Raramente scrivo senza un accompagnamento musicale. Le poche volte che sono costretto a scrivere nel silenzio, è perché non ho le condizioni per ascoltare musica: non sono a casa e non ho con me il lettore mp3, oppure sono in presenza di altre persone che potrebbero non gradire.

Si tratta di episodi isolati: la musica è per me essenziale per trovare la voglia, le idee e gli stimoli per scrivere.

Posso dire di essere un ascoltatore onnivoro. Non ho blocchi ideologici verso particolari generi. Quando scopro qualcosa che mi piace è come un amore inaspettato: sono capace di ascoltare un gruppo o un artista per mesi prima di stancarmi, virando poi verso qualcosa di completamente diverso. L’unica cosa che cerco è musica che appaghi la mia personale ricerca emozionale. Perché in fondo non si tratta di altro che emozioni.

In certi periodi della mia vita ho scritto meravigliosamente bene con i Pink Floyd, oppure con il Peter Gabriel post-Genesis. Ci sono fasi in cui non riesco a mettere giù una parola in croce se non ascolto una mezzoretta immersiva di canto polifonico.

Altre volte, la perfezione della classica mi urta profondamente, e sento il bisogno disperato di “ripulirmi” ascoltando a palla I’mma Try It Out di Skrillex (parentesi: la scena di Call of Duty BO2 quando entrano nella discoteca e parte la sparatoria: wow).

Scrivere con una musica di accompagnamento mi aiuta a far volare le dita sulla tastiera.

Scrivere con una musica di accompagnamento mi aiuta a far volare le dita sulla tastiera, soprattutto quando si crea quell’attimo di magia in cui i Tic-Tic dei tasti creano contrappunti e melismi intorno al tema di una canzone. Odio stoppare la scrittura proprio quando un cantante sta dando il meglio di sé. Mi sembra poco rispettoso nei suoi confronti.
Insomma, ho un rapporto quasi morboso con la musica.

Ma cosa succede quando non riesco a trovare la colonna sonora giusta per il momento che devo descrivere?

È un problema. Un grosso problema. Se non trovo il mood in fretta, rischio di distrarmi. Ciò significa perdere ore preziose, e soprattutto, comporta un fortissimo giramento di palle.

Tempo fa, ho scoperto una fantastica soluzione: comporre e suonare la musica che mi serve.

Nel 2013 ho lavorato nella produzione di un cortometraggio tratto dal mio primo libro. Penso che sia stato il lavoro più figo che mi sia mai capitato di fare. Ho anche imparato molte cose: una fra queste, è la produzione di musica in digitale. Ho prodotto e suonato gran parte della colonna sonora del corto, e ciò mi ha permesso di ambientare le scene esattamente come desideravo, e come sentivo che dovessero essere comunicate. Un privilegio non da poco. Forte di quell’esperienza, mi sono reso conto che comporre un brano e scrivere un capitolo sono attività quasi del tutto identiche.

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Mmh, chissà come ci sta qui un congiuntivo…

 

In entrambe le azioni, si usa un linguaggio ben preciso. Più lo si conosce a fondo, e più è possibile sviscerare emozioni. Ci sono i momenti descrittivi, i silenzi carichi di tensione, le situazioni frenetiche e i climax. Una virgola nel punto giusto è una luftpause, una “pausa di respiro” di classica memoria.
Allora mi sono detto: cosa succederebbe se invece che scrivere su foglio la scena di un capitolo, la suonassi?

Approfondiamo un attimo. Cosa intendo per produzione digitale? Sto parlando di suonare e registrare usando una tastiera MIDI, un software di gestione suoni e il proprio PC. Una sorta di mini studio di registrazione. Ogni traccia viene impostata come un determinato suono/strumento, ed è possibile in questo modo usare la tastiera per replicare virtualmente qualsiasi cosa: archi, fiati, voci, suoni ambientali, rumori etc.

 

 

Cosa serve per farlo?

Di base, sono necessari:

  • Un PC con una buona dotazione di RAM.
  • Ampia disponibilità di spazio di archiviazione.
  • Una scheda audio esterna con una buona dotazione IN/OUT.
  • Una tastiera MIDI.
  • Il software.
  • Casse audio Monitor.
  • Ovviamente, i suoni.
La RAM è fondamentale in questo lavoro.

Chiarisco subito: la RAM è fondamentale in questo lavoro. Per esportare senza troppi problemi una traccia di venti minuti (come ad esempio la colonna sonora del cortometraggio di Mordraud) ho avuto bisogno di aumentare la mia RAM a disposizione da 16 a 32 gb. Chiaro che una traccia del genere è estremamente complessa: una colonna sonora prevede centinaia di suoni diversi che si miscelano e cambiano bruscamente a seconda delle scene del video. Un normale brano con una decina di strumenti può essere gestita da un qualsiasi PC moderno (8gb di RAM).

Seconda cosa, lo spazio di archiviazione. Un lungo file multitraccia completo di filtri e di tutto il cucuzzaro può arrivare a occupare una cinquantina di gb. Una canzone da 5 minuti prima di essere compressa ed esportata occupa circa 6-7 gb. Quest’enorme richiesta di spazio può essere ottimizzata (e di molto) lavorando con ordine e usando solo i suoni necessari, ripulendo insomma il lavoro con cura.

L’intera cartella dei suoni (di cui dopo vi parlerò) e delle tracce della colonna sonora di Mordraud ha raggiunto e sbriciolato il traguardo dei 100 gb di spazio occupato sul mio povero NAS…

Capitolo scheda audio: dev’essere valida. Niente di trascendentale, però non vanno bene le integrate standard. Primo, per il rumore che generano le schede di bassa qualità. Secondo, perché le casse che andremo a usare richiedono uscite di un certo genere (XLR, altresì dette Cannon, oppure TRS mono, chiamate comunemente “Jack mono”).
Per darvi un’idea io uso una M-Audio FastTrack C400. Quando l’ho presa, si portava a casa con circa 200 euro.

La tastiera MIDI è chiaramente fondamentale per suonare.

La tastiera MIDI è chiaramente fondamentale per suonare. Ce ne sono di mille tipi diversi. Io mi sono orientato verso i modelli più semplici che non prevedono suoni integrati o ammenicoli vari. In questo modo si spende relativamente poco: io uso una M-Audio 88 tasti pagata poco più di 100 euro.
L’importante è che sia grande a sufficienza per simulare un pianoforte (88 tasti sono per me il top) e che sia “pesata”, cioè che i tasti replichino la pressione esercitata, per simulare il più possibile il suono di uno strumento reale.

La scelta del software è stata per me una scelta quasi obbligata.

La scelta del software è stata per me una scelta quasi obbligata. Ne esistono di svariati in commercio, ma hanno generalmente costi molto alti. Io non ne conoscevo nessuno prima di iniziare con la composizione della colonna sonora, così sono partito da zero scegliendo quello più economico ma che avesse le migliori recensioni. La mia scelta è ricaduta su REAPER. Costa un’inezia rispetto a prodotti più blasonati come CUBASE, è molto completo ed è dotato di buoni filtri. Non da ultimo ha una grande comunità online di appassionati. Devo dire che mi sto trovando meravigliosamente bene.

Ah, per molto più economico intendo zero. Il software è gratuito per fini non commerciali per 60 giorni, passati i quali si può continuare a usare con (nemmeno troppo frequenti) reminder di acquistare la licenza. Io l’ho presa, ma solo dopo aver imparato a fondo come funzionasse.

E finalmente parliamo di casse audio.

E finalmente parliamo di casse audio. Anticipo subito che sono uno di quei fissati dell’alta fedeltà degni di essere perculati urbi et orbi. Quando parlo di come suona una cassa, sembro un assaggiatore di vini di lusso: la punta minerale, il sottofondo di frutteto giapponese in inverno. Eviterò di entrare nel dettaglio, spiegando solo la differenza fra casse audio “standard” e “monitor”.

Ogni cassa audio ha un timbro determinato da tanti fattori: la costruzione, la tecnologia dei coni, i materiali etc. Le casse standard sono studiate per offrire un suono “gradevole”. Di solito vengono enfatizzati i bassi. Vengono tagliate intere fasce di frequenze che, a seconda della conformazione della cassa, potrebbero suonare male. Questo fa sì che le casse normali sul mercato, anche le più piccole e becere, tendono a nascondere i difetti dietro una impastata generale al suono.

Non è un male, anzi. Siamo tutti abituati a questo metodo. Casse da migliaia di euro “truccano” il suono per renderlo magnifico per determinati generi (come il canto corale). Le mitiche casse TRUST da 10 euro alla fine dei conti non suonano così male come dovrebbero, soprattutto dopo averle ascoltate per un po’.

Questo perché accade? Il nostro orecchio tende a nascondere qualunque disarmonia concentrando l’attenzione e la percezione su ciò che più ci piace / aggrada a livello uditivo. Camuffa gli errori, insomma. Le casse audio in commercio semplicemente sfruttano la cosa e la enfatizzano.

Le casse cosiddette Monitor invece sono studiate per essere più neutre possibile. Vengono usate per sentire tutti i dettagli di un suono, e la sua corretta posizione spaziale. Ce ne sono di vario tipo e grandezza, e ogni marca ha il suo timbro caratteristico. In fondo, un po’ di edulcorazione sussiste comunque: non è tecnicamente possibile creare un diffusore 100% analitico. Però ci si può avvicinare di molto.

Ascoltando un normale mp3 con delle buone casse Monitor è più una tortura che un piacere.

La musica, che solitamente è falsata in senso positivo dai diffusori normali, diventa piena di errori e di problemi. Alti che sono stati trascurati, suoni che entrano dentro altri, bassi “bombardoni” e sgraziati, etc. Capita però di trovare un’ottima registrazione curata nei minimi dettagli (cosa che ahimè al giorno d’oggi è raro), e si resta deliziati dai mille segreti che emergono e che solitamente spariscono nel pastone. Echi lontani, il respiro del cantante, una particolare vibrazione delle pelli delle percussioni.

Quando si compone e si suona registrando con il proprio PC, è essenziale poter sentire alla perfezione ogni dettaglio di ciò che si sta creando. L’obiettivo è che gli strumenti siano equilibrati e che non ci siano distorsioni o riverberi dovuti a livelli di volume sballati, o ad intrecci nefasti di frequenze.

Nasce un rapporto piuttosto fisico con le proprie casse. Quando trovi il suono giusto, pulito e ben definito, e lo senti pompare mentre le tracce si accavallano fra loro, una dopo l’altra… beh, è una bella sensazione. Quando invece qualche suono risulta sottilmente stonato, oppure ci si rende conto di aver suonato per mezz’ora ma di non aver acceso il REC, allora viene quasi la tentazione di spaccare le casse con un punteruolo.

 

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Una pessima foto del mio tanto amato setup

 

Io uso delle Equator D5 biamplificate, prese in America e pagate quasi 400 euro. Purtroppo su questo non riesco a consigliare di risparmiare, è più forte di me. Migliori saranno le vostre casse, più buono sarà il suono che produrrete. Poi potrà piacere o non piacere, ma almeno sarà formalmente e tecnicamente il più corretto possibile. Se si vuole risparmiare un po’, meglio puntare su casse monitor di aziende del ramo, come M-Audio o KRK (si trovano modelli intorno ai 150 euro). Evitate di prenderle “grosse”. Una cassa economica che dichiara bassi spaziali ed è dotata di un cono da 8” tenderà ad essere, per dirla in modo fine, una merda. Casse con coni da 8” e professionali possono costare intorno ai 1000 euro. Meglio prendere qualcosa intorno ai 5” e piccole, da scrivania.

Io per dire uso delle 5” e sento bassi ottimali. Chiaramente perdo le subfrequenze ma preferisco contenere il problema piuttosto che prendere un Subwoofer non professionale (che costa una barca di quattrini).
Una piccola parentesi: è utile avere un altro paio di casse per testare la musica prodotta. Io ho preso le più economiche e scadenti cassettine della Trust e uso quelle. Il mio obiettivo è che il sound che registro sia “accettabile” anche in situazioni di ascolto disastrose. Magari sono in macchina e voglio sentirla con il vivavoce del cellulare…

Ora mancano soltanto i suoni.

 

 

I suoni

Siamo arrivati al punto più delicato. I suoni sono essenzialmente di due tipi: artificiali o registrati. I primi sono creati direttamente miscelando frequenze e vengono proposti in modo tale che la propria tastiera replichi, nota dopo nota, il suono creato. I secondi invece sono registrazioni di strumenti “veri”. Un esempio semplice sono gli archi. Una libreria di archi contiene tutte le possibili note di un violino, suonate a differenti gradi di forza e decisione. Usando la tastiera si replica così l’atto di suonare il violino (con le dovute limitazioni ovviamente). Una pressione più decisa corrisponde a un suono più marcato, e viceversa.
Dentro queste grandi categorie trovano posto tanti tipi diversi di suoni:

  • Ad arco o corda: non solo strumenti classici, ma anche etnici o antichi, elettrici o acustici
  • Percussivi: dalle batterie rock ai beat elettronici
  • fiati vari: spesso sono pessimi, è raro trovarne di buoni. A volte si salvano gli ottoni. I flauti credibili sono davvero pochi
  • Voci – esistono suoni che mimano la voce umana, altri che sono proprio campionamenti di cori che pronunciano determinate sillabe.
  • Pattern tonali – ritmici: insiemi di note o percussioni. Si usano per creare tappeti di suoni che creano l’ambientazione del brano.
  • Pads: sono suoni tipo “organo”, sono di un miliardo di tipi (cupi, misteriosi, potenti o meno) e si usano come riempimento o come basi
  • Risers e similari: suoni che partono debolmente per poi crescere fino a esplodere, oppure salgono per creare climax, o si spengono lentamente. Sono usati per chiudere parti della canzone o per enfatizzare dei momenti.
  • Rumori singoli o ambientati: c’è di tutto, dalle motoseghe ai martelli, il vento, il vociare delle persone, il frastuono di una fonderia.

I suoni sono contenuti in ibrerie che vengono gestite da un software. Nel mio caso uso Kontakt, che si interfaccia molto bene con REAPER.

Esistono gratuiti e a pagamento. Le cifre sono molto varie: si passa da pochi euro a migliaia. Certe librerie orchestrali sono piccole opere d’arte e costano care. I suoni artificiali tendono a costare di meno, e ce ne sono di validissimi.

 

Quindi, come si fa?

Si parte creando una prima traccia. Ad essa si associa uno strumento scelto da una libreria, e si attiva la registrazione. A quel punto, si suona la tastiera immaginando la scena che si desidera descrivere. Si prova più volte fino a trovare ciò che si vuole. Ogni suono che si vuole aggiungere viene posto su una traccia diversa. Se qualche nota risulta sbagliata, è possibile intervenire direttamente spostando tale nota, correggendola, eliminandola. Il controllo su ciò che si è registrato è pressoché totale.

Per iniziare, è sufficiente guardare un tutorial del programma e provare con un solo suono.

Per iniziare, è sufficiente guardare un tutorial del programma e provare con un solo suono, o un paio. In realtà non è difficile, una volta compresa la logica. Diventa complesso quando si vogliono usare molti strumenti con tante linee melodiche diverse, ma ci si arriva provando e riprovando. Sto semplificando volutamente: ci sono un mondo di cose da imparare nell’ambito della produzione digitale, ma già con una iniziale infarinatura si è in grado di comporre qualcosa di gradevole, magari non professionale ma personalmente soddisfacente.

Una volta reperiti i suoni che si desidera utilizzare, si imposta la traccia e si parte. Io tendo a cercare l’ambiente giusto per la scena che desidero descrivere, poi inserisco una ritmica che mi detti il tempo e lo stato d’animo generale, poi sovrappongo pian piano i vari strumenti che arricchiscono i dettagli. Mi muovo a puro istinto, scoprendo il brano un po’ alla volta. Se la scena immaginata ben si sposa con l’ambiente, la completo muovendomi a gusto, cercando e riprovando. Immagino anche i dialoghi o i pensieri dei personaggi, inserendo pause o momenti di lungo accompagnamento. Sono convinto che si tratti di un ottimo metodo per costruire scene nella propria mente già pronte per essere riportate su carta. La fantasia applicata in modo istintivo alla musica è un fantastico strumento creativo.

 

Qualche esempio

Concludo portando un po’ di esempi a supporto. Ecco alcuni miei brani, nati per descrivere specifici momenti dei miei libri. Non si possono definire vere e proprie canzoni, ma più correttamente “ambientazioni”. Sintetizzano momenti che ho poi descritto a parole.

 

 

 

 

PS: per chi se lo chiedesse, ho scritto questo articolo con sotto questo: Maceo Plex Boiler Room Berlin DJ Set

L’ho poi riletto con questo: Mike Oldfield – Tubolar bells 2.