Sembrava che il 2020 dovesse essere il grande anno di debutto di Amazon all’interno dell’industria dei videogiochi. Il colosso ha investito centinaia di milioni di dollari, ma per il momento i risultati sono disastrosi.
I videogiochi in cantiere di Amazon Game Studios, contando quelli che dovrebbero uscire nell’immediato e che sono stati resi pubblici, sono sostanzialmente tre.
C’è Crucible, uno sparatutto in terza persona che segue la falsa riga di titoli come Overwatch presentato lo scorso maggio. Il titolo è debuttato per la prima volta lo scorso maggio ottenendo un riscontro, tra pubblico e critica, piuttosto deludente. Il fiasco è stato così forte che Amazon è stato costretto a riportare il gioco allo stadio di closed beta.
Poi l’ambizioso New World, un MMORPG che sarebbe dovuto uscire a maggio, salvo essere rimandato prima ad agosto e poi al 2021. Infine, un progetto minore ma comunque non meno problematico: una versione di Pac-Man pensata per essere giocata direttamente su Twitch. Doveva uscire lo scorso giugno, secondo i primi annunci, ma non se ne è ancora vista l’ombra.
Dove sta sbagliando Amazon? Secondo Seth Schiesel, che sull’apparente insuccesso di Amazon nel settore dei videogiochi ha scritto un lungo e interessante articolo uscito su Protocol, il colosso avrebbe fondamentalmente frainteso i principi cardine dell’industria.
Amazon si ostina a proiettare sui videogiochi i principi aziendali che usa con gli altri business, ma i videogiochi sono innanzitutto un prodotto artistico, prima di essere un prodotto commerciale.
Secondo Schiesel le principali major dell’industria hanno ottenuto il loro successo proteggendo ad ogni costo i creativi dalle dinamiche corportate dell’azienda.
Take-Two non decide al posto della Rockstar quale debba essere la trama del prossimo GTA. Mike Morhaime ha impiegato decenni a proteggere il nucleo creativo di Blizzard dalle varie figure che possiedono lo studio
scrive il giornalista.
Amazon, al contrario, contamina continuamente il processo creativo con meccaniche aziendalistiche e commerciali, finendo per offrire prodotti che i videogiocatori, paradossalmente, non vogliono veramente o, quanto meno, non trovano interessanti.
La compagnia si è già dimostrata piuttosto versatile con il successo della divisione Amazon Studios, il problema è che l’azienda non starebbe riconoscendo ai videogiochi la stessa dignità che attribuisce ad Hollywood. La divisione cinema risponde direttamente a Jeff Bezos, che paradossalmente avrebbe mostrato una certa affinità con la cultura cinematografica, lasciando i creativi relativamente a briglia sciolta. Il reparto gaming —continua Protocol nella sua analisi— è stato affidato ad una persona, Mike Frazzini, che non solo non ha grosse esperienze nel settore, ma risponde anche allo stesso management di Twitch, venendo inglobato in un processo molto rigido e poco simile a quello riservato ad Amazon Studios.
L’ultimo problema è che sembra che la priorità del colosso sia quella di creare titoli innovativi che sfoggino l’enorme potenza del Cloud di AWS. Il target, a quel punto, non sono solo i videogiocatori, ma anche la altre aziende e sviluppatori a cui Amazon spera di vendere i suoi servizi di Cloud.
Secondo Seth Schiesel ci sono comunque ottimi margini di miglioramento. Il rebranding di Twitch Prime (oggi Prime Gaming) lascia intendere l’ambizione di creare un ecosistema più ampio, mentre Amazon dovrebbe presto chiudere un importante accordo con una software house esterna, dimostrando di voler diversificare la sua strategia puntando anche su aziende terze per creare nuovi videogiochi.
Superate le difficoltà iniziali, Amazon potrebbe comunque avere una voce importante nell’offerta di nuovi servizi e prodotti entusiasmanti rivolti ai videogiocatori. Prima, però, deve capire i suoi errori e cambiare radicalmente filosofia.
- Amazon is good at so many things. Why is it bad at games? (protocol.com)