Tor non ha abbastanza server. Il browser per navigare anonimamente lancia l’appello: “ci servono più volontari che creino dei server bridge“. E con il numero di server privati che partecipano al progetto in calo, c’è il rischio che in sempre più paesi la rete di Tor diventi inaccessibile, o quasi.

Ma facciamo un passo indietro: un bridge, spiega Gizmodo, è un server privato che consente agli utenti di accedere al protocollo Tor anche da paesi dove questo è bloccato. Da qui il nomignolo, bridge significa ponte in inglese. Gli utenti si connettono ad un server privato e il loro traffico viene rimbalzato sulla rete di Tor, aggirando il blocco dei governi. Attualmente Tor può contare su 1.200 server bridge, di questi 900 supportano il protocollo obfs4.

1.200 non è un numero astronomico e i Governi autoritari – o banalmente quelli che non vogliono consentire ai loro residenti di usare internet anonimamente – hanno vita fin troppo facile ad inserire gli indirizzi dei server privati nelle loro liste nere.

I server sono gestiti da volontari, ma dall’inizio dell’anno il numero di partecipanti al progetto è in calo.

Non è sufficiente avere molti bridge, può succedere che vengano bloccati tutti, non è complicato. Di conseguenza, quello che ci serve è avere un flusso costante di nuovi server che non siano stati inseriti ancora in nessuna lista nera

si legge in un post del blog ufficiale del progetto Tor.

La maggior parte del traffico verso la rete Tor che avviene passando da uno o più server bridge arriva da cinque paesi: Russia (12.480 utenti giornalieri), USA (10.726), Iran (3.738), Germania (2.322) e Bielorussia (1.453).