Studiando la variazione della luce del giorno è stato possibile rilevare qual è il meccanismo del cervello che permette agli animali di adattarsi al cambio di stagione.
Gli scienziati studiando le variazioni della luce diurna hanno scoperto come il cervello degli animali risponde a giorni brevi e lunghi. È un gene all’interno dell’ipofisi che genera una risposta permettendo agli animali di adattarsi al cambio di stagione e di gestire i comportamenti vitali come i cicli di riproduzione.
Ritmi simili a quelli scanditi dall’orologio biologico quotidiano che scandisce i cicli dei livelli ormonali e influisce su tratti come il sonno e la fame, possono essere osservati anche in quelli stagionali.
Fino ad ora però non era chiaro come i geni rispondessero ai cambiamenti biologici che si osservano nel cambio tra l’inverno e l’estate.
Attraverso lo studio degli ovini, nello specifico di una ghiandola endocrina attaccata al cervello chiamata ghiandola pituitaria, o ipofisi, i ricercatori hanno potuto osservare i processi biologici che avvengono in risposta a diverse lunghezze del giorno.
Nel cervello delle pecore i processi del ritmo circadiano coinvolgono un gene noto come BMAL2 che si trova in molti animali ma il cui ruolo nell’orologio stagionale era precedentemente sconosciuto.
gli ormoni notturni vengono rilasciati più a lungo, innescando processi biologici legati all’inverno.
In estate, quando le notti sono lunghe, il cervello genera ormoni che provocano una cascata di attività genica che porta a caratteristiche biologiche associate all’estate. Quando le notti sono brevi in inverno, l’interruttore viene attivato: gli ormoni notturni vengono rilasciati più a lungo, innescando processi biologici legati all’inverno.
Le fluttuazioni degli ormoni e del comportamento fanno parte di una delicata orchestra biologica che è cruciale per la vita. Molti animali dipendono dai cambiamenti stagionali della loro biologia per sopravvivere. e le nostre scoperte sono una parte cruciale del puzzle per comprendere i processi sottostanti
ha affermato il professor Simone Meddle, che ha co-condotto la ricerca del Roslin Institute dell’Università di Edimburgo.
Lo studio condotto in collaborazione tra le università di Edimburgo e Manchester è stato pubblicato su Nature Communications.