La Bmw E23 filava via liscia nella notte. Si trovavano in un punto imprecisabile sull’autostrada in direzione Pesaro, di sicuro prima di Bologna, forse in un’altra dimensione.

Non era importante, non per Marco.

Era Adriano quello che parlava e Adriano non parlava da un po’. Tempo previsto per il tragitto? Tre ore e mezza, quattro con soste, ma era chiaro che una sosta almeno bisognava farla perché nessuno avrebbe retto tanto silenzio.

Adriano mise la freccia e, con dolcezza, la macchina passò sulla seconda corsia per superare un camion che trasportava maiali. Marco cercò di vedere i musi delle bestie tra le fessure delle lamiere, ma all’interno del camion c’era solo buio.

Marco non aveva voglia di andare a Pesaro e non aveva voglia di andarci con Adriano, ma ormai era in ballo e non poteva più tirarsi indietro. Andava fatto e basta.

Perché?

Non se lo ricordava più.

Adriano sorrideva. Mani sul volante guardava la strada come si guarda un bambino che ride. Era chiaro che amava quella colata di cemento. Era chiaro che quella era casa sua. Guidare era il suo lavoro, così aveva detto a Marco, non l’avesse amato sarebbe stata dura per lui macinare tutti quei chilometri ogni santo giorno senza impazzire.

Arrivati a Bologna seguirono l’autostrada che, a un certo punto, fiancheggiava come un boa la tangenziale. I cartelli sulla carreggiata indicavano Rigel IV, uscita Fiera, Isola che non c’è, Centro… Le gallerie si alternavano ai tratti all’aperto in un colossale mausoleo di auto rischiarato dalle stelle fredde e dalle luci al neon. Quanti incidenti c’erano stati in quel tratto di strada? Quanti corpi erano finiti smembrati e spappolati in un delirio di lamiere, parabrezza sbriciolati, semiasse divelti e airbag esplosi?

Adriano tirò un sospiro di sollievo: «Il grosso è passare Bologna, poi l’A14 è una passeggiata».

Qualcuno arrivava a destinazione, qualcun altro no. Non c’era un modo per stabilire a priori chi sarebbe sopravvissuto e chi invece sarebbe stato ingoiato dal quella specie di Tanit lunga 6.500 chilometri.

Era ingiusto, ma era così.

Come faceva la gente a mettersi con tanta ingenuità al volante di quelle bare di alluminio? Cosa c’era sotto il cofano dell’auto nuova che tranquillizzava il buon padre di famiglia al punto da fargli rischiare la vita di sua moglie e della sua prole?

Marco non riusciva proprio a ricordare. Di recente erano tante le cose che non riusciva a ricordare. Si abbandonò sul sedile beige della Bmw E23 di Adriano, gli interni in radica erano orribili e così pure il cruscotto con le lucine verdine da film di fantascienza anni settanta.

Superata Bologna Adriano mise la freccia e uscì.

Adriano era un ex militare, aveva fatto l’Afghanistan e poi si era congedato perché ne aveva avuto abbastanza di morte e violenza. Tornato in Italia si era messo a fare il corriere perché la gente non ti spara addosso con un RPG mentre consegni cretinate comprate su Amazon.

«L’Italia mi è mancata», gli aveva raccontato Adriano. «Qui nessuno mette suo figlio imbottito di tritolo in mezzo alla strada».

Attraversarono il parcheggio deserto dell’autogrill del Sillaro e alla fine Adriano parcheggiò, si voltò verso Marco e disse che doveva sgranchirsi le gambe e bere un caffè.

Marco non aveva nessuna voglia di perdere tempo, ma disse comunque che andava bene e che avrebbe offerto lui.

«Lascia stare», disse Adriano. «Offrirai la prossima volta».

Nel parcheggio una prostituta dell’est stava litigando con un camionista, aveva le calze rotte e un boa di struzzo al collo. Quel posto terrificante apparteneva a loro: camionisti, prostituite, autisti di pullman che accompagnano ragazzini in gita e famigliole in vacanza.

Marco e Adriano entrarono nel prefabbricato illuminato a giorno per illudere gli automobilisti di essere in un ristorante sul pianeta Terra, in Italia e non all’inferno.

Il ragazzo alla cassa non li guardò nemmeno in faccia, di certo era un nottambulo, le sue palpebre non si sollevavano mai oltre la metà degli occhi. Adriano ordinò un panino e dell’acqua perché diceva che non bisognava bere al volante. Marco non aveva fame.

«Hai visto che casino a Piacenza», disse Adriano accomodandosi al tavolino con Marco. «Sapessi quanti ne vedo di incidenti del genere».

A Piacenza? Ah, sì, certo. Marco ricordava i fuochi a terra messi dalla stradale e le indicazioni di rallentare perché c’era un incidente all’uscita di Piacenza sud. Sforzandosi riusciva anche a ricordare il momento in cui erano passati accanto alle due auto, una con il bagagliaio sfondato, l’altra appoggiata sul tettuccio. Seduti sul guardrail c’era una coppia di anziani con occhi enormi, fissi sulla strada. I vigili del fuoco stavano tirando fuori un cadavere dalla macchina capottata. Adriano aveva detto «Poveri diavoli» e la cosa era finita lì.

Che senso aveva parlarne?

Cosa c’era da dire sugli incidenti d’auto?

«Ma quello non è l’incidente più strano che mi sia capitato di vedere», disse Adriano. «La sai la storia del bagagliaio?»

No, Marco non la sapeva ma non moriva nemmeno dalla voglia di saperla.

«È una specie di leggenda metropolitana tra noi autisti. Sai cos’è una leggenda metropolitana?»

Marco annuì.

«Mi è successo quando ero alle prime armi. Stavo andando a Rimini, proprio su questa stessa autostrada. All’altezza di Faenza, un tizio si era incartato sotto un camion. Intendo dire che l’aveva tamponato a una bella velocità perché la macchina era accartocciata e si era insaccato pure il culo del camion. Un bel botto insomma, mi spiego?»

Marco annuì di nuovo.

«Un anno dopo, stessa tratta, un altro tizio si è andato a schiantare contro il pilone di un cavalcavia. Stessa dinamica, stessa fine, capisci cosa intendo?»

Marco capiva, l’autista non era sopravvissuto.

«Per un paio di anni, almeno una volta all’anno, in quel tratto di strada ci sono stati incidenti di quel genere ed è davvero strano perché in quel punto l’autostrada è dritta e spaziosa. Forse un colpo di sonno, forse un malore, ma i casi sono diventati un po’ troppi per dare sempre la colpa alla fatalità».

Adriano si mise a mangiare e per un po’ rimase in silenzio.

Marco lo guardò incuriosito, quella pausa inattesa forse era un modo per aumentare la suspense, magari Adriano ce la stava mettendo tutta per rendere quel viaggio meno noioso di quanto fosse in realtà. Marco apprezzò il gesto e gli chiese di continuare la storia.

«Tra gli autisti gira una diceria», disse Adriano. «Magari è solo una balla, anzi di certo è una balla, ma a quanto pare tutti questi incidenti sono stati causati da un fantasma».

Marco lo guardò dritto negli occhi, poi scoppiò a ridere.

Un fantasma sull’autostrada era esilarante persino a quell’ora di notte.

«Ah, ridi? Bene, ma scommetto che non rideresti tanto se te ne trovassi uno davanti», disse Adriano. «Sai qual è la costante di tutti quegli incidenti?»

Marco scosse la testa.

«Gli autisti erano soli, non c’era nessun altro con loro nell’auto. Ora arriva il bello, tieniti forte. A un certo punto del tragitto qualcuno bussa dall’interno del bagagliaio».

Marco guardò un mamma che stava allattando.

«Allora che succede?» proseguì Adriano. «Magari il conducente per un po’ fa finta di non aver sentito niente perché è in viaggio da solo e di solito le valige non bussano. In viaggio succedono cose strane e tante volte è meglio far finta di non aver visto e tirare dritto. Poi però sente ancora bussare dal bagagliaio e questa volta è proprio un pum, pum, pum di quelli che non si possono ignorare. Allora l’autista ha la possibilità di scegliere: continuare a fare finta di niente, oppure fermarsi e controllare il bagagliaio. Tutti gli autisti coinvolti in quegli incidenti si sono fermati e hanno controllato».

Come faceva a saperlo Adriano?

«Come faccio a saperlo?» disse Adriano. «Vediamo un po’… Le telecamere. Sull’autostrada ci sono, non lo sapevi?»

Era una balla, non c’era nessuna telecamera sull’autostrada e se anche ci fosse stata come avrebbe potuto Adriano visionare i filmati?

«Senti, è inutile che mi guardi così, lo sai che lo so», disse Adriano. «Fammi continuare. L’autista apre il bagagliaio e non trova niente, solo le valige. Allora dà la colpa all’autoradio, forse l’aveva lasciata accesa senza rendersene conto, forse la stanchezza. Si ripromette di fermarsi da qualche parte per dormire. Comunque riparte perché, altra costante di tutti questi incidenti, gli manca poco per arrivare a destinazione. Grave errore, dico io».

Adriano aveva finito il suo panino. Marco gli propose un caffè, avrebbe offerto lui. Adriano rifiutò perché disse che Marco non aveva un euro, non era il caso di disturbare la gente che stava lavorando e andò a prendersi il caffè.

Adriano era un brav’uomo ma, nel cuore della notte, alla sua età, non si potevano raccontare stupide storie di fantasmi. I morti non vanno in giro a causare incidenti, quando si muore non si esiste più, punto e basta, non c’è una vita dopo la morte, non c’è niente dopo la morte. Perlomeno così la pensava Marco ma, mentre aspettava il ritorno di Adriano, si disse che doveva reagire. Doveva apprezzare il gesto di Adriano.

Adriano, dopo aver bevuto il suo caffè, tornò al tavolino e Marco gli chiese di continuare la storia.

«Quale storia?» domandò Adriano abusando delle sue capacità di oratore. «Ah, sì, quella storia. Bene, allora l’automobilista si rimette in viaggio e fa dieci, magari quindici chilometri, forse pensa già alla destinazione, a un letto caldo, o alla mogliettina che l’aspetta a casa. Io non l’ho mai avuta una mogliettina, chissà come deve essere?»

Marco non disse niente, lui sì che l’aveva avuta una mogliettina e ricordarla non era per niente una cosa piacevole.

«Comunque», proseguì Adriano. «Dopo dieci o quindi chilometri si ricomincia da capo: pum, pum, pum. Cosa pensa uno in una situazione del genere? Non lo sai, eh? Te lo dico io, pensa: dov’è l’autogrill più vicino? Voglio vedere la civiltà, altri esseri umani, magari bermi un paio di caffè e telefonare a qualcuno anche se sono le tre di notte. Perché capita a tutti di spaventarsi, cosa credi? Ma l’autista in questione, come tutti quelli degli incidenti di cui ti sto dicendo, è un tipo coscienzioso e non crede nel paranormale, nei fantasmi e in roba simile, più o meno come me. Allora accosta, scende dalla macchina e apre il bagagliaio e il bagagliaio contiene proprio quello che conteneva quando l’aveva riempito. Non c’è nessuno, solo valige».

Adriano prese le sigarette dalla tasca della giacca e si spostarono all’esterno dell’autogrill. Marco non fumava più, non ricordava perché avesse smesso ma era passato un sacco di tempo dall’ultima sigaretta. Adriano si accese una sigaretta poi rimase per un po’ in silenzio a guardare il traffico che seguiva traiettorie pericolose oltre il guardrail, a quella velocità bastava un sorpasso al momento sbagliato, un cambio di corsia brusco e bam, fine dei giochi. Un’ambulanza sfrecciò sulla corsia di emergenza, il rumore delle sirene sembrava il miagolio di un gatto infernale.

Marco domandò se l’incidente succedeva dopo quell’ultimo controllo.

«Sì», disse Adriano inspirando a fondo il fumo della sigaretta. «Ma detta così non serve a chiarire la situazione, così come dici tu la raccontano quelli della stradale che pensano sia stata tutta un’allucinazione. Io dico che questo posto è un po’ come i cimiteri, mi spiego? Non sei né di qua, né di là».

Marco pensò che tra un paio di minuti avrebbe scordato tutta quella storia, che gli sforzi di Adriano non sarebbero serviti a niente. Negli ultimi tempi, la memoria di Marco faceva acqua da tutte le parti, andava e veniva, e gli evitava di rivangare momenti orribili, come il frontale per esempio e lo sguardo di Sara mentre il parabrezza esplodeva in una pioggia di cristalli. Era stata l’ultima cosa che aveva visto prima che l’airbag gli spezzasse il naso.

«L’autista si rimette in viaggio», continuò Adriano. «Solo che dopo un po’ si accorge di non essere solo. Non so se capisci cosa intendo dire, è una sensazione che chiunque faccia il mio mestiere ha ben chiara. Si sta viaggiando tranquilli, la strada fila via liscia, poi di colpo ci si volta per guardare il sedile affianco che è vuoto così come i sedile dietro. Ma tu sai che c’è qualcuno e allora ti si stringe la gola e ti si rizzano i peli. Sai cosa ti domandi in questi casi?»

Marco scosse la testa.

«Chi c’è in macchina con me?» continuò Adriano. «A quei poveri tizi è successa proprio questa cosa e se ti succede questa cosa e non hai un po’ di esperienza, è un attimo sbandare e finire contro un camion».

Marco disse che quindi erano morti per distrazione, che lo spavento aveva fatto distogliere loro gli occhi dalla strada o qualcosa di simile.

Adriano lo fissò dritto negli occhi: «Sì, qualcosa di simile. Adesso però è ora di andare».

Marco chiese quanto mancasse a Pesaro

Adriano sorrise: «Un giorno mi dovrai dire cosa devi fare a Pesaro di così importante».

Un’Audi A3 parcheggiò accanto alla Bmw di Adriano e dall’auto scese un uomo sulla trentina che si fermò per sbadigliare e poi entrò nell’autogrill.

Adriano salì in macchina.

Marco passò accanto alla Bmw, raggiunse il bagagliaio dell’Audi e lo aprì. Rimase per un istante a guardare le valige di quello che doveva essere un rappresentante di qualcosa, poi s’infilò nel bagagliaio.