L’identificazione delle persone ad alto rischio di suicidio è fondamentale per applicare interventi e trattamenti salvavita. Tuttavia, prevenirlo non è facile. Come si può allora identificare le persone più a rischio e offrire loro il sostegno e il trattamento di cui hanno bisogno?

Una possibile risposta viene da una nuova ricerca condotta da scienziati del VA Boston Healthcare System e della Boston University, che hanno scoperto che il cervello delle persone che hanno tentato il suicidio ha delle caratteristiche particolari che lo distinguono da quello delle persone che non hanno mai avuto pensieri o comportamenti suicidi ovvero dei marcatori cerebrali, individuabili con una tecnica chiamata risonanza magnetica funzionale (fMRI). Questa tecnica permette di vedere come le diverse regioni e reti cerebrali comunicano tra loro quando la persona è a riposo. Gli scienziati hanno studiato un gruppo di veterani che hanno partecipato a uno studio longitudinale sulla salute cerebrale, cognitiva, fisica e psicologica dopo aver combattuto nelle guerre post 11 settembre. Tra questi veterani, alcuni hanno riferito di aver tentato il suicidio in una valutazione di follow-up dopo uno o due anni, ma non in nessuna delle valutazioni precedenti. Gli scienziati hanno confrontato la connettività cerebrale di questi veterani con quella di un altro gruppo di veterani che avevano sintomi simili di depressione e disturbo post-traumatico da stress (PTSD), ma che non avevano mai tentato il suicidio. Il confronto ha rivelato che la connettività cerebrale tra le reti di controllo cognitivo e di elaborazione autoreferenziale era diversa tra i due gruppi. Queste reti sono coinvolte nella capacità di regolare i propri pensieri e sentimenti, soprattutto quelli negativi e autodistruttivi. I veterani che avevano tentato il suicidio mostravano una maggiore connessione tra queste reti, il che potrebbe indicare una maggiore difficoltà a distogliere l’attenzione da sé stessi e dai propri problemi. Questa firma di connettività cerebrale era presente sia prima che dopo il tentativo di suicidio, il che suggerisce che si tratta di un fattore di rischio specifico per il suicidio, indipendente da altri fattori come il Disturbo post traumatico da stress e la depressione.

Mirare alla connettività cerebrale

Gli scienziati hanno anche osservato che la connettività dell’amigdala destra, una regione cerebrale importante per l’apprendimento della paura e dei traumi, era diversa tra i due gruppi, ma solo dopo aver riferito un tentativo di suicidio. Questo potrebbe significare che ci sono dei cambiamenti cerebrali che si verificano dopo un tentativo di suicidio, che possono essere legati allo stress o al trauma del tentativo stesso. Questa scoperta ha delle implicazioni importanti per la prevenzione del suicidio. Se si potesse misurare la connettività cerebrale delle persone a rischio con una semplice scansione del cervello, si potrebbe intervenire prima che sia troppo tardi. Si potrebbero anche sviluppare nuovi trattamenti che mirano a modificare la connettività cerebrale e a migliorare le funzioni cognitive ed emotive delle persone con pensieri o comportamenti suicidi.

Tuttavia, la ricerca è ancora agli inizi e ci sono molti ostacoli da superare. Per esempio, la fMRI è una tecnica costosa e non facilmente accessibile a tutti. Inoltre, la ricerca si è basata su un campione limitato di veterani, che potrebbero non essere rappresentativi di tutta la popolazione. Per questi motivi, è necessario continuare a studiare il cervello e il suicidio con metodi diversi e su gruppi più ampi e vari. Nel frattempo, è fondamentale sensibilizzare il pubblico sul problema del suicidio e offrire sostegno e aiuto a chi ne ha bisogno.