Probabilmente non c’è periodo storico più indicato per far uscire quello che potrebbe essere il punto di arrivo e ripartenza di un genere cinematografico che da mezzo secolo attira e respinge autori, spettatori e crea discussioni su temi altamente infiammabili.
Di cosa sto parlando?
Di uno dei sotto-generi più discussi e discutibili del cinema, il rape & revenge.
Un filone che, come vedremo, ha coinvolto grandi autori, registi di culto e mestieranti dei B-movie, cercatori dello shock a a tutti i costi, dello splatter e della violenza gratuita, ma che quasi mai risulta arido.
La trama di questi film è sempre la stessa: una donna subisce una violenza imperdonabile e, dopo aver superato traumi fisici e psicologici, si vendica nella maniera più efferata.
Legge del taglione? Certo.
Persino i più sensibili di noi alla rettitudine, messi di fronte a scene del genere, si sentono a disagio e diventa difficile difendere una parvenza di “legge morale”.
Questo è ciò che più affascina del genere: crea dibattito, divisioni, fa assaporare la catarsi nella stessa violenza che vorrebbe condannare, questa volta di segno opposto.
Liberatoria, soddisfacente, così simile a una parvenza di giustizia che spesso nella realtà manca.
Il rape & revenge è ben lungi dall’essere una mera questione di exploitation e nei migliori casi diventa una vera e propria riflessione antropologica, bagnata dal sangue, dall’insensatezza e dall’insostenibilità delle azioni – siano cause o conseguenze.
Siamo costretti a sospendere il giudizio e partecipare a quella che, per dirla con La Sposa di Kill Bill, è una “ruggente furia vendicativa”.
Ed ecco che il filone torna a rinvigorirsi con un film che ha tutta l’aria di voler essere un nuovo caposaldo del genere, prima di tutto per una caratteristica che sta nella firma.
“Revenge” – che esce nei nostri cinema il 6 settembre – ha la particolarità di essere il primo film del genere scritto e diretto da una regista donna, Coralie Fargeat, e se il canovaccio e lo svolgimento, anche a giudicare dal trailer, sembrano essere quelli di sempre, è altissima la curiosità di vedere come la materia sarà trattata.
Non fatevi ingannare dalle immagini (benissimo girate e fotografate) che sembrano mostrare l’intero film, lo stile è quello che farà la differenza:
Al di là della presenza scenica della protagonista, la nostra Matilda Lutz (papà americano, mamma italiana, diverse esperienze nel nostro cinema), sembra esserci davvero diversa carne al fuoco, che ne farà una visione quasi obbligata per gli appassionati del genere action/thriller/horror e un titolo interessante anche per il pubblico generalista (ovviamente non impressionabile).
Per entrare meglio nell’argomento, ho preparato una carrellata di titoli imperdibili e da recuperare per comprendere meglio le dinamiche che stanno alla base di un genere cinematografico troppo spesso liquidato in fretta, ma che esprime davvero molte potenzialità.
Questi film iconici hanno originato critiche, emulazioni, spoof, sequel apocrifi o copie spudorate, ma sono tutti entrati di diritto nella storia. Il resto delle pellicole di questo variegato genere lascio a voi il compito di scoprirle.
La Fontana della Vergine
Ingmar Bergman, 1960
Avete letto bene entrambe le cose: 1960 e Ingmar Bergman.
Avreste mai pensato di vedere il nome di uno dei più grandi maestri del cinema d’autore e un anno non proprio così recente in una rassegna che parla di violenze, stupri, vendette sanguinose?
In realtà è proprio qui che il genere affonda le sue radici.
Questo film vincitore dell’Oscar come migliore film straniero, ispirato a una leggenda svedese, non è certo il primo a parlare di violenza perpetrata su una ragazza innocente, ma lo fa in una maniera tanto magistrale e spietata da essere citato continuamente come fonte di ispirazione per registi delle generazioni successive.
Lo stupro e l’assassinio brutale di una vergine, che doveva interpretare la Madonna da parte di briganti che poi hanno la sfortuna di cercare riparo a casa del padre della giovane, è forse uno dei più sublimi esempi di stile “alto” che tocca temi “bassi” e lo fa con una inesorabile durezza.
Tanto che, arrivati a fine visione, si è talmente svuotati per le conseguenze della vendetta (che non risparmia nessuno, neppure chi non c’entra) che vedere un “miracolo” sembra l’unica cosa capace di farci tornare in pace col mondo.
L’Ultima Casa a Sinistra
(The Last House on the Left)
Wes Craven, 1972
Uno dei giovani registi “folgorati” dal film di Bergman è stato sicuramente Wes Craven, che esordisce sul grande schermo con un quasi-remake ancora più cattivo, spietato, violento, sanguinoso e senza morale.
Prima dei mostri sovrannaturali, insomma, ci sono i mostri reali, e nessuno più del Krug impersonato da David Hess (quello che cantava la canzoncina “Speedy Gonzales”!) esprime bene, a distanza di decenni, la follia insensata e omicida che si annida nel mondo.
Censuratissima, criticatissima, girata con una crudeltà micidiale e figlia del clima contro-rivoluzionario post-sessantotto, questa pellicola ha assunto negli anni un valore sempre maggiore.
Ancora oggi durissimo e quasi insostenibile in alcune scene, il film di Craven prodotto dal mitico Sean S. Cunningham (il “papà” della saga di Venerdì 13) è il vero e proprio capolavoro del genere, anche se – come nel suo modello – la vendetta non viene consumata dalla stessa vittima ma dai parenti.
E che vendetta! Vedere per credere. Inutile il remake uscito nel 2009.
Non violentate Jennifer
(I Spit on Your Grave)
Meir Zarchi, 1978
Titolo cretino in Italia, che sostituisce quello ispirato a Boris Vian originale, per quello che è davvero il pezzo che codifica l’intero mosaico del rape & revenge.
Jennifer (Camille Keaton, pronipote del leggendario Buster) è una scrittrice che si reca in una villetta di campagna per terminare il suo ultimo romanzo.
La campagna (e i campagnoli) saranno una trappola quasi mortale per lei, stuprata ripetutamente e lasciata per morta.
Il regista Meir Zarchi rimase scioccato da un’esperienza reale: dopo aver soccorso una ragazza vittima di violenza di gruppo, si scontrò con l’atteggiamento di sufficienza e il disinteresse delle forze dell’ordine, che quasi non diedero peso alle accuse della giovane che pure aveva la mandibola rotta.
Da lì decise di scrivere e dirigere una pellicola dove una donna si faceva giustizia da sola.
Idea interessante, ma osteggiata e criticata e che rimase senza distributore.
Zarchi fu costretto a promuovere e far proiettare il film per conto suo, mentre grandi intellettuali come Roger Ebert definivano il film…
Spazzatura, esperienza deprimente da vedere
Eppure, nel corso degli anni e delle proiezioni, il film ha assunto i contorni di cult-movie e ha ispirato moltissime nuove leve del cinema a basso costo, grazie a una messa in scena rudimentale ma sapiente (il montaggio è sempre del regista) e un dosaggio della violenza catartica ben assestato.
L’Angelo della Vendetta
(Ms. 45)
Abel Ferrara, 1981
Altro grande nome del cinema d’autore senza compromessi, Ferrara firma alla sua terza opera uno dei capolavori dell’exploitation mondiale.
All’epoca ancora selvaggio e viscerale, reduce dalla lucida follia disperata e splatter di Driller Killer (1979), l’autore firma assieme al suo complice, lo sceneggiatore Nicholas St. John, la sua opera della maturità che entra di diritto nel territorio cult.
Con la presenza disturbante e conturbante della protagonista Zoë Lund (all’epoca delle riprese diciassettenne), Ms. 45 è ancora una volta un disperato e nichilista ritratto di una persona ai margini della società, che subisce violenza e porta alle estreme conseguenze le sue (re)azioni.
Qui, infatti, a fare le spese delle angherie subite dalla protagonista non sono solo i veri colpevoli.
Anzi, sono soprattutto uomini che spesso non hanno fatto niente di male (per quanto ne sappiamo).
La sequenza finale, con lei vestita da suora, è entrata per direttissima nell’immaginario cinematografico collettivo.
Da notare che Zoë poi scrisse la sceneggiatura di quel capolavoro che è Il Cattivo Tenente…
Thriller
(Thriller – en grym film)
Bo Arne Vibenius, 1974
Uno dei miei film preferiti in assoluto per quanto riguarda i b-movies, di quelli pesantemente weird ma capaci di infilare dentro una quantità di elementi iconici e di aneddoti realizzativi da far paura.
L’immagine dell’attrice Christina Lindberg con benda sull’occhio, impermeabile nero e fucile in spalla è forse una delle più potenti mai realizzate nei film exploitation, e uno come Tarantino lo sa bene…
Il film è una via di mezzo tra un rape & revenge, un porno (per gli inserti poi spesso tagliati via dalle edizioni home video) e un art-movie dalla regia e dai ritmi strampalati.
Il regista e factotum Bo Arne Vibenius (che firma con pseudonimo: Alex Fridolisnki) ci ha dato dentro in maniera pesante.
Violenza sui minori, droga, prostituzione, mutilazioni, violenza: tutto questo viene subito dalla protagonista che solo dopo la fuga riuscirà a vendicarsi in maniera soddisfacente delle persone che le hanno fatto subire l’inferno.
Aneddoto cultissimo: c’è chi dice che per la scena in cui viene cavato l’occhio alla protagonista, invece di utilizzare un manichino in lattice sia stato utilizzato un vero cadavere.
Fase di lancio: “Il primo film a essere TOTALMENTE vietato in Svezia!”
Spoiler: non è vero, c’era già stato un film, nel 1912 (!!!) dal titolo Trädgårdsmästaren, che per scene di violenza si era aggiudicato questo primato.
L’ultimo treno della notte
(Aldo Lado, 1975)
Giusto citare anche l’esponente italiano del genere, che ha avuto grande eco e successo in tutto il mondo.
Uno dei più scioccanti film girati in Italia per quanto riguarda sesso e violenza, un film “natalizio” ambientato in modo sagace e claustrofobico su un treno, dove dei balordi terrorizzano la gente per poi pagarne le conseguenze.
Nel mezzo, stupri con un coltello, nazisti ridicoli, fucilate, persone lanciate giù dai convogli in corsa e naturalmente violenza a profusione da parte del “buon cittadino” che si improvvisa angelo della giustizia.
Massacrato dalla critica che pure gli riconosce una costruzione della tensione magistrale, questo film si è ritagliato il suo spazio a livello internazionale collezionando i BAN di rito, tagli sul girato, e leggende metropolitane conseguenti.