La recensione di Hogwarts Legacy ad opera di Wired USA continua a far discutere. La nota testata statunitense ha assegnato un severo 1/10 al gioco, sconsigliando infine agli utenti di investire il proprio denaro nell’ultima fatica di Avalanche Software. Oltre ad essere contraddistinto da un gameplay obsoleto e popolato da personaggi privi di carisma, per l’autrice dell’articolo, Jaina Grey, il gioco sarebbe privo di magia e basato su una narrazione capace di includere elementi di matrice antisemita. Un’accusa senza dubbio forte che non ha mancato di suscitare in questi giorni un acceso dibattito sul web tra gli utenti e gli addetti al settore.
Cerchiamo di capire quali sono le motivazioni alla base di tale accusa e perché in realtà l’antisemitismo non ha nulla a che vedere con Hogwarts Legacy, partendo dalle controversie legate al caso J.K. Rowling e analizzando a fondo l’articolo di Jaina Grey.
Hogwarts Legacy tra boicottaggio e polemiche
È inutile negarlo: per molti l’uscita di Hogwarts Legacy ha rappresentato il coronamento di un sogno durato oltre 20 anni. Potersi immergere finalmente in un’avventura videoludica di ampio respiro capace di riprodurre fedelmente le atmosfere e la magia del Wizarding World è ciò che ogni Potterhead ha sempre desiderato. In questi giorni, però, ad essere al centro del dibattito sul web non è tanto l’esperienza videoludica in sé, quanto piuttosto tutte le polemiche che ruotano intorno al progetto di Avalanche e che riguardano nello specifico la figura di J.K. Rowling.
Se da un lato c’è chi ha deciso di boicottare l’opera sulla base del rilievo che il videogioco avrà per il patrimonio dell’autrice, dall’altro c’è chi ha deciso di non recensirlo, chi ne ha fatto una doppia recensione scindendo le caratteristiche del prodotto dal giudizio sull’autrice e chi ha invece scelto di optare per un articolo di opinione dall’impronta provocatoria, come nel caso della già citata giornalista di Wired USA.
Prima di entrare nel merito della faccenda, però, facciamo un piccolo passo indietro. Il tutto nasce, come di certo ormai saprete, dalle polemiche scaturite dalle posizioni transfobiche emerse già nel 2017 da alcuni tweet pubblicati dall’autrice della saga di Harry Potter che l’hanno di fatto portata ad essere accostata al movimento Terf (“femminismo radicale che esclude le persone trans”).
Dal canto suo, Warner Bros Games, l’editore del gioco sotto la nuova etichetta Portkey Games, ha scelto di prendere le distanze dalla contesa spiegando che la Rowling non è stata assolutamente coinvolta nella creazione di Hogwarts Legacy. Posizione ovviamente insufficiente per chi ha deciso di boicottarlo poiché la scrittrice, detenendo i diritti su quanto concerne il Wizarding World, trarrebbe comunque un giovamento economico dal successo del titolo.
Elemento che di fatto acquisisce ancor più peso se prendiamo anche in considerazione il fatto che la Rowling è molto attiva sul piano politico in UK e che solo qualche mese fa si è opposta all’approvazione del Gender Recognition Reform Bill, la legge scozzese volta ad agevolare il procedimento per il riconoscimento dell’identità di genere e che dona il via libera arbitrario al cambio di sesso anche ai minori che hanno compiuto 16 anni.
Ma questa non è l’unica polemica che ha accompagnato la produzione del titolo: nel 2021 il lead designer Troy Leavitt ha abbandonato Avalanche a seguito delle pesanti accuse scaturite da alcuni suoi vecchi video pubblicati su YouTube dove emergevano posizioni di estrema destra, retrograde e sessiste nei confronti delle donne. La polemica intorno alle sue posizioni (e di riflesso contro quelle espresse da J.K. Rowling) aveva portato Hogwarts Legacy ad essere bannato da ResetEra, nonostante il team di sviluppo stesse provando a presentare il nuovo videogioco di Harry Potter sotto una luce più moderna.
Ed è proprio in questo contesto, ossia a seguito di tutta una serie di eventi che non possiamo che definire emblematici, che si inserisce la discussa recensione di Wired. È importante specificarlo prima di addentrarci nell’articolo di Jaina per riuscire ad inquadrare al meglio quello che è la sua posizione ed il suo attuale rapporto con il Wizarding World. Lo diciamo sin da subito: quella di Jaina non è da considerarsi una vera e propria recensione. E probabilmente non ha mai avuto la presunzione di esserlo. È un pezzo personalista e con una forte componente politica che pone al centro del dibattito quello che è fondamentalmente il disagio dell’autrice nei confronti di J.K. Rowlling e di un mondo che ormai non sente più suo. Lo spazio per l’approfondimento del gioco e delle dinamiche ludiche passa in secondo piano, rispetto all’esperienza che l’autrice ha avuto fruendo del prodotto a seguito di queste vicende.
“Non c’è magia e nemmeno cuore” riferisce, infatti, la Grey in uno dei passaggi della recensione, sottolineando come il gioco sia in realtà privo di un’anima e di tutti quegli elementi che hanno reso davvero speciale la saga di Harry Potter. Una sensazione scaturita non tanto dalla presenza di “una storia monotona con personaggi monodimensionali”, come lei stessa sottolinea, quanto piuttosto dalla forte frattura del legame dell’autrice con l’universo potteriano.
Non è il gioco di Avalanche ad essere privo di magia, ma è la magia ad aver abbandonato il Wizarding World agli occhi di chi, proprio come lei, non riesce più a percepire quel luogo come la propria casa.
Non è il gioco di Avalanche ad essere privo di magia, ma è la magia ad aver abbandonato il Wizarding World agli occhi di chi, proprio come lei, non riesce più a percepire quel luogo come la propria casa.
Il problema qui, però, non risiede tanto nell’aver trasformato una recensione in un pezzo d’opinione. Anzi per chi vi scrive, il fattore esperienziale ha sempre un valore ai fini del giudizio complessivo di un’opera e ben vengano le disamine che tentano di rompere degli schemi editoriali fin troppo consolidati. Il problema risiede piuttosto nell’aver proposto un’analisi di fatto scarna e poco approfondita del gioco. L’autrice cita la presenza di un impianto ludico obsoleto, di una narrazione piatta e fa delle accuse molto pensati, sottolineando come la trama del gioco sia infarcita di elementi di matrice antisemita, senza però entrare maggiormente nel merito delle sue critiche.
Ovviamente, il tutto è frutto di una precisa scelta editoriale: l’autrice ha deciso di utilizzare quello spazio per lanciare un preciso messaggio, ma occorre, comunque, fare alcune riflessioni in merito ad alcuni punti citati dall’autrice. Ad iniziare proprio dalla delicata questione antisemitismo.
Hogwarts Legacy, un gioco antisemita?
Se avete avuto modo di seguire le controversie legate alla figura di J.K. Rowling e al Wizarding World negli ultimi anni, di certo saprete che non è la prima volta che l’antisemitismo viene accostato alla saga di Harry Potter. Tutto ebbe inizio nel dicembre del 2021 quando il noto presentatore e comico Jon Stewart in una puntata del suo podcast The Problem with Jon Stewarth attaccò la scrittrice dicendo che secondo lui i Goblin descritti da Rowling e raffigurati dalle illustrazioni presenti nei libri altro non erano che delle chiare caricature degli ebrei presenti nei Protocolli dei Savi di Sion, noto libro di propaganda antisemita edito nel 1903.
I Goblin del franchise infatti vengono raffigurati, soprattutto nelle opere cinematografiche, come esseri avidi, dal naso adunco e per la maggior parte impiegati come banchieri. Elementi che di fatto presentano punti di contatto con le raffigurazioni antisemite degli ebrei. Se da un lato la rappresentazione dei goblin potteriani diventa problematica proprio a causa di quella professione che li accomuna allo stereotipo dell’avido ebreo, dall’altro l’iconografia a cui la Rowling si ispira altro non è che quella classica del fantasy moderno.
Nel folklore europeo il goblin viene raffigurato come una creature piccola, grottesca e mostruosa. L’aspetto del goblin nelle opere di fantasia di odierna concezione è abbastanza convenzionale: sono creature di bassa statura, prevalentemente esili e rachitici con il naso adunco e prominente, le orecchie appuntite, talvolta flosce e molto lunghe e con la pelle scura tendente al verdognolo o al rossastro. Quasi tutte le fonti attendibili dipingono i goblin come esseri crudeli, barbarici e poco civilizzati e spesso poco apprezzate dalle altre razze che popolano lo sconfinato universo folcloristico e fantastico.
A livello puramente estetico, dunque, il goblin della saga di Harry Potter incarna fedelmente questo tipo di iconografia. Allora dov’è il problema? Il problema è che i goblin raffigurati nei racconti popolari non siedono dietro la scrivania di una banca.
Se da un lato questo è vero, dall’altro bisogna comunque considerare un fattore importante: lo stereotipo dell’ebreo avido è abbastanza abusato nella narrativa fantastica e lo è da secoli. Personaggi che celano ebrei stereotipati hanno a lungo riempito le opere di fantasia appartenenti ai generi fantasy e fantascientifico, basti pensare ad esempio a Watto in “Star Wars” o ad Ebenezer Scrooge nel “Canto di Natale” di Dickens, per citarne soltanto alcuni. Non sempre la creazione di personaggi che incarnano stereotipi antisemiti, però, esprime apertamente un pregiudizio.
Non sempre la creazione di personaggi che incarnano stereotipi antisemiti, però, esprime apertamente un pregiudizio.
Questi personaggi potrebbero piuttosto essere stati involontariamente sviluppati da caricature basate su stereotipi diffusi, esattamente come nel caso dei Goblin della Rowling. Pensare che l’autrice di Harry Potter abbia riprodotto volontariamente delle caricature antisemite appare decisamente pretestuoso. Senza considerare che JK Rowling si è sempre schierata dalla parte della lotta all’antisemitismo. Cosa che dovrebbe apparire già chiara dalla lettura dei romanzi di Harry Potter dove vengono portati in luce tutta una serie di valori positivi e dove il protagonista lotta contro un male superiore che viene rappresentato proprio da villain che ha il pallino della razza e del sangue puro.
Puntare dunque il dito contro J.K. Rowling per aver riprodotto uno stereotipo (purtroppo) radicato da secoli nella cultura popolare è ingiusto, così come lo è scagliarsi contro una software house per non aver reinterpretato la figura del goblin in maniera differente o sotto tutt’altra luce a seguito delle critiche rivolte negli ultimi anni. Tra l’altro, non si può neanche accusare Avalanche di non averne tenuto conto tanto da aver tentato con ogni mezzo possibile di rendere Hogwarts un posto molto più accogliente per chi si è sentito in qualche modo tradito e ferito dalle parole e dalle posizioni della Rowling.
Se da un lato, infatti, Hogwarts Legacy propone una rivisitazione in chiave digitale del Wizarding World estremamente fedele al modello letterario e cinematografico, dall’altro lato tenta di rendere l’universo di Harry Potter più inclusivo con alcune aggiunte ed accortezze. Ad esempio, per citarne giusto una, l’editor di creazione del personaggio giocante di Hogwarts Legacy permette di scegliere di essere designati come “mago” o “strega”, indipendentemente dal tono di voce e dall’aspetto fisico selezionati.
Tornato, però, più nello specifico all’articolo di Wired, Jaina Grey sottolinea come la storia di Hogwarts Legacy sia radicata nei troppi antisemiti, non tanto per la questione della raffigurazione dei Goblin quanto piuttosto per la presenza di una trama che racconta sostanzialmente di una “cabala” che cerca di porre fine alla schiavitù, ma questo è un male perché agli schiavi piace essere schiavi”. Anche da questo punto di vista occorre fare delle precisazioni importanti riguardo la storia di Hogwarts Legacy.
In realtà, nel gioco i goblin non vengono considerati esclusivamente come creature malvagie. Alcuni di loro aiutano attivamente il protagonista e altri sono raffigurati come NPC benevoli e capaci di vivere persino in armonia con la stirpe magica, nonostante i dissapori tra le due razze.
Inoltre, il principale villain del gioco, Ranrok non viene ritratto semplicemente come un personaggio il cui obiettivo è quello di liberarsi dalla schiavitù. Ranrok odia apertamente maghi e streghe ed è disposto a uccidere indiscriminatamente per raggiungere il suo obiettivo di rovesciare del governo dei maghi ed impadronirsi del potere della magia antica. Per portare a termine il suo scopo, tra l’altro, Ranrok nel corso dell’avventura si allea con un potente mago oscuro Victor Rookwood quasi sicuramente antenato di Augustus Rookwood, Mangiamorte al servizio di Lord Voldemort nel corso delle due Guerre dei Maghi ed ex dipendente dell’Ufficio Misteri al Ministero della Magia britannico.
Ci sono poi alcune caratteristiche di Ranrok che lo accomunano direttamente a Lord Voldemort. In una delle scene iniziali in cui incontriamo Ranrok, lui uccide letteralmente un compagno goblin per il “crimine” di aver permesso a una coppia di maghi di accedere al caveau, solo perché provvisti della chiave.
Insomma, il problema non sono tanto i goblin, né la presenza diffusa di tropi antisemiti all’interno del fantasy, quanto piuttosto il voler vedere a tutti i costi la presenza di messaggi discriminatori ed antisemiti anche laddove non esistono. Per citare le parole di Jason Schreier, che ci sentiamo di sposare completamente, “In Hogwarts Legacy non c’è antisemitismo, ma solo noia”.
Si può accusare Avalanche, come ha sottolineato giustamente, in questo caso, anche l’autrice di Wired, di aver costruito una trama poco avvincente, con NPC piatti e tanti riempitivi, ma non si può dire che abbia sviluppato una storia chiaramente antisemita. Anzi, se c’è un aspetto del titolo di Avalanche che va assolutamente lodato è proprio l’aver tentato di rendere Hogwarts un posto migliore, un luogo magico dove chiunque possa nuovamente sentirsi nuovamente a casa.
Anzi, se c’è un aspetto del titolo di Avalanche che va assolutamente lodato è proprio l’aver tentato di rendere Hogwarts un posto migliore, un luogo magico dove chiunque possa nuovamente sentirsi nuovamente a casa.
Per qualcuno magari non sarà stato abbastanza, per qualcuno Avalanche avrebbe potuto e dovuto prendersi delle maggiori libertà creative nel ricostruire l’immaginario potteriano a seguito delle tante polemiche. Ma non si può negare che il team abbia confezionato un prodotto che mira ad essere il più attento possibile alla sensibilità sociale riguardo a certe tematiche, pur restando sempre fedele ad una tradizione ben consolidata. Una scelta che di fatto non può che essere apprezzata e che dimostra quanto l’industria del gaming si stia muovendo per cercare di costruire dei mondi virtuali in cui ognuno possa sentirsi libero di raccontare la propria storia, in cui è possibile persino tornare a credere nella magia.
“Sappiamo quanto i nostri fan amino il Wizarding World, e crediamo che lo amino per i giusti motivi. Sappiamo che c’è un pubblico molto variegato: per noi la cosa più importante è stata assicurarci che tutto il pubblico, che ha sempre sognato questo gioco, avesse l’opportunità di sentirsi benvenuto, che qui tutti hanno una casa ed è un buon posto dove raccontare la loro storia.”
Alan Tew, game director di Hogwart Legacy
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