Spotify non vuole moderare i contenuti dei podcast, la rivelazione dopo che lo scorso ottobre alcuni dipendenti della compagnia si erano espressi contro Joe Rogan, host e presentatore della lega di arti marziali miste UFC considerato controverso da alcune frange progressiste.

Joe Rogan ha stretto un accordo di esclusiva con Spotify durante lo scorso ottobre. L’azienda aveva sborsato oltre 100 milioni di dollari, una delle cifre più alte mai pagate per un podcast.

Joe Rogan recentemente è stato accusato di transfobia e gli è anche stata contestata un’intervista ad Alex Jones, fondatore del sito cospirazionista Info Wars.

Recentemente Daniel Ek, CEO di Spotify, ha parlato per la prima volta del tema della moderazione nel corso di un’intervista, spiegando che la sua azienda non intende esercitare alcun controllo editoriale sui podcast. Ek fa un paragone con i rapper: “fanno decine di milioni di dollari, ci sono un sacco di loro brani su Spotify, ma non abbiamo intenzione di dire loro cosa possono o non possono inserire nei testi delle loro canzoni”, ha detto. Fino ad oggi nessun dirigente di Spotify era mai entrato nel merito della questione.

Sul tema, scrive The Next Web, entra con prepotenza anche l’argomento di cosa possa effettivamente fare Spotify, al di là delle sue intenzioni e della visione dell’azienda sulla libertà creativa. Secondo una stima, nel 2020 sono usciti in media 17.000 nuovi episodi ogni singola settimana. Parliamo di quasi un milione di puntate in un anno di podcast molto diversi tra di loro. Spotify oggi non ha gli strumenti per moderare e valutare ogni singolo contenuto

Il tema della moderazione dei contenuti si ripropone, poi, anche per Greenroom, le chat audio in diretta di Spotify (su modello Clubhouse). Oggi l’azienda ha predisposto degli strumenti di moderazione e segnalazione, ma anche in questo caso, la trasformazione in una piattaforma orientata verso dinamiche da social network imporrà necessariamente sforzi più ampi.