Fino a pochi mesi fa, i non-fungible token (NFT) sembravano l’alfa e l’omega del Mercato dell’arte del futuro, ora sono perlopiù finiti in secondo piano. Non si tratta di una prospettiva puramente percettiva, non è che la loro proliferazione stia continuando ormai lontana dagli occhi mondani, semplicemente la bolla speculativa si è infranta e la situazione si è normalizzata su standard che non sollevano più l’attenzione delle masse.
Stando ai dati raccolti da Protos, il settore ha raggiunto il picco della sua popolarità il 3 marzo, giornata in cui sono circolate sui portali d’aste somme dal valore complessivo di circa 102 milioni di dollari. Da allora, le performance sono crollate quasi del 90 per cento.
Ora, per come vanno le cose, in una settimana il mercato dei NFT riesce a far girare appena 3 milioni di dollari, perlomeno se contiamo anche il mercato secondario. Se non lo contiamo, anche meno. L’attività dei portafogli in cui vengono stipati i blocchi artistici rappresenta a sua volta come molti abbiano deciso di chiamarsene fuori: da i 12.000 del periodo d’oro si è passati ai 3.900.
In altre parole, chi si era avvicinato preso dalla frenesia di una bieca corsa all’oro ha infine abbandonato la nave per dirigersi verso orizzonti più remunerativi, sono rimasti perlopiù solo coloro che credono davvero nel progetto di un modo di vendere arte digitale che non debba necessariamente sottostare alle dinamiche pre-consolidate.
Non è chiaro come questa nuova situazione andrà a incidere sul consolidamento degli artisti sulla scena o di che reazione avrà sulla compensazione delle emissioni che i gestori dei vari siti avevano vacuamente promesso. A prescindere, ora che il momento di frenesia sembra essere concluso, chi naviga in quei mari potrà effettivamente pensare al come intavolare le dinamiche di autodeterminazione del sistema.
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