Nel secondo giorno della 74° Mostra del Cinema di Venezia arriva una delle pellicole più attese della kermesse e dell’intero anno cinematografico: The Shape of Water di Guillermo Del Toro. In bilico tra una favola gotica e una tragedia greca, il rimando alla nostalgia de Il Labirinto del Fauno, ci riporta al cinema un’opera matura e profonda, immediatamente riconoscibile nello stile del regista.
Dopo la scottante delusione di Crimson Peak, non poche erano le aspettative legate al nome di un regista tanto particolare come Guillermo Del Toro. The Shape of Water apre il secondo giorno della 74° Mostra del Cinema di Venezia, facendo innamorare la critica al primo sguardo.
Fin dal primo trailer, le aspettative per questo titolo erano decisamente alte, soprattutto perché il suo protagonista, la creatura anfibia, ricordava tantissimo un “certo” Abraham Sapien di Hellboy. E sebbene nel corso della pellicola c’è sempre la sensazione di riconoscere la creatura in Abe, nella conferenza stampa il regista messicano ha affermato:
Ufficialmente non è assolutamente un prequel di Hellboy. Alla fine è un po’ il solito gioco: così come tutti i gorilla sono figli di King Kong, così la creatura può essere figlio del Mostro della Laguna Nera.
Nonostante il nostro Guglielmone non ci convinca del tutto, le ansie pre-film e paura di restare delusi ancora una volta, vengono spazzate via fin dall’inizio dei The Shape of Water. La magia di Guillermo Del Toro cade su tutto il Lido di Venezia, stregando letteralmente la critica con il suo The Shape of Water.
Una storia d’amore universale, dove il regista, in un periodo storico come il nostro, non troppo differente dai sogni traditi dell’America anni sessanta in cui si ambienta il film, invita a scegliere l’amore. Chiede di non cedere alla paura, al cinismo, ma di lasciare entrare l’amore nelle nostre vite.
Non importa di chi o di cosa, tutti possono amare, e tutti possono sentirsi uguali, anche nelle proprie diversità.
Indubbiamente anche un film di accettazione e, per certe sfumature, un film politico, un film di sacrifici e di scelte. The Shape of Water offre tantissime chiavi di lettura, ed elemento cruciale è proprio la creatura, volutamente senza nome, volutamente senza background, rappresentante per i personaggi significati diversi.
Dai titoli di coda possiamo immediatamente riconoscere il mondo in bilico tra fantasia e gotico del regista messicano. Si prende un grosso respiro, ci si immerge, come se fossimo davvero in mare, lasciandosi poi trasportare tra le onde delle immagini, dalle meravigliose melodie della colonna sonora di Alexandre Desplat, dove l’acqua prende molte forme e i colori e luci racconto più di quanto possano fare le parole.
Un film da osservare, studiare nei piccoli particolari, tutti perfettamente dosati fin dall’inizio, dando allo spettatore gli strumenti necessari per capire questa storia, dalla superficie semplice ma dalla complessa profondità.
Stupore, curiosità, paura, rabbia, amore. Un ventaglio di emozioni che arriva direttamente allo spettatore, lasciandolo scivolare nel magico mondo apparentemente silenzioso della sognante Eliza (Sally Hawkins). Del Toro ci lascia entrare in punta di piedi nella routine della protagonista, portandoci con naturalezza nella sua vita, dalle pareti acquose della casa fino a quelle grigie del lavoro. Una ragazza che fischietta sul tram, addormentandosi felice come una bambina, balla il tip tap scendendo le scale, si prepara la colazione e si masturba.
Una donna vera, spensierata ma non ingenua. Fatta di istinti, pulsioni ed emozioni, che ce la definiscono in ognuna delle sue semplici azioni, dagli sguardi maliziosi di fronte allo specchio al preparare la colazione per il vicino di casa. Ed è proprio questo osservare il mondo con spontaneità che fa di Eliza una persona ben più completa di tanti altri, avendo la capacità di scoprire il mondo con la stessa innocenza di un bambino e comprenderlo con la stessa passione di un’eroina valorosa.
Come può, allora, il destino di Eliza non incrociarsi con quello di una creatura mitologica, divinizzata nella sua terra natia, ed osservata nell’America bellicosa come un’arma, un possibile vantaggio nei confronti della Russia nemica?
Esattamente come tutte le favole, basta poco perché davanti agli occhi dello spettatore la forza di Eliza si sposi con quella della creatura anfibia che, il pubblico stesso, a sua volta, impara a conoscere. Da qui si comincia un nuovo capitolo della storia di Del Toro, dove l’uomo diventa la bestia e la bestia si eleva a qualcosa di ben più complicato e al tempo stesso semplice.
La narrazione si anima di emozioni conosciute, ma che per un attimo diventano la nostra prima cotta, il primo appuntamento e anche la prima volta, sospesi in un vortice di sfumature diverse, delicate ma non per questo meno veritiere.
The Shape of Water sa essere una favola, ma sa anche parlare benissimo senza mezzi termini, rappresentando tanto l’amore quanto il sesso, tanto la violenza quando il sangue. Un altalenarsi di romanticismo e macabro, dove l’uno completa l’altro.
Sfondo di tutto questo il fondamentale contesto storico. Un’America piena di sogni, di speranze per il futuro, ma ancora legata agli stereotipi, alla non accettazione del diverso, dove la famiglia è sempre quella bianca, etero, dove il razzismo si consuma in ogni angolo della strada, dal lavoro ai locali per famiglie, e con esso anche il sessismo.
Senza buonismo o retorica, Guillermo Del Toro mette in atto una tragedia matura, dai risvolti agrodolci, che ci portano direttamente agli anni de Il Labirinto del Fauno, lasciandoci interagire con i personaggi, perderci nel loro universo, capendolo e abbracciandolo.
Un mondo che conosciamo, assieme ai suoi personaggi, anche grazie ai dettagli perfettamente curati nella scena. La maestria scenografica di Del Toro si riconosce sempre, accompagnata dal potente studio di luci del direttore della fotografia Dan Laustsen, come ad esempio la casa di Eliza, una sottospecie di acquario in superficie, o quella del vicino Richard, assolata e carica di colori, esattamente come si confà ad un’artista.
Dettagli che si ritrovano in sceneggiatura anche nei dialoghi, come le battute di Octavia Spenser, moglie e donna di colore che deve rimboccarsi le mani ogni giorno per essere rispettata, dentro e fuori casa, oppure i sottotesti meschini e viscidi di Michael Shannon, nell’interpretare Strickland, il violento diretto del laboratorio in cui lavora Eliza.
Ancora una volta nei panni di una della creature mitiche di Del Toro, troviamo il bravissimo Doug Jones che, come già undici anni fa con il suo Fauno e due anni prima con Abe, ci fa innamorare nelle sue movenze, espressioni, nell’innocente e primitiva dolcezza, e nella potenza del suo elemento naturale.
Poesia d’immagini per l’anima, per chi nel cinema si perde, per chi non si vuole accontentare di una vita, ma ne vuole vivere tante, attraverso i sogni, le visioni, dei tanti personaggi.
A coronare il tutto la musica di Desplat, che prolunga il sogno fino alla fine del film, accompagnando lo spettatore anche al di fuori della sala, con la sensazione di essere tornati per un attimo bambini, immaginando il lieto fine di una delle tante fiabe ascoltate prima di andare a dormire.
Probabilmente la 74° Mostra del Cinema di Venezia avrebbe meritato The Shape of Water come film d’apertura. Un sogno ad occhi aperti, una parabola sulla realtà attuale. Un film sull’amore e sul sacrificio, un film che chiede di scegliere ma anche di lasciarsi trasportare dai propri sentimenti. Un film che chiede di non osservare semplicemente ma di agire, e di essere sempre e comunque ciò che siamo davvero.
The Shape of Water sarà distribuito in Italia da 20th Century Fox e arriverà prima nelle sale statunitensi l’8 Dicembre.