Se le ultime notizie riportate da fonti come Science Alert, fossero da ritenersi attendibili, potrebbe mancare qualche candelina alla torta di compleanno dell’Universo. I dati raccolti di recente da un fisico teorico dell’Università di Ottawa, Rajendra Gupta, sembrano suggerire che il Big Bang potrebbe aver avuto luogo 26,7 miliardi di anni fa, facendo sì che l’universo sia due volte più vecchio di quanto i modelli precedenti ci facessero credere. Questa notizia sorprendente fornirebbe, inoltre, una spiegazione anche agli attuali modelli delle galassie lontane, le quali sembrano stranamente mature rispetto alla loro età, secondo gli scienziati.

La molla dell’Universo

La stima del tempo trascorso dal Big Bang ad oggi è stata a lungo uno degli studi più dibattuti nell’ambito della scienza dell’universo, poiché una risposta definitiva potrebbe aiutare a svelare molti segreti della vita e delle origini del nostro pianeta. Mentre la maggior parte dei modelli ha suggerito un’età di 13,8 miliardi di anni per l’universo immaginabile, gli studi di Gupta sembrano confermare che questo numero è significativamente sbagliato. Man mano che lo spazio si espande, allungandosi sempre di più in un universo che cresce all’infinito, diventa sempre più difficile quantificare quanta luce siamo in grado di vedere in lontananza. Come forse sapete, più si guarda nell’universo lontano, più si guarda indietro nel tempo, per catturare una breve istantanea del passato a causa della velocità con cui la luce attraversa il vuoto dello spazio.  Alcuni modelli scientifici paragonano questo processo a una molla, che si allunga e si allontana per raggiungere altezze e distanze maggiori e si comprime per consentire la flessibilità.

La luce rossa

Una prospettiva difficile da comprendere, sembra suggerire che le luci più rosse sono le luci più antiche, che hanno perso la loro lucentezza a causa della difficoltà di viaggiare su lunghe distanze. Tuttavia, Gupta suggerisce che questa distinzione di luce rossa può essere utilizzata per determinare quando l’universo ha mantenuto un’energia più concentrata, facendo apparentemente scattare la molla. L’ipotesi che la luce rossa possa aiutarci a determinare l’età dell’universo fu formulata originariamente da un astronomo svizzero nel 1929, il quale suggerì che il rossore delle luci indicava lunghezze d’onda maggiori che si spostavano nello spettro lontano. Purtroppo, la teoria è stata un po’ abbandonata dalla comunità scientifica dopo che la scoperta della materia oscura ha reso la datazione al carbonio dell’universo più semplice. Come propone Gupta nella sua ultima proposta pubblicata, i due metodi di studio potrebbero essere utilizzati insieme per ottenere una cifra ancora più precisa del modello attualmente in uso. Lo studio della materia oscura e delle lunghezze d’onda della luce rossa non si escludono a vicenda e possono consentire, se studiati fianco a fianco, una lettura più accurata dell’età dell’universo. Anche se non sono ancora state fatte dichiarazioni definitive sull’età dell’universo, queste nuove informazioni dovrebbero cambiare il modo in cui gli scienziati guardano alla datazione del carbonio nel vuoto dello spazio.