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[TITLE]Il Primo Caso: l’Epidemia del 1976[/TITLE]
[dida]Inizialmente, il virus viene scambiato per malaria, a causa della similitudine tra i sintomi.[/dida]10 agosto 1976: Mabalo Lokela è un insegnante di 44 anni della Scuola Missionaria di Yambuku, villaggio rurale nel nord dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo). Con altri sei dipendenti della scuola, ha deciso di intraprendere un viaggio nella zona del Mobayi-Mbongo in automobile. Il gruppo visita i maggiori insediamenti della zona lungo la strada che da Yambuku porta a Badolité senza però riuscire a raggiungerla: il ponte che collegava la città è crollato in seguito a un forte nubifragio. È il 22 agosto, a questo punto il gruppo torna indietro a Yambuku.

Il 26 agosto Lokela si presenta al Yambuku Mission Hospital : non si sente affatto bene, è successo qualcosa durante il viaggio. L’infermiera che lo visita (una suora belga senza formazione medica che sopperiva all’assenza di personale) gli diagnostica la malaria e gli somministra del chinino: la febbre sembra passare. In seguito però le sue condizioni si aggravano, la febbre supera i 39 gradi e soffre di emorragie gastrointestinali e successivamente di vomito, vertigini, e problemi respiratori. Muore tra atroci sofferenze l’8 settembre. Nella settimana successiva, altre nove persone curate al Yambuku Hospital mostrano gli stessi disturbi, suggerendo che fosse proprio l’ospedale a diffondere la malattia. Va detto che all’epoca l’ospedale doveva far fronte a una grave carenza di personale e di attrezzature e servire un numero spropositato di malati, di conseguenza le siringhe venivano spesso riutilizzate e non sterilizzate, causando la diffusione del virus agli altri pazienti.

[dida]Il cibo e gli escrementi nel corpo contaminato vengono rimossi a mani nude.[/dida]Il corpo di Lokela viene restituito ai familiari. La tradizione del villaggio prevede che la madre del defunto, sua moglie e le altre donne del villaggio preparino il corpo per la sepoltura rituale. Il cibo e gli escrementi presenti nel corpo vengono rimossi a mani nude. Il corpo viene seppellito nel villaggio. Nelle settimane successive, ventuno delle persone che hanno partecipato alla preparazione del corpo di Lokela si ammalano. Solo tre di esse sopravviveranno. Presto l’ospedale di Yambuku viene invaso da pazienti che presentano tutti gli stessi sintomi: solo a questo punto i medici capiscono di avere a che fare con un morbo sconosciuto. La zona è in preda al panico, e persino il personale medico viene infettato. L’epidemia raggiunge il suo picco alla quarta settimana. L’ospedale di Yambuku è costretto a chiudere. A questo punto interviene il WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) che riconosce come causa dell’epidemia un virus che aveva già causato diverse morti nel Sudan (oggi la zona appartiene al Sudan del Sud) nello stesso anno, simile al virus Marburg. Il bilancio finale sarà di quarantasei villaggi infettati nel circondario, 358 contagiati e 325 morti (mortalità del 90,7%). Il virus prese il nome di Ebola (tipo EBOV), dal fiume che attraversava la zona dove fu scoperto.

[TITLE]Il Virus[/TITLE]

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Il virus scoperto appartiene alla famiglia delle Filoviridae, genere filovirus, come il Marburg, che nel 1967 causò la morte di sette scienziati nell’omonima città della Germania. Quella volta, l’epidemia fu causata dal contatto umano con i reni di alcune scimmie importate dall’Uganda per essere studiati. Attualmente si conoscono tre tipi di virus Ebola mortali per l’uomo, tra cui il tipo EBOV, il più pericoloso. Il virus ha una struttura di tipo tubolare ed è a RNA, ovvero utilizza questo polimero come materiale genetico, come la SARS per intenderci.

Per approfondire: link

[dida]La morte arriva entro due settimane dalla comparsa dei primi sintomi.[/dida]Purtroppo non si sa ancora quale animale o pianta trasmetta il virus. Secondo alcune testimonianze Lokela dovrebbe aver contratto il virus dopo aver mangiato carne di antilope infetta. Attualmente le riserve più probabili sembrano essere dei pipistrelli, ma non vi è la certezza che siano ospiti naturali. La trasmissione avviene soprattutto tramite il contatto con fluidi corporei infetti (come effettivamente successe all’ospedale di Yambuku).
L’Ebola si manifesta innanzitutto con la presenza di febbre molto alta e brividi. Successivamente compaiono dolori articolari e muscolari, vomito, diarrea, emorragie interne, ematomi ed echhimosi. È clinicamente indistinguibile dal suo simile Marburg e soprattutto dalla malaria, con cui viene spesso scambiata nelle zone africane. Il periodo di incubazione è in media di 12-13 giorni, la morte arriva dopo circa una-due settimane dalla manifestazione dei sintomi.

[dida]L’Ebola è attualmente incurabile.[/dida]Attualmente non esistono cure efficaci sull’uomo. I trattamenti per i pazienti consistono nella continua idratazione e somministrazione di coagulanti. I vaccini trovati finora hanno funzionato sulle scimmie ma sono inefficaci sull’uomo. Secondo alcuni ricercatori americani, il virus attacca le cellule sfruttando la proteina NPC1, e sarebbe quindi inerme in sua assenza. Può essere diagnostica tramite due test: l’IFA e l’ELISA. Il test IFA (Indirect Fluorescence Antibody test) consiste nell’applicare a un campione di cellule infette una piccola quantità di sangue (contenente antibiotici) proveniente dal paziente sospettato di aver contratto il virus. Viene quindi iniettato un anticorpo secondario coniugato con fluoresceina. Se il paziente è infetto, i campioni al microscopio “brilleranno” di un colore verde o giallo. Test non molto affidabile. Il test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay) viene usato per diagnosticare infezioni precedenti. È simile all’IFA, ma l’anticorpo secondario viene accoppiato a una molecola chiamata perossidasi. Viene quindi aggiunto un substrato di colorante. La perossidasi “taglia” il substrato causando rilascio di colore. L’ELISA è più sensibile e specifico dell’IFA, ma è più difficile da realizzare vista la necessità di uno speciale lettore. Questi test possono anche essere utilizzati per distinguere tra un’infezione attuale o recente e un’infezione più datata.

[TITLE]L’Epidemia di Kikwit e i giorni nostri[/TITLE]

[dida]Il virus oggi imperversa in Uganda dopo aver subito una nuova mutazione.[/dida]Il virus fa diverse apparizioni negli anni, sempre letale ma mietendo un numero di vittime abbastanza contenuto, fino a quando non esplode nuovamente, ancora nello Zaire. Il primo caso è del gennaio 1995, ma la conferma ufficiale si avrà soltanto nel mese di maggio. Tutto inizia quando un uomo, che lavora in una miniera di carbone, muore di febbre emorragica al Kikwit General Hospital. L’epidemia si espande ancora una volta molto velocemente sempre a causa delle pessime condizioni igieniche, causando un bilancio di 244 morti a fronte di 315 infezioni.
Nel 2007 il virus compare in Uganda, dove tuttora sta mietendo diversi morti. Il tipo è diverso dal virus EBOV: si tratta infatti del BDBV Bundibugyo ebolavirus, che verrà debellato solo nel 2008.
L’ultimo caso è dei giorni nostri: nel luglio 2012 il virus viene riconosciuto nel distretto di Kibaale (virus tipo SEBOV), ancora in Uganda, causando finora quattordici morti di cui nove appartenenti ad un’unica famiglia. Ancora una volta il virus non viene immediatamente identificato a causa dell’estrema variabilità dei sintomi. Si ritiene che un’ulteriore causa della diffusione del contagio sia il consumo di carne di scimmia infetta. Tuttavia il WHO sostiene che la situazione sia sotto controllo.

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[TITLE]In Conclusione[/TITLE]
[dida]Nonostante la sua pericolosità, il rischio di un contagio su larga scala è molto ridotto.[/dida]L’Ebola come abbiamo visto è un virus estremamente letale, di difficile riconoscimento. La velocità con cui muoiono i pazienti e il fatto che non esistano cure hanno portato la comunità scientifica a classificarlo come una potente arma batteriologica. Tuttavia, la notevole diffusione nelle zone dell’Africa equatoriale è dovuta più alle scarse condizioni igieniche degli ospedali e dei rituali funebri dei villaggi indigeni che all’effettiva contagiosità dell’Ebola. Anzi, proprio la sua velocità nel causare la morte dell’ospite e il fatto di essere geograficamente limitato a determinate zone dell’Africa fa sì che non venga considerato capace di un’espansione maggiore rispetto a quella attuale.

[spoiler]Ovviamente i casi di Ebola verificatisi sono molto maggiori di quelli riportati nell’articolo. A ogni modo ho deciso di parlare solo dei casi più significativi, altrimenti l’articolo si sarebbe ridotto a un mero elenco di dati luogo/infetti/morti.
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Fonti:
Tara C. Smith, Ebola and Marburg Viruses, Chelsea House Publishers, 2011 – ISBN-13: 978-1604132526
Bulletin of the World Health Organization
Ebola virus entry requires the cholesterol transporter Niemann-Pick C1
Wikipedia Ita
Wikipedia Eng
AGI.it
history.com
National Geographic
La Tela Nera
tmnews.it
ilmattino.it