Una volta entrati in quella che sembrava la corsia di un ospedale, ma molto più ampia e luminosa, il mezzo sul quale stavamo viaggiando rallentò delicatamente, adattando in automatico la sua illuminazione interna a quella della galleria.
Il viaggio in “esterna” fu decisamente troppo breve per potermi dare la possibilità di studiare, non tanto Attilan, quanto più il luogo sopra il quale verosimilmente quest’ultima stesse appoggiandosi.
Perchè doveva pur poggiarsi su qualcosa, una struttura così imbarazzantemente immensa non poteva certo starsene sospesa per aria come un palloncino gonfio di elio.
Inoltre la mia mente, complice il silenzio che si era venuto a creare, ricominciò a vagare senza una meta precisa nel mare di parole e di avvenimenti dei quali ero stato involontario e spesso maldestro protagonista nelle ultime ore.
Mi soffermai in particolare sulla misteriosa figura della “Regina Medusa“. Al di là del nome da film horror anni ’50, mi interrogavo sulla natura stessa di questa persona con la quale stavo per avere <<L’onore di colloquiare>>, parafrasandoAyura.
Ma mi chiedevo anche per quale motivo io sembravo quello più insicuro e dubbioso. Quando l’Inumana ci comunicò che avrei potuto, di lì a breve, incontrare questa fantomatica testa coronata nessuno dei miei famigliari disse nulla, anzi, a pensarci bene quasi sicuramente vidi mio padre annuire corrugando la fronte e serrando le labbra, come quando vuoi far capire al tuo interlocutore che sai perfettamente di cosa ti sta parlando.
Come poteva essere possibile che i miei genitori conoscessero questa gentildama mentre io brancolavo nel buio?
Mi allungai allora verso mio padre, senza dare troppo nell’occhio, cercando di bisbigliare il più piano possibile:
<<Papà ascolta, ma tu e la mamma sapete chi è questa Regina per caso? Ho notato che non avete fatto una piega quandoAyura l’ha nominata.>>
Senza distogliere lo sguardo dall’esterno della capsula si spostò leggermente sul sedile, piegando il capo nella mia direzione, e mi disse:
<<Pare sia la sovrana di questo posto e del popolo che ci abita. Mentre tu eri…in incubazione diciamo, è apparsa improvvisamente su tutte le televisioni del mondo interrompendo ogni programma esistente e pronunciando un discorso pieno di roba riguardante la pace e una non meglio specificata “riunione” fra Umani ed Inumani. È stata convincente immagino, sono inoltre sicuro che il suo aspetto fisico le sia stato d’aiuto.>>
<<Fa paura?>> controbattei strabuzzando gli occhi.
<<Macchè, credo sia la donna più bella che io abbia mai visto.>>
Ah…ecco perchè la discrezione e il tono di voce da Messa della domenica, non voleva farsi sentire da mia madre.
Mi ritrassi sul mio sedile, sguardo nel vuoto. Fingevo che quelle scarne informazioni fossero sufficienti, ma dentro di me il delirio da incertezza si era fatto assordante.
Mi trattenni però, cercando di non assumere atteggiamenti che potessero far preoccupare la mia famiglia, d’altronde se loro erano così tranquilli e sicuri, perchè io avrei dovuto dare in escandescenza?
Stavo solo per essere portato al cospetto di una sconosciuta regina aliena, in grado di parlare in mondovisione senza autorizzazione e talmente persuasiva da far si che pressochè tutti i Governi del mondo le accordassero il permesso di prelevare un numero imprecisato di loro cittadini, appena sopravvissuti a quella che potremmo definire un’emergenza medica mondiale, e di portarli in un luogo che sembra uscito dalla mente di George Lucas dopo un trip.
Ma che sarà mai, direte voi.
Questa serie di pensieri intrisi di sarcasmo da due soldi venne interrotta delicatamente dall’arresto del nostro veicolo, che smise di proseguire in linea retta per iniziare a spostarsi verso destra, come attratto da una forza di gravità avversaria di quella che fino a quel momento aveva governato il nostro moto.
Entrammo in una nicchia, perfettamente a misura, che si aprì sul lato opposto a quello dal quale eravamo saliti a bordo, immediatamente seguita dall’apertura delle portiere dell’ovovia cromata.
Ayura fu la prima a scendere, facendoci subito ampi cenni perchè la seguissimo, cosa che prontamente facemmo, conAthonas a chiudere il piccolo corteo che formavamo.
Corteo che proseguì per alcuni minuti all’interno di corridoi asettici e fortemente illuminati, che mi sembrarono tutti desolantemente uguali, fino ad una porta grigia, con disegni geometrici illuminati anch’essi dagli onnipresenti led.
<<Eccoci arrivati al vostro alloggio temporaneo>> disse Ayura mentre con il dito indice disegnava una serie di simboli su di un pannello luminoso al lato della porta, la quale era priva di maniglia.
<<Siamo speranzosi che ne apprezziate i comfort e l’ampiezza, prego entrate pure.>>
Uno alla volta muovemmo i nostri primi passi in quel luogo, che avrebbe fatto le veci di casa nostra per un indefinito periodo di tempo.
Era estremamente ampio, artificialmente luminoso e arredato con un gusto elegante e minimale, sembrava uno di quegli attici da riccastri che si vedono su riviste come AD (ehi…mi piace l’architettura e l’interior design, problemi?).
Al centro della stanza principale troneggiava un divano circolare bianco latte, al quale si poteva accedere da un’unica apertura rivolta verso di noi, tutto attorno c’erano mobili bianchi e neri, con occasionali sprazzi di grigio, in fondo a destra -a vista- c’era quella che a tutti gli effetti non poteva essere altro che la cucina, anche se assomigliava di più alla plancia di comando dell’aeromobile col quale eravamo giunti fin lì.
Una serie di altre porte, simili a quella d’ingresso, facevano da tramite -suppongo- fra la zona giorno e la zona notte.
Unico appunto: non c’erano finestre, tutta la luce era ricreata artificialmente. Vero è che ci trovavamo probabilmente centinaia di metri in profondità nella “pancia” della Città, difficile avere una finestra con panorama.
Non feci in tempo a stupirmi alla vista dei nostri bagagli già ordinatamente depositati in fondo alla stanza (chi li aveva portati?nessuno di noi aveva nulla dentro l’ovovia!) che la lunga ed affusolata mano di Ayura mi si appoggiò sulla spalla destra, rapendo tutta la mia attenzione.
<<Mi dispiace Matteo, ma Sua Altezza ti sta aspettando, avrai tempo dopo per esplorare la vostra casa provvisoria>> era sempre incredibilmente delicata nel pronunciare qualsiasi cosa, ciononostante, sia il suo tono solenne che la sua imponente fisicità ti costringevano sempre a metterti istintivamente sull’attenti.
Salutai i miei in fretta e furia, senza nemmeno controllare che mio fratello fosse ancora addormentato (però non lo sentivo piangere, quindi…) ed uscii dalla stanza con la mia gigantessa dai modi cortesi, lasciando i miei in compagnia di Athonas.
Non ero particolarmente entusiasta all’idea di dover affrontare ancora chilometri e chilometri di tunnel freddamente illuminati, quindi mi rivolsi alla mia accompagnatrice forse in modo eccessivamente sarcastico:
<<Ayura spero vivamente che la Regina non abbia piazzato la Sala Del Trono a cento chilometri da qui, con la giornata che ho avuto non mi dispiacerebbe starmene un po’ in pace con la mia famiglia, anzichè farmi altri tunnel…magari potrebbe venire lei!>>
Probabilmente se mi fossi messo ad insultare lei e la sua progenie avrei ottenuto in cambio uno sguardo meno disgustato.
<<Sua Maestà non si muove per nessuno.>> disse freddamente, guardandomi con quei giganteschi occhi neri e senza pupille. Mi fece sentire ancora più microscopico rispetto a quanto già non fossi vicino a lei.
<<Ma non ti preoccupare.>> aggiunse con una cortesia forzata -dovevo averla veramente offesa, mamma mia che permalosi ‘sti Inumani- <<Non dovrai effettivamente spostarti da qui, a portarti nella Sala del Trono ci penserà Lockjaw, per questioni di sicurezza non ci è ancora possibile svelarti l’ubicazione precisa della Sala all’interno di Attilan, Lock è quindi l’unico che ti ci può portare.>>
<<Ah, capisco.>> ero dispiaciuto per la battuta sarcastica, ma allo stesso tempo tutta quella gentilezza posticcia iniziava a darmi sui nervi, soprattutto se paragonata alle tonnellate di misteri e mezze verità che, di minuto in minuto, andavano ad accumularsi nelle sue parole.
<<È un tuo amico, questo Longjohn? Siete colleghi? È un medico come te e Athonas?>> chiedi fingendo interesse, con l’unico scopo di riempire con un po’ di aria fritta il silenzio imbarazzato che andava creandosi.
<<Ho detto Lockjaw, non Longjohn. E si, è un caro amico.
<<Spero proprio che tu gli faccia una buona impressione, Lock è un fedele alleato ed un amico sincero. Solo mi auguro che tu non rimanga spaventato dal suo aspetto.>>
Capirai, stavo parlando con una donna grigio verde, con gli occhi neri senza pupille e alta come Shaquille O’Neal, niente poteva stupirmi a quel punto.
Boccaccia mia stai zitta.
Alle mie spalle si udì una vibrazione ovattata, che mi fece rizzare i peli del collo, subito accompagnata da un inconfondibile “BARF“, il latrato di un cane di grossa taglia.
Mi girai stupito, non credevo che in luogo tanto alieno ed asettico potessero girare liberamente dei quattro zampe. Ero quindi pronto a comportarmi come un cretino col cane, esattamente come mi sono sempre comportato ogni volta che ne ho incontrato uno, riempiendolo di attenzioni non richieste e parlandogli con la voce da scemo, scandendo le parole come con i bimbi piccoli, come se così facendo la bestia avrebbe avuto meno difficoltà a capire.
Peccato che non mi era mai capitato di incontrare un cane COI BAFFI E GRANDE COME UNA FIAT MULTIPLA.
Lockjaw era una specie di carlino visto attraverso una lente d’ingrandimento, mi si avvicinò sbavando e scodinzolando, io non mossi un muscolo nemmeno mentre mi leccava lasciandomi l’equivalente di una pentola piena di bava addosso.
Nemmeno ora so dire se fossi più stupefatto o più terrorizzato.
Di sicuro posso dire con certezza che Ayura fu estremamente divertita dalla scena, visto che prese a ridere senza un minimo di quel contegno che l’aveva contraddistinta fino a quel momento.
<<Beh, è evidente che gli piaci! Non è così frequente che Lock mostri già da subito così tanto affetto nei confronti di uno sconosciuto!>>.
Ma che culo! Ero glassato di bava dal mento all’inguine, bava che puzzava come cento uova marce, capirete che quindi non avevo tutta questa voglia di festeggiare la nuova amicizia.
<<Lock, il nostro ospite ha appuntamento con la Regina, ti prego di portarlo alla Sala Del Trono.>>
Un momento, non vorrà per caso dire che mi toccherà salire in groppa del bestione fino al luogo dell’appuntamento vero? Al di là della scomodità non avrebbe avuto alcun senso in relazione alla presunta impossibilità di rivelarmi la strada da percorrere per arrivare al cospetto di Medusa.
<<Devo salirgli in groppa per caso?>> chiesi ad Ayura.
<<Oh no, assolutamente no! Vedi, Lockjaw è un Inumano come me e te, il suo potere speciale è quello del teletrasporto. Può portarti ovunque nel mondo in qualsiasi momento tu lo desideri.>>
Teletrasporto? Ma stiamo scherzando? Ma chi se ne fotte della Regina, sacco di pulci portami immediatamente nella doccia di Nicole Grimaudo!
Non feci però in tempo a pronunciare quella richiesta da adolescente pervertito perchè il cagnolone mi si parò davanti, appoggiandomi una delle sue enormi zampe in maniera inaspettatamente delicata su di una spalla.
Riuscii a notare che sulla sommità del suo cranio facevano bella mostra di sè due piccole antenne, come se avesse una specie di diapason infilato nella scatola cranica.
Quelle due estremità metalliche presero a vibrare ed immediatamente furono buio e silenzio.
- continua: Una Nebbia Estiva (serie)