Sono molte le saghe che, da decenni, vengono letteralmente spolpate fino a che non hanno più nulla, o quasi, da dire. È successo ad Alien, fino a che non è nuovamente subentrato Ridley Scott con il suo Prometheus, seguito a ruota da Alien Covenant. Ma, forse, una di quelle meno fortunate in tal senso è proprio la saga di Predator.

Se vogliamo proprio essere fiscali, il primo capitolo del 1987, diretto da John McTiernan è l’unico veramente degno di nota, forse anche per la presenza di un mostro sacro del genere action come Arnold Schwarzenegger. I seguiti e gli spin off, come i due Alien vs Predator non sono mai riusciti a restituire le atmosfere della pellicola di ormai più di trent’anni fa, per non parlare di Predators, film che seguiva la tendenza di quei reboot/remake/sadiocosa, ma che è caduto nel dimenticatoio nel giro di pochissimo tempo. per rivitalizzare il franchise ci voleva un regista ispirato, qualcuno che fosse realmente in grado di ricreare le condizioni che hanno reso la saga un cult.

L’uomo giusto al momento giusto è stato quel Shane Black che non si è mai distaccato dal periodo degli anni ’80 e ’90, in cui fu particolarmente attivo come sceneggiatore, regalandoci gli script di capolavori come i primi due Arma Letale o del cult- a modo suo – Last Action Hero.

 

 

Grazie alla sua capacità di unire lo spirito dell’action classico a quello più contemporaneo, l’ultimo film della saga, The Predator, è riuscito a rendere giustizia alle origini del brand.

Nonostante le feroci critiche suscitate oltreoceano, il film di Black riesce a riportare lo spettatore alle origini, ricreando alcuni ambienti caratteristici del primo capitolo,

come la folta vegetazione che rappresenta il perfetto territorio di caccia per i Predator (che finalmente vengono chiamati smaccatamente in questo modo nella storia), e in generale regalando quell’intrattenimento genuino e spontaneo che da troppo tempo si era allontanato dai capitoli precedenti.

Non solo, il regista ha saputo mescolare le ambientazioni principali che avevano predominato nei primi due film, ambientando il proprio anche in un ambiente urbano, ma sempre mantenendo la propria inconfondibile impronta.

Sebbene Black abbia diretto il suo primo film, Kiss Kiss Bang Bang, appena tredici anni fa, a fronte di una carriera di sceneggiatore cominciata nel 1987, si è sempre dimostrato perfettamente in grado di dirigere scene action con una verve incredibile, e questa pellicola non fa eccezione, tranne per gli ultimi venti minuti.

 

Photo Credit: Kimberley French

 

Quello che più è stato detestato del film è la parte finale, gli ultimi venti minuti, dove la sceneggiatura diventa improvvisamente approssimativa

Quello che più è stato detestato del film è la parte finale, gli ultimi venti minuti, dove la sceneggiatura diventa improvvisamente approssimativa e perfino le scene più movimentate risultano poco chiare: il motivo è da ricercarsi nella volontà dei produttori di inserire un finale diverso da quello pensato inizialmente da Black, che qui è anche co-autore della sceneggiatura, così da poter lasciare spazio ad eventuali seguiti.

Sebbene i difetti siano innegabili, The Predator rimane un baluardo nostalgico di tutti i film action che hanno popolato le sale con prepotenza fino a vent’anni fa, arricchito da una sceneggiatura sferzante e ricca di citazioni.

Il regista ha saputo mescolare le ambientazioni principali che avevano predominato nei primi due film, ambientando il proprio anche in un ambiente urbano, ma sempre mantenendo la propria inconfondibile impronta.

A rendere il tutto ancora più interessante è un cast di interpreti perfetti per il ruolo, come Boyd Hollbrook, badass contemporaneo reduce da successi come Narcos e Logan, che qui veste i panni di un antieroe che ricorda in parte il personaggio di Schwarzenegger del primo film, ma soprattutto incarna perfettamente il concetto di uomo d’azione che Shane Black ha sempre disseminato nelle sue sceneggiature, non ultimo il Martin Riggs di Arma Letale.

 

 

 

 

E come tutti gli antieroi di Black anche Hollbrook ha il suo partner d’azione, rigorosamente afroamericano, come tradizione vuole, e che in questo caso è interpretato Trevante Rhodes: il suo Nebraska Williams è perfettamente caratterizzato nei minimi dettagli e riesce a colpire anche senza il bisogno di alcun approfondimento psicologico.

Il personaggio femminile, interpretato da Olivia Munn, non si astiene dal ricordare la maggior parte dei suoi predecessori nel panorama dei film di genere qui omaggiati, con la differenza che non ci sono love story ingombranti tra lei e il protagonista, o momenti che posso risultare imbarazzantemente legati a questioni di natura sessuale.

Questa è la forza di Black da sempre, ovvero il riuscire a scovere personaggi che rimangono in mente per i loro vezzi o per le catchphrase geniali. Oltre a un villain di contorno che si fa odiare quanto basta, interpretato dal grande Sterling K. Brown, e un set di comprimari che divertono e intrattengonono tra cui abbiamo anche Alfie Allen (il Theon Greyjoy di Game of Thrones), c’è una gradita sorpresa.

Un altro marchio di fabbrica di Black è l’inserimento nelle sue opere di un personaggio interpretato da un bambino, caratteristica di molti buddie movie e di parecchi film action in generale. La formula che vede al centro della redenzione del protagonista tormentato il suo attaccamento emotivo a un bambino la ritroviamo nel già citato Last Action Hero, ad esempio, ma anche nelle sue opere da regista più recenti, come Iron Man 3The Nice Guys.

Nel caso del film Marvel, personalmente, avevo trovato la scelta semplicemente sbagliata, dal momento che il personaggio del bambinetto saputello era oltremodo irritante, ma in The Predator le cose sono andate diversamente. In primo luogo il bambino, figlio del protagonista, ha una funzione estremamente importante ai fini della trama, ma con uno svolgimento perfettamente sensato.

In secundis, a interpretarlo è quel Jacob Tremblay che aveva incantato critica e pubblico in The Room, che si dimostra ancora una volta un interprete eccezionale, aggiungendo valore al suo personaggio, con il quale manda un messaggio non indifferente.

 

 

La parte da leone l’hanno, ovviamente, i cosiddetti Predator. Il modo in cui le creature vengono mostrate nel film è senza dubbio interessante.

Infine, la parte da leone l’hanno, ovviamente, i cosiddetti Predator. Il modo in cui le creature vengono mostrate nel film è senza dubbio interessante, perché nonostante non ci venga detto poi molto su di loro, la caratterizzazione che gli è stata riservata, anche solo per quanto riguarda il loro modo di comportarsi, è sensazionale.

È evidente che Black ha saputo attingere, seppur in maniera aleatoria, a tutto il materiale che da anni costituisce l’universo espanso del franchise, dai libri ai fumetti, ed è riuscito a rendere queste creature aliene in maniera affascinante,  mettendo l’accento sulla loro pericolosità, ma ribadendo che non si tratta di esseri spregevoli in toto.

La differenza sostanziale tra gli umani e i Predator è meramente culturale: per questi ultimi, infatti, la caccia è un momento sociale e di affermazione, con cui si misurano forza e valore.

Concetti forse primitivi, ma che sono descritti in modo da essere resi plausibili e, a tratti, in contrasto con l’incredibile evoluzione tecnologica della specie presa in esame. Inoltre c’è stata un’espansione, a livello cinematografico, della varietà delle creature che compaiono, rendendo il film ancora più divertente e interessante per tutti i fan de franchise.

In conclusione, a dispetto delle critiche ricevute, The Predator è un film nostalgico e che più di qualunque altro capitolo ha saputo rendere onore al nome che porta, regalando allo spettatore ciò che prometteva fin dal primo trailer.

Provate a pensare a come sarebbe potuto essere senza le ingerenze della produzione, che hanno distrutto parte del senso che Black gli aveva dato per tre quarti.

E poi piangete, ma magari non troppo.

 

 

The Predator arriva nei cinema italiani il prossimo 11 ottobre.