Quest’anno che volge al termine ha visto l’uscita di dei titoli che il mercato videoludico attendeva da ormai un decennio. In questo approfondimento ci occuperemo di analizzare quanto l’attesa di un videogioco influisca sulla percezione del gioco stesso.
Un argomento quanto mai spinoso, quello che mi accingo a trattare. Ma non credo ci sia un momento migliore se non questo, questo holiday 2016 che ha finalmente visto l’uscita sia di The Last Guardian che di Final Fantasy XV, due titoli attesi da circa dieci anni.
Non ci soffermeremo su analisi di sorta dei due giochi di cui sopra in questa sede (qualora foste interessati vi riportiamo la nostra recensione di entrambi di seguito) ma li useremo in qualità di punti di partenza per argomentare questa nostra riflessione.
La domanda a cui proveremo a dar risposta, dunque, è quanto incide l’attesa di un gioco su come lo giudichiamo? Qualche simpaticone starà pensando che in certi casi l’attesa del gioco può essere essa stessa il gioco, e al di là del gioco di parole che fa eco alla pubblicità del Campari Red Passion (credo) anche in questa affermazione c’è un fondo di verità.
Basti pensare alle speculazioni che si fanno ormai da anni su Half Life 3, oppure a tutte le miriadi di parole spese su The Legend of Zelda: Breath of the Wild, prima ancora di sapere che si chiamasse effettivamente così. Il gioco, insomma, diventa quello dell’hype.
L’hype, purtroppo, è una lama a doppio taglio soprattutto in ambito videoludico. Facciamola semplice: nella vita vi sarà capitato, magari in adolescenza, di invaghirvi di una ragazza (o di un ragazzo) a tal punto da idealizzarlo?
Poi magari ci siete usciti e avete scoperto che le/gli puzzava l’alito, o che era taccagno a tal punto da fare alla romana alla vostra prima cena, o magari che a letto finiva per essere un fallimento totale. Ecco, estrapolate il ragionamento dal più che universale ed archetipico ambito del sesso e dei rapporti umani e declinatelo al mondo dei videogiochi. Badate però, talvolta il problema con l’idealizzare è che al netto di infiniti lati positivi, quando se ne trova anche solo uno negativo si tende a concentrarsi su di esso.
Così, prendendo ad esempio The Last Guardian, molti si sono soffermati su difetti quali la mancata ottimizzazione del gioco per PlayStation 4 Pro o il framerate a volte instabile, e di conseguenza hanno penalizzato il giudizio complessivo del titolo. Questo in quanto viene dato per certo che un gioco a cui si sia lavorato per un decennio non debba avere difetti. In modo analogo viene criticato Final Fantasy XV per dei buchi narrativi, per una longevità da molti ritenuta non in linea con le loro aspettative e altri fattori che attengono sempre ad un terreno poco oggettivo e molto legato al “se l’ho aspettato per 10 anni deve essere come dico io, altrimenti non ne sarà valsa la pena”.
Ma è giusto giudicare un videogioco in base alle aspettative personali e al tempo che crediamo sia trascorso per lo sviluppo?
Sottolineo quel “crediamo” in relazione al tempo di sviluppo, in quanto proprio per i due giochi sopra sebbene la percezione sia quella di dieci anni di sviluppo, dal giorno d’annuncio al giorno di rilascio di inconvenienti, interruzioni, ripartenze con cambi di direzione in corso d’opera, problemi col publisher ecc..ne passano e non pochi!
Per cui quelli che vengono percepiti come dieci anni di sviluppo, magari sono poi realmente il classici tempi di rilascio di un titolo tripla A che vanno dai 2-3 ai 4-5 anni in media. Questo per spezzare una lancia a favore di due giochi che, se valutati senza lo spettro dei supposti dieci anni di sviluppo, offrono comunque due tra le esperienze videoludiche migliori di tutto il 2016 e di gran lunga superiori alla media delle produzioni attuali.
Non per questo sono da considerarsi esenti da difetti, ma davanti alle emozioni e alla meraviglia che due titoli di questo calibro sanno trasmettere, il parere di chi scrive è che la mancata stabilizzazione del framerate o qualche incongruenza di sceneggiatura siano da considerare davvero poca cosa rispetto all’esperienza complessiva di cui si può godere.
Un titolo che desta non poche preoccupazioni è The Legend of Zelda: Breath of the Wild, di cui parlavamo già prima. Questo titolo ha già subito svariati rimandi e resta ancora tutto da scogliere il nodo sulla sua duplice natura di gioco per Wii U e per Nintendo Switch. Ma il problema fondamentalmente è che se ne parla già da troppo tempo.
Come si parla già da troppo tempo anche di Kingdom Hearts III, come si potrebbe finire a parlare per troppo tempo di Death Stranding, ultima fatica del genio Hideo Kojima, ma tale sorte potrebbe toccare anche al nuovo God of War come allo Spider-Man di Insomniac, e a tutti quei titoli che sono stati annunciati senza nemmeno una finestra di lancio.
Nelle sue conference all’E3 di Los Angeles, durante la Paris Games Week ecc…ormai Sony ha abituato i propri utenti a sognare in proiezione del futuro. La loro conferenza dell’ultimo Electronic Entertainment Expo ci ha affascinato moltissimo e ci ha donato suggestioni per videogiochi che ora tutti aspettiamo. Ma questi giochi quando usciranno?
Questo modus operandi se da un lato premia perché ha di certo contribuito ad accrescere la fama quasi monopolistica che ormai il brand PlayStation ha assunto in tutto il mondo, da un altro punto di vista nuoce gravemente sia ai giocatori che al giudizio finale sui giochi (e di conseguenza sul lavoro e sull’impegno di chi li crea).
Qual è allora la soluzione?
Molto semplicemente annunciare i giochi quando i lavori sono già avviati e a buon punto, in modo da poter dare fin da subito una finestra di lancio e confermare una data di lì a poco. Ci sono esempi estremamente virtuosi in tal senso, mi viene subito in mente la strategia di Fallout 4 operata da Bethesda, che non credo abbia procurato ingenti perdite di preorder del titolo pur avendolo annunciato pochi mesi prima dell’uscita.
Svariati publisher occidentali hanno iniziato a comportarsi così, basti pensare anche a come Ubisoft si è comportata con il recente Watch Dogs 2. Un elemento di discrimine tra il mercato occidentale, sempre più forte grazie anche all’aiuto di forze nuove che si muovono anche in Europa (finalmente) oltre che negli USA, soprattutto in Svezia, Germania e Polonia, rispetto al mercato nipponico che non detiene decisamente più lo scettro videoludico in un ambito importantissimo quale quello della produzione di software.
Concludiamo così questo approfondimento, sperando di avervi dato qualche spunto di riflessione su questo particolare andamento dell’industria videoludica e sul fatto che sia giusto giudicare un gioco per quello che è, non per quello che speravamo fosse.
Le aspettative e l’attesa, ben riassunti nella parola hype, possono essere una brutta bestia e talvolta pregiudicare il duro lavoro di tante persone che credono in questa forma d’arte. Ora che ho lanciato la pietra, sapete la mia sull’argomento.