Il numero di possibili incarnazioni dei Pokémon è letteralmente infinito: si tratta di un franchise così amato e duttile che è possibile declinarlo in tutte le salse, andando a toccare ogni tipo di pubblico, media e tecnica rappresentativa. Come tutte le IP nate con in mente un target “kids” si presta bene ai cortometraggi in stop-motion realizzati con giocattoli e pupazzi, ma la The Pokémon Company ha sempre preferito puntare su corti animati o in live action mista a CGI di varia fattura. Le cose sembrano cambiare con l’avvento della deliziosa mini-serie La concierge Pokémon su Netflix, che sfrutta proprio questa singolare e ormai piuttosto rara tecnica di animazione.

La concierge Pokémon: uno slice of life… con in più Psyduck

La concierge Pokémon

La storia è quella di Haru, giovane donna che molla tutta la routine, gli sbagli e i fallimenti alle spalle per tentare di cambiare vita con un lavoro che la porterà lontano da casa e da tutto quello che conosce, diventando una concierge in un resort tropicale che sorge su una remota e soleggiata isola, in cui i suoi ospiti (umani o Pokémon che siano) possono rilassarsi o divertirsi nei modi che preferiscono. Gli inservienti del villaggio vacanze pongono particolare attenzione alla cura dei Pocket Monsters ospiti, e ad Haru viene specificamente dato il compito di assicurarsi della loro felicità. Compito non facile, vista la loro variegata natura e le naturali barriere comunicative, senza contare che la ragazza è intraprendente ma insicura e senza esperienza. Ad aiutarla ci saranno la manager Watanabe e altri due tuttofare poco più grandi di lei, la risoluta Alisa e il multitalentuoso (ma sempliciotto) Tyler.

È bene mettere subito in chiaro una cosa: non aspettatevi lotte tra Pokémon, avventure, complotti, misteri, rivalità… né tanto meno sketch slapstick o qualunque altra cosa a cui possano avervi abituato le classiche serie animate o videogiochi del franchise. La concierge Pokémon è uno slice of life ambientato nell’universo narrativo ideato da Satoshi Tajiri, perfettamente calato negli stilemi di altri shojo manga o serial al femminile nipponici, con protagonista una giovane donna alle prese con ambiziosi frustrate, piccoli problemi di vita quotidiana, amicizia e amore.

L’approccio rilassato e poco conflittuale ricorda certe serie di video presenti sui canali YouTube ufficiali in cui i protagonisti umani fanno gite fuoriporta o cucinano insieme ai loro Pokémon, ma al contempo, restando in casa Netflix, si affaccia automatico ricollegarsi a Rilakkuma & Kaori, altra serie in stop-motion con una giovane protagonista e il suo animaletto antropomorfo alle prese con la vita di tutti i giorni.

La concierge Pokémon

Si tratta di un prodotto destinato al mercato internazionale, ma certe caratteristiche sono intimamente proprie di una narrativa di genere tipicamente nipponica: e sempre riportando l’attenzione a un confronto con altre serie animate tratte da brand Sanrio come Rilakkuma, potremmo dire che Haru è l’anti-Aggretsuko, poiché pur rappresentando alla base pregi e difetti della tipica giovane donna in carriera di questo tipo di prodotti seriali trova il suo modo di andare oltre alle convenzioni e abbandonare divisa, mentalità troppo inquadrata, servilismi vari… il messaggio di fondo (rimarcato dalla bella sigla “Have a Good Time Here” cantata nientemeno che dalla leggendaria pop idol Mariya Takeuchi) è quello di scardinare meccanismi e sovrastrutture a cui ci costringe la società per accettare noi stessi e il prossimo per quello che siamo o potremmo essere, non per quello che “dovremmo” essere.
A livello di messaggio ci fermiamo qui: la serie non pretende di raccontare chissà cosa, ma lo fa bene, pur utilizzando personaggi non particolarmente originali nei presupposti e naturalmente appoggiandosi a Pokémon relativamente “anonimi” ma sempre e comunque comunque adorabili. Si avverte che si tratta di un prodotto “su commissione” realizzato da professionisti a cui sono stati dati mezzi e specifici paletti: la sceneggiatura è della poliedrica Harumi Doki (Re/Member, Ghost in the Shell: SAC-2045, Hokusai to meshi sae areba), mentre la regia è di Iku Ogawa, qui al suo primo lavoro importante dopo tre corti piuttosto apprezzati e che vi consigliamo di recuperare,「I Wanna Be Your Friend」, I think you’re a little confused e Hidari: i primi due sono piuttosto inquietanti e densi di significati nascosti, mentre il terzo è un teaser di un potenziale action in stop motion davvero eccezionale. Qui Ogawa mette un po’ da parte le velleità autoriali per sfoderare semplicemente una notevole maestria tecnica: scenografie e pupazzi sono realizzati con perizia notevole, per materiali, pulizia delle linee, espressività di volti e animazioni.

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70
La concierge Pokémon
Recensione di Marco Lucio Papaleo

La concierge Pokémon è una mini-serie di ottima fattura, che sfrutta il brand in maniera intelligente per regalarci un po' di svago ricreativo senza impegno ma valevole del nostro tempo. Non inventa nulla di nuovo e se non fosse per il titolo che porta forse si perderebbe nel maramagnum di proposte attuali, ma è un prodotto genuino e realizzato in maniera squisita, che mostra una volta di più le potenzialità “altre” del franchise di cui è spin-off.

ME GUSTA
  • Animazione Passo uno di grande qualità realizzativa
  • Ricreativo nel senso più puro del termine
  • Utilizzo discreto del brand
FAIL
  • Guizzi autoriali al minimo
  • Finisce proprio quando si comincia ad affezionarsi ai personaggi