Dopo una lunga attesa e un ritardo di tre settimane rispetto alla deadline inizialmente anticipata, la oversight board di Facebook ha finalmente deciso cosa farne dell’account di Donald Trump: lavarsene le mani. Si tratta di una decisione attesa, per quanto anticlimatica, che tuttavia rivela nuovamente la malcelata frustrazione che impregna il Comitato di Controllo e che potrebbe comportare risultati interessanti.

Per chi non lo sapesse, la Commissione in questione è stata finanziata dal noto social network in modo che potesse operare indipendentemente dalla Big Tech, ovvero, malignano in molti, in modo che la ditta potesse delegare all’esterno i casi più spinosi.

Ecco dunque il punto: se il team esterno avesse confermato il ban imposto a Trump o se, al contrario, avesse reintegrato l’ex-presidente, Facebook avrebbe potuto facilmente difendersi davanti a politici e giornalisti improvvisando maestosi scaricabarile.

Il Comitato di Controllo ha quindi optato per una scelta decisamente poco coraggiosa, ma anche estremamente lungimirante, decidendo infine che il controverso uomo d’affari debba star lontano dal portale per almeno altri sei mesi e che, raggiunta la scadenza, saranno gli amministratori del social a decidere se confermare la cancellazione a vita dell’account o la sua reintegrazione.

Nei fatti, i consulenti esterni hanno stabilito che non stia né in cielo né in terra che il sito applichi regolamenti vaghi e inconsistenti, che sospenda qualcuno a livello “indefinito” basando la decisione su contesti politici volatili. Se il soggetto si dimostra reo di aver violato le policy del servizio, fanno notare, dev’essere punito con pene precise commisurate alla pericolosità dei suoi atteggiamenti.

Il punto è comunque uno solo: nel giro di un semestre, Trump dovrà tornare su Facebook o non mettervi definitivamente mai più piede e le conseguenti rogne cadranno sulle spalle del CEO del portale, Mark Zuckerberg. Al portale non resta che augurarsi che gli equilibri diplomatici della nazione si assestino velocemente, così da poter accontentare la parte maggioritaria del Senato senza dover incorrere in critiche troppo pesanti.

 

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