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Prima di assistere alla proiezione di questa pellicola ho deciso che fosse opportuno prepararsi a dovere perchè da vero fan del lavoro di Carpenter (che volutamente non voglio definire “l’originale” visto che trattasi di remake de “La cosa da un altro mondo”) ho pensato fosse giusto sedersi in poltrona con la giusta cognizione di causa.

Una cognizione che alla fine ho voluto risedimentare mediante una proiezione serale di quel capolavoro del 1982 basato su suspence, dubbi ancestrali da giallo all’inglese e orrore, ma orrore vero, fatto di mutazioni, mutilazioni, liquami vari rigorosamente reali, cioè finti, ma comunque tangibili e non frutto di elaborazioni in computer grafica.

Ho concluso la mia proiezione domestica chiedendomi quale folle possa aver avuto il coraggio di sfidare un simile maestro per tentare di dare una spiegazione all’origine di quel povero husky che all’inizio del film di Carpenter porta il seme della distruzione all’interno di una base artica.

Ebbene il folle ha un nome, o meglio più nomi ossia Matthijs van Heijningen Jr. alla regia coadiuvato dagli sceneggiatori Eric Heisserer e Ronald D. Moore.

La trama la metto nello spoiler per mantenere un minimo di effetto sorpresa.

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1982, Antartide. Seguendo un segnale radio alcuni ricercatori trovano un disco volante che stimano essere precipitato oltre 100.000 di anni prima. Accanto all’apparecchio, che nonostante il crash non sembra aver subito alcun un danno, rinvengono anche una creatura completamente ibernata nel ghiaccio.

Una spedizione di ricercatori, tra cui una paleontologa (Mary Elisabeth Winstead), raggiunge l’avamposto tra i ghiacci nel tentativo di prelevare la creatura e condividere l’incredibile scoperta con il mondo intero.

Sfortunatamente, una volta asportato dalla sua prigione di ghiaccio, l’alieno si scongela e torna in vita seminando l’orrore all’interno della base.

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Purtroppo è triste constatare ancora una volta che per il rilancio di uno degli essere più inquietanti del cinema gli sceneggiatori non si sono sforzati molto, ma in realtà non si può muovere loro grandi critiche in merito allo script visto che gran parte di quanto accaduto in origine lo aveva già fatto intuire Carpenter nella sua pellicola.

Da questo punto di vista si può solo apprezzare il tentativo di riallacciarsi, seppur in parte, al film del 1982.

Ciò che però mostra debolezza è la scelta dei personaggi perchè il team che si trova per la prima volta ad affrontare l’essere da un altro mondo è palesemente ricalcato sul cast originale.

Via via che assistiamo all’introduzione dei personaggi che popoleranno questo viaggio nel terrore abbiamo la sensazione di rivedere i vari Windows, Mc. Ready e soci, e più li vediamo recitare e più ci arriva la conferma di ciò.

Questa scelta è a dir poco spiazzante perchè dà al prequel la dimensione del remake senza esserlo.

Altra falla colossale nella sceneggiatura è data dalla gestione della suspence: ciò che davvero caratterizzava la creatura di Carpenter era l’astuzia, la sua capacità di imitare le persone e di insinuare in esse il dubbio sulla vera identità di ognuno.

Qui la cosa non fa altro che servirsi di questa capacità per mietere vittime senza giocare più di tanto d’astuzia.

Sembra proprio che il regista voglia perfettamente guidare lo spettatore verso ciascun momento di terrore lasciando solo a pochi momenti (peraltro ben riusciti) il compito di sollevare, seppur per un breve attimo di suspence, il vero terrore.

Nemmeno il comparto di effetti speciali riesce a dare una mano alla prosecuzione della trama.

La computer grafica seppur egregiamente realizzata non riesce a riportare sullo schermo la sofferenza e l’orrore che Stan Winston era riuscito a creare con le sue protesi di latex che, anche se palesemente posticcie, permettevano agli attori posti al loro interno di esprimere con la loro fisicità l’orrore che ci veniva mostrato.

Per carità, le trasformazioni sono spettacolari e lo stesso essere, nell’unico raro momento in cui ci viene mostrato nella sua forma originale, è realizzato molto bene, ma secondo me si sarebbe potuto fare davvero di più.

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In sostanza la cosa ci viene dipinta come un’essere mutante che arriva come un bisonte dappertutto, ingloba a se qualunque essere con cui vine a contatto e alla fine, tornato alla sua forma originaria, rimane vittima dei cunicoli della sua stessa astronave.

Già perchè sebbene la pellicola per quasi la sua interezza vada ricalcando lo sviluppo di quella di Carpenter, sul finale tenta di regalare allo spettatore qualcosa di inedito portando i protagonisti a bordo dell’ufo.

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Anche lo stratagemma finale non risulta realizzato a dovere e non fa altro che aggiungere un finale frettoloso ad una trama copiata di sana pianta dal predecessore.

In fondo in fondo dispiace che un’occasione simile sia stata specata in questo modo perchè qualche spunto originale c’è ed è anche in grado di regalare qualche buon attimo di tensione (primo fra tutti l’incapacità dell’essere di imitare i corpi estranei come protesi, otturazioni o placche).

Come tradizione vuole anche questo prequel/remake/reboot rappresenta l’ennesima occasione sprecata alla pari di quelle che Rob Zombie o Alexander Aja hanno bruciato imbattendosi nella possibilità di ridare vita alle altre pellicole del Maestro Carpenter.

Alla fine di tutto non mi sento di sconsigliare questa pellicola, ma semplicemente di guardarla senza pretendere fedeltà alle geniali intuizioni del suo predecessore immaginando piuttosto che si tratti dell’adattamento cinematografico del videogame (da cui peraltro sembra palesemente attingere un paio di scene).