Al decimo film Christopher Nolan affronta il genere bellico, raccontando la storia dell’Operazione Dynamo, imprigionando i suoi protagonisti in una striscia di terra tra mare e cielo, in cui il nemico è una presenza senza volto e l’unico valore rimasto la sopravvivenza a ogni costo. Dosando perfettamente tecnica e cuore, il regista inglese realizza il suo capolavoro.

Una strada distrutta, un gruppo di soldati, la ricerca disperata di preziose gocce d’acqua e qualcosa da mangiare. Poi un colpo, un secondo, seguiti da una raffica di proiettili: di tutte quelle anime solo una si salva, per fortuna, migliori riflessi o maggiore voglia di sopravvivere.

Arrivato alla spiaggia di Dunkerque, dove gli eserciti inglesi e francesi sono accerchiati dal nemico nazista, intrappolati in una striscia di terra circondata solo da acqua e aria, un limbo in cui 400mila vite non sanno se torneranno mai a casa, il sopravvissuto si abbassa i pantaloni per espletare le sue funzioni biologiche.

Facciamo un passo indietro.

 

 

Nel saggio sulla scrittura, On Writing (2000), Stephen King rivela al lettore la sua formula per un buon lavoro: “la seconda bozza è uguale alla prima bozza meno il dieci per cento”, ovvero per lo scrittore americano il segreto è nella sintesi, nell’evitare sbrodolamenti inutili.

Ognuno ha il suo stile, ma, pur scrivendo storie di finzione, l’autore del Maine sa che, anche se parliamo di streghe o pagliacci assassini, un racconto deve avere una dose massiccia di autenticità, deve contenere la vita, e nella vita molto di ciò che accade non ha bisogno di accompagnamento musicale, monologhi enfatici o sottolineature inutili: accade e basta, con tutta la forza, la violenza e la semplicità che sono proprie di questa esistenza terrena.

Torniamo al ragazzo sulla spiaggia: il soldato inglese è il (semi)protagonista di Dunkirk, decimo film scritto, diretto e prodotto da Christopher Nolan, che si cimenta per la prima volta con un fatto realmente accaduto, l’Operazione Dynamo, o il “miracolo di Dunkerque”, avvenuta nel maggio del 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, in cui l’esercito britannico evacuò quasi 300mila uomini, grazie anche all’aiuto dei civili, giunti in massa con imbarcazioni private per riportare a casa i propri figli.

Facciamo un altro passo indietro.

 

 

I film di guerra sono quelli in cui un regista mette maggiormente alla prova la propria tecnica e che spesso ci hanno regalato dei capolavori senza tempo, forse insieme a quelli sugli incontri di pugilato, che hanno in comune uno scontro diretto che avviene in uno spazio e un tempo limitati. Summa del pensiero di un autore, come Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola, Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick, Salvate il soldato Ryan (1998) di Steven Spielberg e La sottile linea rossa (1998) di Terrence Malick.

A 47 anni, dopo tanti film spettacolari, Christopher Nolan ha deciso di cimentarsi con il genere bellico, mettendo in discussione la sua carriera.

A 47 anni, dopo tanti film spettacolari con cui ha conquistato il mercato americano e il pubblico di tutto il mondo, anche Christopher Nolan ha deciso di cimentarsi con il genere bellico, mettendo in discussione la sua carriera, facendo tesoro di tutte le critiche che gli sono state mosse negli ultimi dieci anni: freddezza, un debole eccessivo per i piani narrativi paralleli, l’inserimento di spiegoni inutili, un uso insistito della colonna sonora e la tendenza a ingarbugliare trame che altrimenti sarebbero semplici ed elementari.

Con un atto di estrema umiltà e autocritica, Nolan ha lavorato sulle proprie debolezze, facendo una sintesi del proprio cinema e della propria poetica, centrando perfettamente l’obiettivo: Dunkirk è la sua opera migliore e un film di guerra che non somiglia a nessun altro.

Dosando perfettamente tecnica e cuore, asciugando al massimo le parole, tanto da far comunicare i suoi personaggi praticamente soltanto con gli occhi,

Nolan racconta gli eventi di Dunkirk dividendo la storia in tre linee temporali e fisiche, Il molo (una settimana), Il mare (un giorno) e L’aria (un’ora), inizialmente fuori sincrono ma che poi si incontrano, costruendo un incredibile viaggio nell’essenza dell’essere umano: in un’ora e quarantacinque di durata, l’uomo di Nolan torna a uno stato di natura in cui aria, acqua e terra sono giganti silenziosi di fronte alle nostre miserie e una tazza di tè sembra la cosa più preziosa al mondo.

Un viaggio che toglie il fiato sia per la maestria con cui è girato che per l’angoscia costante e continua, martellante come l’accompagnamento musicale di Hans Zimmer, orologio biologico che non abbandona mai protagonisti e spettatore.

Torniamo finalmente a quel ragazzo sulla spiaggia.

 

 

 

 

 

 

1. La Forma

La musica come battito cardiaco

Da Memento (2000) a Interstellar (2014), che fosse attraverso tatuaggi o vortici spazio-temporali, Christopher Nolan ha affrontato un unico grande tema: il tempo. Il tempo come nemico, come forza incombente da combattere, nonostante sia una sfida titanica e già persa in partenza.
Dunkirk non fa eccezione: frammentando il racconto in tanti volti, ognuno con lo stesso peso, il regista inglese costruisce un’unica grande e disperata corsa alla sopravvivenza, in cui ognuno vive la sua lotta personale contro la morte imminente e le proprie scelte, unica forma di libertà concessa all’uomo, da cui dipende non solo la propria vita fisica, ma soprattutto quella interiore.

 

 

Il soldato traumatizzato interpretato da Cillian Murphy emerge dal mare come un’isola.

Il soldato traumatizzato interpretato da Cillian Murphy emerge dal mare come un’isola: nonostante torni in mezzo ai vivi ormai è morto dentro. Ha fatto le sue scelte e dove convivere con quelle per tutto il tempo che gli sarà concesso.
Il ragazzo sulla spiaggia invece, l’esordiente Fionn Whitehead, decide di correre insieme agli altri, di tendere le proprie mani a chi non conosce ma che vede, e sente, simile a lui.

In Dunkirk ognuno è solo in mezzo agli altri e soltanto chi capisce che nessuno di noi è un’isola si salva davvero.

Per raccontare tutto questo Nolan usa la pellicola, ma non un formato comune: unendo l’IMAX al 70mm, mescola in modo incredibile vecchio e nuovo, realizzando delle riprese spettacolari, grazie a cui sembra di trovarsi in volo con gli spitfire.
L’accompagnamento musicale di Zimmer fa il resto: un ticchettio incessante, ripreso da un orologio dello stesso Nolan, che li colleziona (il tempo è davvero la sua ossessione!), che sembra sostituirsi al battito cardiaco dei protagonisti, entrando prepotentemente nelle orecchie dello spettatore, per un senso di angoscia devastante, che fa sembrare un’ora e quarantacinque di film come se fossero quattro, tanto è l’immedesimazione con ciò che si vede sullo schermo.
A sottolineare la precarietà della vita umana, la scelta, geniale, di scritturare giovani attori tutti molto simili fra loro: i mori Whitehead e Harry Styles in alcune scene sono quasi indistinguibili, così come i biondi Jack Lowden, il pilota Collins, e Tom Glynn-Carney, Peter, il figlio del civile Mr. Dawson (Mark Rylance), a dimostrazione che di fronte alla morte e alla follia della guerra siamo tutti uguali.

 

 

 

 

 

2. Il Cuore

“we shall never surrender”

 

Asciugato, condensato, silenzioso, Dunkirk trova nei volti dei suoi attori l’effetto speciale più importante.

Asciugato, condensato, silenzioso, Dunkirk trova nei volti dei suoi attori l’effetto speciale più importante: gli occhi lucidi del Comandante Bolton di Kenneth Branagh, che con una semplice increspatura delle labbra ci fa vedere le nostre gioie e paure più grandi, lo sguardo buono di Mark Rylance (il suo è il momento più bello del film: il cenno che il suo personaggio scambia con il figlio vale un’intera carriera), il sopracciglio di Tom Hardy, unica parte del viso che si vede per gran parte delle sue scene – come già successo con il ruolo di Bane in Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno (2012) -, che possiede decine di sfumature diverse, sono gli strumenti solisti di un’orchestra che pian piano trova il suo ritmo e il sentimento, comunicando ciò che mille parole non potrebbero.

 

 

Non arrendendosi alle critiche, ai limiti tecnici e alla propria ambizione,

Nolan ha sconfitto se stesso, trovando finalmente il suo film perfettamente in equilibrio tra cuore e cervello, tecnica ed emozione, cinema d’autore e di intrattenimento.

Come per i suoi protagonisti, “casa” è sempre stata lì, all’orizzonte, ma solo ora il regista ci ha messo saldamente piede, inaugurando una nuova stagione del proprio percorso.

Il “non ci arrenderemo mai” del film sia dunque una lezione per ognuno di noi: anche ciò che sembra un fallimento, se affrontato con la volontà di fare del proprio meglio, diventa una vittoria, non solo per gli artisti, ma per tutti.

La cacofonia della guerra, della violenza e della paura si possono trasformare in armonia, con la speranza, l’impegno, l’accettazione: il nemico più grande, invisibile, siamo noi stessi.

 

 

 

 

3. La Metafora

“il nuovo mondo salverà il vecchio mondo”

Nel finale, unico momento didascalico del film, in cui un personaggio spiega l’accaduto leggendo un giornale, viene pronunciata la frase:

Il nuovo mondo salverà il vecchio mondo.

Nel film si parla di America ed Europa, ma la sensazione è che Nolan voglia dirci altro.

Nel film si parla di America ed Europa, ma la sensazione è che Nolan voglia dirci altro: in superficie c’è il suo amore per il cinema classico, per la pellicola, per la sala, che vanno preservati ma allo stesso tempo aggiornati, accettando i cambiamenti che la nuova tecnologia ci offre.

 

 

l’uomo deve imparare dai propri errori, cercando di sopravvivere e allo stesso tempo mantenere la propria umanità.

In profondità il discorso diventa invece universale: pur entrando ciclicamente in periodi bui, in cui l’incertezza e la paura portano a reazioni incontrollate, guerre e intolleranza, l’uomo deve imparare dai propri errori, cercando di sopravvivere e allo stesso tempo mantenere la propria umanità.
Il tempo ancora una volta è il grande nemico, che mette a nudo la nostra essenza più nascosta: se i nostri corpi organici sono destinati a mescolarsi con le molecole di acqua, terra e aria, la nostra energia invece non viene dispersa, ma solo trasformata.
In questa ottica la nostra vita ha senso soltanto in base alle nostre scelte.

Se si riesce a non arrendersi al caos, allora si compie l’atto di sopravvivenza più importante.

 

Dunkirk arriverà nelle sale italiane dal 31 agosto.