Ormai a ridosso dell’arrivo del nuovo God of War e poi di Detroit: Become Human proviamo ad esaminare l’operato di Sony nel mercato videoludico. É possibile avere successo nel presente rimanendo con un piede nel passato?
Da marzo dello scorso anno il mercato videoludico è stato scosso da quel terremoto che risponde al nome di Nintendo Switch, cui va riconosciuto il merito di aver spezzato un po’ la monotonia di una PlayStation 4 egemone e solitaria in vetta alle classifiche di vendita, con una Xbox One zoppicante, con diverse decine di milioni di unità di scarto.
Sebbene inizialmente l’enorme successo di PlayStation 4 fosse da attribuire più ai demeriti della concorrenza che a oggettivi meriti della console Sony, non è tuttavia da sminuire la grande abilità della compagnia nipponica nell’attrarre e fidelizzare i nuovi utenti. Eppure, se si guardano le attuali tendenze del mercato, PlayStation sembra andare paradossalmente controcorrente, con tanti titoli single player fortemente narrativi, un network online isolato e un’evidente mancanza di fiducia verso il fenomeno del cloud gaming.
Il passato vince sul futuro? Con titoli come God of War, Detroit e Spider-Man in arrivo, il single player sembra tutt’altro che morto (almeno in casa Sony).
Parliamoci chiaro: i titoli da giocare in singolo non hanno mai fatto parte della corrente mainstream del medium, costretti come sono nella loro definizione di durata e linearità. Il pubblico non appassionato infatti, tralasciando determinati casi eccezionali, cerca per lo più esperienze veloci, accessibili, semplici, dove magari essere coinvolti dal meccanismo della competitività. Un esempio lampante di questa tendenza è rappresentato ora dai giochi Battle Royale come PlayerUnknown’s Battleground e Fortnite, ma un altro fenomeno che da anni non accenna a diminuire è quello dei MOBA come League of Legends e degli MMO.
Il calendario di Sony di questo trimestre sembra invece raccontare una storia del tutto diversa, ricco di importantissime esperienze tripla A ad altissimo budget, che affrontano temi profondamente diversi, ma sono tutte accumunate da una narrativa imponente che non lascia troppo spazio a co-op e modalità online. Se si sorvola però sulle apparenze e si va nel concreto, manovre del genere non sono poi così anti-commerciali, anzi.
Dove infatti i GaaS (Game as a Service) fatturano tramite microtransazioni e continui add-on, le titaniche produzioni first party puntano tutte sulle vendite hardware delle rispettive console di riferimento, spingendole a livello di immagine.
Una line up ricca, variegata e di qualità garantisce non solo un’offerta da vendere ma anche materiale per un marketing efficace, in grado di parlare con semplicità all’utenza generalista raggiungendo così bacini d’utenza potenzialmente immensi, come ha ben capito anche Nintendo con la pubblicità di Arms che vede come testimonial la coppia Maionchi – Donnarumma.
Sul lungo termine Sony ha fatto invece qualcosa di molto ambizioso, mettendo in moto un processo ventennale in cui è riuscita nell’impresa di fidelizzare una parte della community e che si traduce nel suo benessere attuale.
L’astuzia della società, come di certo i nostalgici ricorderanno, parte dalla sostituzione a Nintendo nel mercato dei jrpg dalla fine degli anni ’90, si muove attraverso il monopolio dei survival horror ad inizio anni 2000 e arriva fino alla reinterpretazione degli action – adventure con la saga di Uncharted, presa a modello per il reboot di Tomb Raider e anche per tante, tante altre produzioni.
Durante gli ultimi anni si è tornati finalmente a parlare di unire le community delle diverse piattaforme in un unico ed immenso ambiente di gioco, un sogno avuto dai più sin dalla nascita dei primi network di rete.
Vuoi la necessaria flessibilità dei cicli console (vedi Xbox One X e Playstation 4 Pro), vuoi l’insorgenza dei dispositivi mobile e dei GaaS, oltre alle maggiori possibilità tecnologiche, l’attuale generazione aveva tutte le carte in regola per essere la generazione eletta.
E in effetti ci siamo… più o meno. Prendiamo il meritorio caso di Epic Games con Fortnite: i giocatori da Xbox Live sono in grado di giocare anche con utenti PC e mobile, ma non con quelli su Playstation Network (e viceversa), per volontà proprio di Sony.
Stesso discorso si può fare con Psyonix, che, dopo mesi di impegno per raggiungere il cross-play in Rocket League, si è vista negare dalla società giapponese la piena attuazione del progetto.
Al di fuori di comunicati stampa di facciata, il motivo da parte della società nipponica per ostracizzare un tale progresso è da trovare tutto nella volontà di sfruttare i suoi – importantissimi – numeri per forzare ad entrare nel proprio ecosistema.
Pensate al caso più semplice, un bambino “boxaro” costretto ad acquistare PlayStation 4 per giocare con amici “sonari” sul titolo di Psyonix. Sul lato concreto, se da una parte si mantiene così intatto il network, evitando l’ingresso dei cheater dal PC, si finisce inevitabilmente col non fornire un servizio all’utenza, laddove la concorrenza si è invece già mossa da tempo.
L’isolazionismo ha quindi resistito con difficoltà durante questa generazione, ma è destinato a fallire in futuro, vista la tendenza del mondo dello sviluppo a raggiungere e unificare più piattaforme possibili, come già spiegato in diversi talk all’ultima GDC di San Francisco. Le forti correnti economiche del mercato non possono essere tenute a bada nemmmeno dal prestigio e dalla popolarità del marchio PlayStation.
Il messaggio è “rinunciate a fare giochi incredibilmente belli da vedere, ma create esperienze che possano girare su ogni piattaforma”
Quando nel 2012 Sony acquistò Gaikai, nota compagnia addetta al cloud gaming, tutti immaginarono grandi cose per l’allora imminente PlayStation 4. La nuova ammiraglia del colosso nipponico avrebbe supportato lo streaming di videogiochi? Avrebbe sfruttato la tecnologia per facilitare gli immensi carichi di calcolo?
Sei anni dopo l’intera operazione sembra quasi un colpo sparato a vuoto, più vicina a un compromesso che all’evoluzione tanto attesa. Da Gaikai sono nati Share Play, funzione (poco ottimizzata e spesso bloccata) per prendere virtualmente controllo del DualShock della console di un amico, e PlayStation Now, servizio che costa 100$ l’anno e permette lo streaming di PlayStation 3 e PlayStation 4 su diversi dispositivi.
La diffusione di quest’ultimo è stata gestita sempre con una grandissima cautela fin dalla sua genesi, attraverso una distribuzione molto frammentaria e con diverse versioni beta. Dopo tanto travaglio ha toccato anche l’Europa, ma indovinate un po’ chi sono gli sfigati? L’Italia non è inclusa, avete indovinato, mille punti al vincitore!
In ogni caso, mettendo da parte l’assenza del nostro paese, PlayStation Now è un servizio promettente, contando a catalogo circa 600 titoli – numero che lo scorso anno si attestava sui 500 – per far comprendere la costante crescita dell’offerta.
Appare strana la timidezza con il quale Sony nell’ultimo periodo promuove il suo servizio di cloud, evitando spesso di mostrarlo nei vari eventi (conferenze o incontri con la stampa n.d.r.), quasi nel tentativo di evitare di cannibalizzarsi. D’altronde PlayStation Now risulta per certi versi un servizio concorrente a PlayStation 4 e non complementare, un po’ come PlayStation VR.
È improbabile però che tutto si risolva nel vaporware, specie con la concorrenza di un universo Xbox dai connotati sempre più particolari, che va a svincolarsi col tempo dal supporto fisico, sia lato hardware che lato software (vedi le strategie Xbox Game Pass o Xbox Play Anywhere).
La tecnologia Gaikai troverà comunque il modo di essere sfruttata, magari proprio per avvicinarsi al complesso modello Microsoft e quindi per separarsi dalla tradizionale visione da console da casa, sempre più anacronistica. Ricordiamoci che il PlayStation Network nacque su PlayStation 2 proprio per fare concorrenza a Xbox Live, tanto per dire; a buon intenditor poche parole.
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Per quanto il quadro che abbiamo tracciato sembri delineare una compagnia che prosegue per la sua strada senza farsi troppi problemi di ciò che la circonda, Sony PlayStation rimane un marchio in realtà molto legato ai gusti e ai tempi del mercato, seppur entro certi limiti.
Questa attenzione verso il mainstream viene dimostrata per esempio dai continui accordi commerciali con Electronic Arts, Activision Blizzard o Ubisoft per contenuti esclusivi (vedi Destiny 2) ed esclusive temporali (vedi la collection di Crash), come anche dalla struttura del Playstation Store, con Fortnite fino a pochi giorni fa in primo piano.