La recensione de La Casa di Carta 4 per tornare a parlare, in occasione dell’uscita su Netflix, della serie più vista al mondo non in lingua inglese. I “rivoluzionari” protagonisti sono ancora chiusi ne Il Banco di Spagna ma qualcosa nell’ingranaggio sembra essersi rotto.
Qualcuno di noi la stava ardentemente aspettando dopo il finale in sospeso dello scorso anno; qualcun’altro, invece, a stento si sarà ricordato della sua uscita. Fatto sta che da oggi La Casa di Carta debutta su Netflix con la sua quarta parte, pronta per confermarsi la serie non in lingua inglese più vista sulla piattaforma on demand.
Precisamente parliamo della quarta parte della serie spagnola creata da Álex Pina nel 2017, arrivata su Netflix divisa in due parti tra il 2017 e il 2018. Il successo è stato talmente tanto grande, quanto inaspettato, che La Casa di Carta è diventata un vero e proprio fenomeno mondiale e oggi vi parliamo con la recensione di La Casa di Carta 4 di come si è evoluta la serie; soprattutto in peggio.
La Casa di Carta risultava essere un prodotto godibile nella sua semplicità
Ebbene si, non giriamoci troppo in tondo. La Casa di Carta, per quanto un progetto ammantato dalla patina tipica della soap opera spagnola (non troppo lontana tra l’altro dalla fiction italiana), risultava essere un prodotto godibile nella sua semplicità. Una serie che puntava soprattutto all’empatia con lo spettatore, sorprendendolo con piccoli colpi di scena che mettevano sempre più in bilico i personaggi protagonisti della serie, a tal punto da far sentire il pubblico coinvolto al cento per cento nell’azione.
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Non parliamo di certo di un capolavoro della televisione contemporanea, e neanche di chissà quale grande serie di genere, ma La Casa di Carta – per quanto per qualcuno possa essere assurdo da concepire – ha svolto un’interessante funzione di unione, aggregazione e solidarietà dal punto di vista sociale. E poi, per staccare un po’ la testa, rilassarsi di fronte alla televisione con birra e patatine, è un prodotto che faceva egregiamente il suo lavoro. Si, faceva, perché con La Casa di Carta 4 qualcosa è cambiato… E no, non in meglio.
Ma ricordate come tutto questo è partito?
Il tutto partiva da una grande rapina ai danni della Zecca di Spagna ad opera di un uomo che conosceremo come Il Professore (Álvaro Morte). Una persona tanto geniale quanto solitaria che, come vedremo, ha organizzato un piano tanto minuzioso quanto incredibilmente folle, che vedrà coinvolti una serie di personaggi che, ormai, non hanno più nulla da perdere, ma tutto da guadagnare.
Uomini e donne abbandonati a loro stessi, abbandonati da uno Stato, un governo che pensa solo a riempire le proprie di tasche
I protagonisti de La Casa di Carta, che ormai abbiamo imparato a conoscere attraverso i loro pseudonimi (ovvero i nomi delle capitali del mondo), sono personaggi comuni. Personaggi che potremmo trovare nella vita di tutti i giorni, che potremmo essere addirittura noi. Uomini e donne abbandonati a loro stessi, abbandonati da uno Stato, un governo che pensa solo a riempire le proprie di tasche, senza mai occuparsi dei problemi dei suoi cittadini. Ecco, La Casa di Carta di Pina rispecchia un contesto storico e sociale reale, autentico, che attinge dai veri problemi della Spagna, che potremmo trovare in molte delle nazioni Europee, compresa la nostra Italia.
Ed ecco come improvvisamente la banda di “criminali disperati” del Professore, si è improvvisamente trasformata in un gruppo di Robin Hood che rubano ai ricchi per dare ai più poveri. Un gruppo di coraggiosi disgraziati che tenta un colpo impossibile non solo per il denaro ma per lanciare un messaggio, per diventare un simbolo. Non sorprende, quindi, come l’iconica maschera del Dalí usata dai personaggi per mascherarsi, camuffarsi, nascondersi, sia diventato un oggetto quasi di culto andato oltre la serie tv (o un mero cosplay), ma usato in diversi eventi e manifestazioni, soprattutto di “rivolta popolare”.
Diciamo pure che lo stesso Álex Pina credeva il giusto nel suo progetto, ma di certo non si aspettava che la banda e Il Professore avrebbero avuto un successo così importante, a tal punto da convincere Netflix a comprare il tutto e spenderci su bei soldi. Si, perché dalla prima stagione (ovvero Parte 1 e Parte 2) alla seconda stagione (Parte 3 e Parte 4) il budget è notevolmente lievitato. Inoltre, La Casa di Carta nasce come una miniserie di 15 episodi dalla durata circa di 70-75 minuti. Una storia che, così come inizia, aveva una fine senza prospettive alcune di sequel vari. Una fine ben precisa e che, nel bene e nel male, nel limite del suo paradosso, funzionava. Ma cosa è successo dopo?
Il solito copione: mungere la preziosa vacca fino all’ultima goccia di latte.
E, a quanto pare, per Netflix La Casa di Carta aveva ancora altro latte da dare. Ma è davvero così? A giudicare da come La Casa di Carta 3 e quest’ultima La Casa di Carta 4 sono state gestite, possiamo tranquillamente dire no.
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No, La Casa di Carta 4 ci mette di fronte l’inevitabile evidenza che il progetto di Pina non aveva più nulla da dire già dalla sua Parte 3 e che il tutto sembra un continuo loop, questa volta meno divertente, meno avvincente e, se vogliamo, ancora meno credibile di ciò che c’è stato presentato precedentemente.
Il tutto è forzatamente esasperate, puzzando di continuo già visto minuto per minuto. Una sequela di flashback che servono solo a sollazzare i fan più accaniti di Berlino, senza dare reali contenuti, reali nuove informazioni. La narrazione è costantemente appesantita da questo andare avanti e dietro nel presente e passato, solo per esasperare un minutaggio inutilmente lungo. Si, perché La Casa di Carta 4 è formata da 8 episodi dalla durata circa di 50-60 minuti.
I personaggi sono delle macchiette mosse non si capisce bene da cosa. Non sono motivati. Sono l’esatta rappresentanza dei topi in trappola. Si muovono senza raziocino. Da un lato questo potrebbe essere un aspetto voluto, anche sensato, se solo qualcuno si fosse preso la briga di giustificarlo, strutturarlo ma anche solo scriverlo in sceneggiatura. Invece, il risultato finale, da l’impressione che ogni singolo personaggio si muova seguendo un copione diverso dall’altro. Confusionario. Caotico.
I dialoghi sono scialbi, distratti, poco esaustivi. L’azione si incastra continuamente. Non c’è mai un vero colpo di scena o plot twist. Non c’è mai la concreta intenzione di sorprendere lo spettatore con qualcosa di nuovo, ma si ricorre sempre all’uso di mezzucci che distraggono e fanno perdere il filo, anche quelle rare, rarissime volte, che si riesce a tenere il fiato sospeso.
La stessa caratterizzazione è completamente abbozzata e fa perno unicamente sulla struttura dei personaggi un anno prima, solo rendendoli tutti ancora più insopportabili, a cominciare dalla mina vagante Tokyo (Úrsula Corberó). Le solite dinamiche, le solite azioni, i soliti bisticci da bambini ripetuti fino allo stremo. In modo molto grezzo possiamo dire un “allungare il brodo fino ad annacquarlo del tutto”.
La Casa di Carta 4 è un brodo insapore, povero di ingredienti e dal quale ci vorrebbero mangiare più persone di quante potrebbero davvero.
Perché? Perché nel caso di un progetto come La Casa di Carta non basta aumentare il budget, mettere qualche location esterna esotica in più ed aggiungere un paio di operatori che si improvvisano grandi esteti dell’immagine filmica. Nel caso de La Casa di Carta, il lavoro va fatto a monte, ovvero bisogna partire dalla sceneggiatura.
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Non si può davvero sperare di usare gli stessi escamotage senza cadere nel ridondante, nel forzato. Non si può davvero credere che i continui deus ex machina inseriti all’interno di ogni singolo episodio possano salvare la baracca senza spezzare la sacrosanta incredulità dello spettatore sulla quale si basano decenni di storia del cinema.
La Casa di Carta non è una Maserati, ma una 500.
Usando una volgare metafora adoperata, in un contesto differente, da uno dei personaggi di questa Parte 4: “La Casa di Carta non è una Maserati, ma una 500. E non si può pretendere che una 500 corra come una Maserati”. Tutto ciò che di apprezzabile c’era ne La Casa di Carta era dovuto proprio alla sua essenza semplice, genuina, anche un po’ improvvisata. Era dovuta ai suoi personaggi ingenui, pronti a tutto per avere qualcosa. Pronti a mettersi davvero in gioco pur di avere una sola singola rivincita da parte della vita. Ma adesso, quegli stessi personaggi che a distanza di un anno dagli eventi della Prima e Seconda Parte ci appiano ancora così infantili e terribilmente incoerenti con gli eventi che inevitabilmente avrebbero dovuto cambiarli, hanno tutto da perdere. Talmente tanto da avere paura, da essere frenati, da non avere coraggio ed essere forzati in ogni singola azione, in ogni singola battuta.
Ed è e così che ci appare La Casa di Carta 4: una serie che ha talmente tanto perdere, da non avere voglia di mettersi in ballo davvero.
E no, non basteranno di certo i nuovi teatrini con l’ennesima canzone (anzi, canzoni) italiana da cantare in goliardia come simbolo di speranza a salvare una serie il cui grande pregio era proprio quello di non prendersi sul serio, mentre adesso vorrebbe gareggiare in un mondo di grandi macchine da corsa, ma senza averne le capacità, gli strumenti adatti anche solo a provarci.
In conclusione della recensione di La Casa di Carta 4 possiamo dire che la grande premessa di questa seconda stagione, ovvero il caos scatenato dagli eventi della parte 3 e che dovrebbe muovere gli eventi di questa ultima (si spera) parte, non fa altro che rigirarsi contro la serie stessa, dimostrando di essere un vero e proprio caos senza né capo né coda.
I personaggi sono completamente in balia di loro stessi. Non c’è un filo logico che porta avanti l’azione. Tutto è un continuo ripetersi di passaggi già visti nella prima stagione, appesantiti dallo smodato e completamente errato uso dei flashback, che non fanno altro che sottolineare come le idee siano finite e che ormai dell’opera originale del 2017 sia rimasto unicamente il nome.