso, anche l’impostazione della docuserie, che come vedremo ha purtroppo perso focus e mordente.

Per chi non lo sapesse, Tiger King è una docuserie che narra le vicende umane e processuali di Joseph Allen Maldonado-Passage, più noto col “nome d’arte” di Joe Exotic, personaggio pubblico noto per le sue stravaganti tendenze e velleità, per l’aver gestito in maniera estremamente opinabile il Greater Wynnewood Exotic Animal Park in Oklahoma e per innumerevoli guai con la giustizia, i suoi collaboratori e i suoi rivali, in una serie di colpi di scena e di mano che gli sono valsi, infine, una condanna a 22 anni di prigione.

Quando arriva la prima stagione dello show, Netflix trova una fortuita combinazione temporale che ne decreta la fortuna: siamo a marzo del 2020, la gente è stranita e spaventata dal lockdown generato dall’epidemia di COVID-19 e una storia “vera” ma completamente folle è assolutamente perfetta per evadere dalla triste realtà che stavamo attraversando.

Ben presto, la serie è sulla bocca di tutti e la vicenda di Exotic e della sua faida con la rivale Carole Baskin diventano un must da conoscere e di cui discutere, anche al di fuori dei confini degli States, dove fino a quel momento si era spinta la notorietà della vicenda.

Exotic è un personaggio assurdo, completamente sopra le righe, anzi, decisamente “larger than life”, troppo incredibile per essere vero. Quel che vediamo su schermo non è semplicemente un personaggio precostruito con qualche stravaganza pubblicitaria: è lo specchio di un certo tipo di America sfrenata e contraddittoria, diremmo pericolosa nel suo essere totalmente disinibita e libera. Ogni dieci minuti arrivava su schermo una qualche dichiarazione o situazione ancora più folle della precedente, a creare un quadro inquietante ma che non era possibile abbandonare, scoprendo di volta in volta particolari che, se inseriti in un’opera di finzione, sarebbero stati considerati quantomeno pretestuosi, ma al di là dell’ovvio montaggio “furbetto” la prima stagione del documentario racconta fatti veri, anche se conditi da molte illazioni e sassi lanciati nello stagno cercando riverberi e sponde varie.

Il successo, dicevamo, è stato enorme, tanto da spingere subito alla realizzazione di una puntata speciale, l’ottava, andata in onda dopo appena un mese: di lì il fenomeno è esploso, portando alla effettiva popolarità di tutti i suoi “attori” e ai propositi di molti produttori di realizzare documentari collaterali o bizzarri biopic con attori, mentre tutto attorno il mondo realizzava gli effetti della pandemia e le persone protagoniste della vicenda facevano i conti con le conseguenze di quanto mostrato nel documentario.
Dopo un anno e mezzo, le vicende sono andate avanti, ed è basilarmente quanto ci mostra la seconda stagione, ma con un cambio di paradigma vistoso e ridondante.

Tre tigri contro tre tigri… e un documentario senza più identità

Appare evidente fin da subito che la seconda stagione è stata creata sulla scia del successo della prima, con intenti documentaristici differenti. Mentre la prima narrava le vicende a metà tra il documentario biografico e il reality, la seconda scende sul campo dell’investigazione vera e propria, alla ricerca della verità su alcuni dei punti più oscuri e tragici delle vicende narrate nella prima stagione.

Altrettanto evidente appare anche che la rincorsa all’esagerazione, questa volta, non funziona, soprattutto nella variante crime, intenta a scandagliare dichiarazioni più o meno attendibili in merito alla scomparsa dell’ex marito di Carole Baskin, ai guai legali di Jeff Lowe e Tim Stark e alle presunte macchinazioni omicide ai danni di Baskin e dello stesso Exotic.

E, a parte rari interventi telefonici dalla prigione, del Tiger King stesso vediamo poco o niente, se non nel primo e nell’ultimo episodio dei cinque, che allungano il brodo in ogni modo possibile, accennando non solo alla pandemia ma anche agli ultimi momenti della presidenza Trump. Cinque episodi, dicevamo, quindi due in meno rispetto alla stagione precedente, il che è già tutto dire; se poi due di questi sono incentrati su Don Lewis, capirete che si cerca di spremere i fatti collaterali fino all’ultima goccia, mettendo spesso carne al fuoco di dubbia qualità senza poi giungere, infine, a conclusioni soddisfacenti.

Di fatto, si tratta di ricostruzioni fini a se stesse, e di fatti che, ad ogni modo, sono già vecchi di almeno un anno, eccettuando l’ultima puntata, che comunque ha lasciato indietro alcuni nuovi sviluppi, tra cui l’appena annunciato tumore diagnosticato a Exotic, ma di cui nel documentario non c’è (per motivi di tempistiche, immaginiamo) alcuna traccia.

Cosa che potrebbe far pensare che, in realtà, Tiger King potrebbe durare indefinitivamente, seguendo Exotic nella sua sfortunata parabola ancora a lungo, ma rischiando di diventare macchiettistico e fastidioso, visto che si tratta di vicende vere, per quanto assurde, e l’attenzione a ogni piccola stramberia o dichiarazione dei nostri (ci interessa davvero della vita sentimentale di Exotic, dopo tutto quel che abbiamo visto?) rischia di sfiorare il morboso.

Non stentiamo a credere che Carole Baskin si sia dissociata dalla serie già a partire dai trailer, e in generale la luce che viene gettata sugli attori della vicenda è impietosa e non risparmia nessuno.
Sul finale ci imbattiamo in una parentesi di chiusura dedicata al benessere effettivo degli animali, elemento sottotraccia dell’intera serie trattato, però, sempre con superficialità, e la chiusa in stile Giovani Marmotte appare moralista e posticcia, nonostante le buone intenzioni.

Tiger King 2 è disponibile su Netflix

 

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60
Tiger King 2
Recensione di Marco Lucio Papaleo

Il ritorno di Tiger King... non è un vero ritorno, dato che il “povero” Exotic è sempre dietro le sbarre, mentre il circo felino che gli girava intorno ha continuato a muoversi, in una direzione o nell'altra, in un freak show sempre più rumoroso e molesto, con pochi (ma sempre caratteristici) nuovi interpreti e intenti investigativi un po' farlocchi. Il nostro problema da spettatori è che la vicenda comincia a diventare fastidiosa – se non morbosa – e palesemente tirata per i capelli, alla ricerca di sempre nuove rivelazioni sconvolgenti inseguite non tanto per sensibilizzare il pubblico quanto per scioccarlo. Al di là della parentesi ambientalista finale, quasi staccata dal resto, arriviamo frastornati ancora una volta alla fine, chiedendoci dove sia finito il documentario e dove sia iniziato il reality show sguaiato e fine a se stesso.

ME GUSTA
  • Confezione tecnica curata
  • Ricostruzione dei fatti chiara (ma montata ad arte)
FAIL
  • Il cambio di genere narrativo lo rende meno interessante
  • L'interesse per il personaggio comincia a diventare morboso
  • Fatti concreti pochi, illazioni anche troppe