Ready Player One sta per arrivare nelle sale e conquisterà tutti, non solo i nerd. Scoprite perché nella nostra recensione.
Se si guarda al cinema è difficile pensare a una figura più incisiva di Steven Spielberg nel panorama di quella che oggi viene definita pop culture. Stiamo parlando del regista de Lo Squalo e di E.T., di Ai Confini della Realtà, Indiana Jones, Jurassic Park, Hook, Salvate il Soldato Ryan, Minority Report, insomma Spielberg.
Negli anni ha spaziato in tanti diversi generi ma ha saputo parlare come pochi altri dritto al cuore e alla fantasia di innumerevoli generazioni di ragazzi cresciuti guardando i suoi film (importante sottolineare che anche il soggetto dei Goonies, diretto da Richard Donner, è del caro vecchio Steven).
Chi meglio di Spielberg avrebbe potuto realizzare un film sul libro che mirava deliberatamente a diventare il manifesto della pop culture?
Ready Player One di Ernest Cline è un racconto che prende per mano un lettore ben preciso, il nerd, sia esso cresciuto negli anni ’80 o ’90 vivendo in prima persona tutto il processo di popolarizzazione del “suo” intrattenimento, e anche i più giovani che vivono di riflesso il fascino della plastica di un Atari 2600 o di un Super Nintendo, e li catapulta in un mondo dove tutto ciò che amano non è più conoscenza inutile e accessoria, ma la risorsa più importante per trionfare in una competizione per la conquista di un universo.
E anche di qualcosa in più.
L’enorme forza del libro sta proprio nel rendere partecipe il lettore in prima persona, quasi sfidandolo a risolvere gli enigmi e trovare gli indizi prima dei protagonisti.
Si tratta di una sensazione di coinvolgimento che fa tranquillamente soprassedere sulle diverse criticità in termini di scrittura che il testo presenta, ponendosi quasi come un manuale di ciò che è di diritto nel calderone della pop culture.
Adattare l’infinità di contenuti e citazioni presenti nel libro non era affatto un’impresa semplice, e infatti il film presenta molte variazioni che non minano l’integrità del racconto ma lo traducono alla perfezione in un linguaggio diverso, il linguaggio del cinema, di cui Spielberg è un grande maestro.
Chiusa questa doverosa parentesi introduttiva in relazione al libro, andiamo a parlare del film Ready Player One partendo dall’incipit (che poi è esattamente lo stesso del libro) e senza addentrarci in alcun tipo di spoiler, promesso.
La sceneggiatura è stata curata dallo stesso Ernest Cline insieme a Zak Penn e scandisce con un ritmo diverso la vicenda che vede protagonista il giovane Wade Watts (Tye Sheridan). Suo padre gli aveva dato quel nome perché gli ricordava quello degli alter ego di supereroi come Peter Parker o Bruce Banner, il cui nome e cognome inizia con la stessa lettera.
1: La scrittura estremamente superficiale dei personaggi, sempre buttati in una caciara fatta di azione e di esplosioni meravigliosamente eccessive.
2: Conseguenza del punto 1, la successiva caratterizzazione eccessiva dei singoli personaggi, evidenziata in questo film, e non solo, nella parte “villain”, Sorrento in primis, che si, si incazza, ma con un freno tirato piazzato come il blocco del Booster MBK per non farlo andare oltre ai 50kmh.
Anno 2045. Il mondo è un brutto posto, l’inquinamento e la sovrappopolazione della Terra hanno rovinato tutto rendendola un luogo grigio e decadente, una trasposizione iperbolica di un futuro che pone però le basi in problemi reali della nostra società. Columbus, Ohio, è praticamente il centro del mondo.
Perché? Perché lì è nato James Halliday (Mark Rylance), game designer che risponde in tutto e per tutto al peggior stereotipo di “nerd” che possa venirvi in mente. Un disadattato con enormi problemi relazionali, che fin dall’infanzia si è rifugiato in mondi diversi, fosse quello di Adventure o il labirinto di Pac-Man.
Halliday rappresenta quel tipo di stereotipo esaltato a tal punto da risultare quasi una divinità in quel futuro, poiché egli ha costruito Oasis, un videogioco multiplayer online con milioni di utenti che si è evoluto a tal punto da diventare “la realtà virtuale”, connessa su scala globale, ormai rifugio quotidiano per l’intera umanità.
Quello che viene tratteggiato è il ritratto di una società che vive di dualismi estremi, dove ci sono grattacieli lussureggianti e dotati di ogni comfort come quello della IOI e interi quartieri fatti di container e veicoli tenuti su da delle improbabili impalcature metalliche in simil torri di Babele, chiamate Cataste.
Wade, orfano di entrambi i genitori, vive in una di queste con sua zia e approfitta di ogni momento possibile per fiondarsi nella propria tana, nascosta sotto a un cumulo di vecchie automobili, indossare visore e guanti aptici e entrare in Oasis.
In Oasis si può andare ovunque, fare qualsiasi cosa, essere chiunque. La gente va su Oasis per tutto quello che si può fare, ma ci rimane per tutto quello che si può essere. Visto lo scenario dispotico in cui versa il mondo reale, era prevedibile che chiunque avrebbe cercato conforto in quello virtuale.
Spielberg mette in scena con estrema attenzione e delicatezza questa situazione, che se a una prima lettura può apparire tragicomica diventa ben presto tragica e basta. Lo fa con le carrellate di gente sovrappeso che si agita in case minuscole con il visore in testa, talvolta persino trascurando i propri figli.
Per quanto filtrata attraverso la cornice ludica, quella che Ready Player One mette in scena è una distopia bella grossa, e il messaggio del non perdere il contatto con la realtà emerge con una potenza sbalorditiva in tantissimi momenti del film.
James Halliday era un personaggio controverso, visto da molti come un Dio 2.0, ma non di certo un campione di socialità, tanto da aver troncato persino i rapporti con Ogden Morrow (Simon Pegg) insieme al quale aveva creato Oasis.
Tuttavia nessuno si preoccupava più di tanto di lui fino al momento della sua morte, quando con un messaggio trasmesso a tutti i giocatori di Oasis attraverso il suo avatar, Anorak l’Onnisciente, Halliday lancia una sfida promettendo al vincitore il controllo totale di Oasis oltre al suo immenso patrimonio.
Egli ha disseminato nascoste in Oasis tre chiavi, una di rame, una di giada e una di cristallo, come degli easter egg in un videogioco. E gli indizi per trovare le chiavi risiedono nel suo passato e nelle sue passioni, per cui la pop culture dagli anni ’80 diventa una sorta di religione, un culto a cui tutti si appassionano per tentare di vincere il “Gioco di Anorak”.
Wade, il cui alter ego in Oasis è Parzival, sarà il primo dopo cinque anni dall’inizio del gioco ad ottenere una chiave, schizzando al primo posto nel tabellone segna punti e diventando una celebrità.
Insieme al suo migliore amico Aech, ad Art3mis, Daito e Shoto, sarà il simbolo di tutti i “Gunter” (gli Egg Hunter) nella corsa al dominio di Oasis contro la multinazionale IOI guidata dallo spietato Nolan Sorrento (Ben Mendelshon) che non intende fermarsi davanti a niente e nessuno pur di ottenere il controllo totale di quella realtà con lo scopo di renderla il suo parco giochi fatto di microtransazioni e schiavitù virtuale.
L’avventura tieni incollati allo schermo dall’inizio fino alla fine dei 140 minuti di proiezione e propone più livelli di lettura: abbiamo il racconto dell’eroe, la crescita e il superamento delle prove che portano al raggiungimento di uno status migliorativo; abbiamo una storia che tra i freddi numeri di una realtà virtuale riesce a parlare con una forza prorompente di amore e di amicizia; abbiamo una dichiarazione d’amore di Spielberg al cinema e alla pop culture di cui egli stesso fa parte, un esempio più unico che raro di film capace di parlare al cuore di tantissime diverse generazioni.
C’è tutto lo stile dello Spielberg che piace a noi nerd.
La sensazione che ho avuto uscito dalla sala era di aver visto un film degli anni ’80 che parlava con la mia lingua del 2018.
Dal punto di vista visivo siamo su un livello talmente alto da far sembrare le produzioni Marvel dei film di Serie B. Gli effetti visivi, il montaggio, il sonoro, non c’è nulla che non funzioni. Personalmente ero scettico, dopo i primi trailer, circa la mescolanza di computer grafica da videogioco e altri stili, che invece funziona alla perfezione.
Come già detto sopra le variazioni rispetto al libro sono tantissime, ma omaggi e citazioni si sprecano, davvero, e non staremo qui a farvi un elenco di tutte le comparse videoludiche, cinematografiche, del mondo dell’animazione e del fumetto che sono disseminate in Oasis in ogni scena del film.
Grandi assenti, purtroppo, i franchise sotto l’ala di Disney (compresi Star Wars e gli eroi Marvel), ma onestamente il film funziona da Dio anche senza. Laddove il libro si pone come un manifesto leggermente elitario del mondo nerd, il film di Ready Player One riesce ad esserne un vero vessillo popolare.
Correte al cinema a vederlo.