Alex ci scrive:
Questa ricerca d’immagini è stata eseguita allo scopo di “aprire gli occhi” alle persone – diciamo così – comuni (senza voler essere offensivo ovviamente) e non certo agli occhi più esperti, quindi architetti, designer, stilisti, grafici, illustratori e tutti coloro che conoscono/lavorano e apprezzano il design.
Non mi vanto certo di aver scoperto l’acqua calda. Ho usato queste immagini in sequenza per la prima volta durante l’esposizione di due miei progetti strettamente connessi a IKEA e che ne sfruttano le potenzialità creative.
Ho chiamato quest’approccio “demixaggio” (Design+Remix) ma non si tratta altro che di un altro nome-sinonimo di “hacking” (conoscerai di sicuro il sito/blog ikeahackers, citato anche qui su Leganerd).
Il titolo della mostra era “S’èl stë Disain” e puoi trovare molte informazioni a questo link, se ti interessa (http://www.relaxdesign.org/segravel-ste-disain.html).
Ora, tornando a noi: la questione che sollevo non è “sentiti in colpa ad acquistare i mobili da IKEA che è il male e spaccia per suoi prodotti di alto design” anzi, concordo sul fatto che, poi, ognuno fa quello che meglio crede.
Io stesso sono pieno di oggetti IKEA in casa, sebbene poi li abbia tutti modificati e trasformati in altri prodotti.
Non sto maledicendo IKEA per vendere oggetti molto carini a basso costo. Anch’io ho pochi soldi.
La questione che sollevo è un’altra, ovvero: “Continuate pure a comprare da IKEA, non c’è niente di male, ma almeno siate consapevoli di ciò che acquistate” e non mi riferisco solo al fatto che CHIUNQUE sappia che un oggetto IKEA vale poi quello che costa (ovvero poco) ma anche alla consapevolezza di che tipo di oggetto ho acquistato.
Mi spiego: il mio punto di vista è che da IKEA non si acquista “una sedia” nè tantomeno “una sedia di design” bensì “una sedia di design spesso scopiazzato da altre sedie di buon design”, tutto qui. E questo mio punto di vista rimane piuttosto solido analizzando una semplice situazione: IKEA è tra le prime 15 aziende mondiali col più alto fatturato grazie alla sua capacità di aver avvicinato la parola “design” alle persone comuni.
Quel “design” tanto blasonato ed èlitario associato solo alle persone ricche e sofisticate. Ho sentito dire che il design di IKEA è “democratico” e “popolare”. Concordo e penso che sia una gran cosa. Ma a che prezzo? Qui non si parla di me o di te che col design ci lavoriamo, ci piace e ci appassiona (siamo una nicchia, renditene conto) ma si parla di un’impresa multinazionale e dei suoi clienti. IKEA ha avuto il merito di cui sopra, ma a che prezzo?
Mentendo ai suoi clienti, non dicendogli tutta la verità. Chissenefrega? A me frega parecchio, perchè credo che avrebbero potuto permettersi mosse molto più legali e altrettanto efficaci. Guardacaso da due anni IKEA partecipa attivamente anche al Salone del Mobile in via Tortona, chiama giovani designer a disegnare per lei; negli ultimi 7 anni ha alargato il giro di prodotti progettati da designer non scandinavi.
Sono tutte mosse molto nobili o molto furbe? Secondo me entrambe. Ecco perchè IKEA non si può paragonare a multinazionali “malvagie” come Coca Cola, Nestlè, McDonald’s e altre. IKEA ha saputo “correggere il tiro” negli anni.
Quindi, in conclusione, la questione è: “consapevolezza”. IKEA, in questo caso, è solo un pretesto per parlare in maniera più ampia del concetto di plagio, il quale merita di essere rivalutato visti i tempi che stanno cambiando. Le licenze Creative Commons sono un ottimo esempio.
Ma i prodotti IKEA sono tutti protetti da Copyright, cioè proteggono il diritto di sfruttare economicamente oggetti presi da altri, senza aver dovuto pagare alcun diritto.
Ne parlavo anche con l’amministratore delegato di Artek quest’anno, riguardo allo sgabello di Alva Aalto. Sai cosa mi ha risposto? “Sì, lo sappiamo, l’abbiamo sempre saputo. Ma sappiamo anche che il cliente che interessa a noi sa distinguere perfettamente lo sgabello originale da quello IKEA. IKEA non ci ha mai pagato alcun diritto e noi – per quieto vivere – abbiamo lasciato le cose così come stanno.” Mentre invece la vicenda Castiglioni ha avuto un risvolto ben diverso, con ripetute querele, rinvii a giudizio e con la risposta finale: “Sì, scusate, abbiamo effettivamente un po’ copiato lo sgabello Mezzadro…ma lo produciamo all’estero e non in Italia…i diritti valgono solo dentro ai confini italiani. Cosa faremo? Beh, esauriremo le scorte di “Traktor” in Italia e smetteremo di venderlo agli italiani ma non ci potete impedire di venderlo nel resto del mondo”.
Dopo 3 anni hanno ricominciato a venderlo in Italia. La famiglia Castiglioni ha speso parecchi milioni di lire in procedimenti d’accusa e non ha mai ricevuto un soldo.
Per concludere: so bene che essere “consapevoli” non basta di certo per correggere le ingiustizie del mondo (inoltre non sono fatti accaduti a me, per cui non è che stia qua a versare lacrime per la famiglia Castiglioni, semplicemente ne prendo atto) ma credo che sia un buon punto di inizio.
Siamo o non siamo una società dell’informazione? Questa piccola ricerca serve più alle persone che nella vita si occupano di altro che non agli “addetti ai lavori”, spero di essermi spiegato. In simpatia ovviamente
P.S. La questione dei plagi/copie di oggetti d’autore è enorme. Solo quella riferita al Design conta centinaia di marchi e aziende coinvolte (seguo la questione da tempo e lo so). Ripeto: era più facile iniziare quest’argomentazione complessa partendo da un nome così noto (IKEA) che non da, che ne so, “Tok & Stok” in Brasile (http://erasmuskit.weebly.com/tokstok-fakes.html).
[url=http://erasmuskit.weebly.com/ikea-fakes.html]Erasmus Kit 2.0[/url]