La recensione del Pinocchio di Guillermo Del Toro ci permette di andare a scoprire in che modo il regista messicano ha voluto riscrivere la storia di Carlo Collodi, realizzandone una versione infarcita di autorialità e donando al cinema la miglior rilettura dai tempi di Walt Disney.

La domanda che ci si pone ogni qualvolta ci troviamo dinanzi a una nuova declinazione di Pinocchio è: “Ne avevamo bisogno?”. Ci siamo incattiviti, ci siamo probabilmente saturati da una storia che oramai conosce tutto il mondo, dai bambini agli adulti, per quante volte ci è stata riproposta. Eppure, nel momento in cui un regista, un autore di cinema come Guillermo Del Toro decide di proporci la sua versione, siamo qui entusiasti e ammaliati dalla possibilità di vedere una nuova reinterpretazione, una nuova riscrittura di un’opera senza tempo, di una favola universale e che il cineasta messicano ha saputo declinare nella modernità più pura.

La origin story di Carlo

Così come proposto da Robert Zemeckis a settembre, con il suo live-action di Pinocchio, anche per Del Toro Geppetto è un uomo rimasto solo dopo la morte del figlio, ma l’intenzione di calarci maggiormente nella origin story del falegname è molto più intensa nel film in stop motion in arrivo su Netflix il 9 dicembre. Carlo – un palese omaggio a Collodi – si aggiudica quasi quindici minuti a schermo, da quasi protagonista solitario del prologo della vicenda di Pinocchio, così da giustificare ancora di più i perché di Geppetto, i dolori dell’anziano falegname, il fardello che si porta dentro.

L’avvento di Benito Mussolini, la presenza di figure come i podestà, fa da scenario e palcoscenico alla storia del burattino di legno

L’intera storia di Geppetto è corredata del dolore che Del Toro decide di inserire calando la vicenda nel ventennio fascista d’Italia. Il Pinocchio di Collodi viveva del dramma di errori personali, ma di una società – quella della fine dell’Ottocento, con l’Italia che usciva dal Risorgimento – che non inficiava la vita delle persone. L’avvento di Benito Mussolini, la presenza di figure come i podestà (che sostituiscono i carabinieri che ci aveva proposto Giuliano Cenci negli anni ’70), fa da scenario e palcoscenico alla storia del burattino di legno, così come di tutti i suoi comprimari, costretti a porsi quesiti e domande sulle bombe, sulla religione, sulla legge, su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Guillermo del Toro’s Pinocchio – (L-R) Pinocchio (voiced by Gregory Mann) and Count Volpe (voiced by Christoph Waltz). Cr: Netflix © 2022

La rilettura e la riscrittura di Pinocchio da parte di Del Toro è illuminata e sagace, perché il suo Pinocchio vive il dramma dell’imminente Seconda Guerra Mondiale, affonda i piedi nella costruzione di un esercito che raccoglie i bambini e li addestra per l’ONB, l’organizzazione nazionale dei Balilla, li addestra a sparare, ad avere il sopravvento sul prossimo. Se, quindi, un tempo il burattino finiva vittima del Postiglione e del suo Paese dei Balocchi, adesso cade tra le grinfie del fascismo, che lo vuole in prima linea come macchina da guerra. Quella che ha lasciato in dote a Geppetto il suo fardello più grande.

L’Italia come protagonista scenica

Ci sono meno personaggi dell’opera di Collodi, a partire dall’assenza di Mangiafuoco, qui sostituito interamente dal Conte Volpe, ma non se ne percepisce l’assenza, tantomeno del Gatto, perché ogni scena è ben ritmata, è ben calcolata nell’ecosistema narrativo e scenico. Ce ne sono altri che, per necessità di scenario, si ritrovano a vivere ruoli che spingono Pinocchio a porsi continue domande, ma anche a scovare alleati inaspettati, tra cui forse stona Spazzatura, la scimmia ammaestrata del burattinaio Volpe, la cui funzione catartica sembra compiere un parallelismo con lo stesso burattino vivente.

Guillermo del Toro’s Pinocchio – (L-R) Gepetto (voiced by David Bradley) and Pinocchio (voiced by Gregory Mann). Cr: Netflix © 2022

Del Toro mantiene quel giusto grado di grottesco che lo stesso Matteo Garrone aveva replicato nella sua versione di Pinocchio, salvando i conigli becchini, perpetrando a schermo una versione quasi inquietante dello stesso burattino, consegnandoci tra le mani un meno edulcorato e bonario Jiminy Cricket, il cui ruolo di coscienza gli permette di alloggiare direttamente all’interno del tronco di Pinocchio, là dove andrebbe il cuore.

Affascinante è anche la chiave di lettura della morte che il regista messicano propone allo spettatore, riscrivendo anche le sembianze della Fata Turchina, qui iridescente e figlia di una tradizione surreale che vuole gli spiriti di montagna pronti a intervenire nelle faccende umane meritevoli.

Del Toro mantiene quel giusto grado di grottesco che lo stesso Matteo Garrone aveva replicato nella sua versione di Pinocchio

L’intera messinscena è una produzione che offre all’intero mondo uno spaccato dell’Italia, donandole un ruolo da protagonista, dal tour per le città compiuto da Pinocchio, che da Alessandria ad Avellino si esibisce, fino alla topica a Catania, passando per inflessioni italiane, saluti nostrani ed espressioni colorite che sono del nostro Paese, apprezzate soprattutto guardando il film in lingua originale. Ambientazioni che richiamano il Ventennio, corredando tutte le inquadrature di dettagli che creano una sottile satira nei confronti di un periodo che ha fatto parte della nostra storia più recente e che condiziona i gesti dello stesso Pinocchio.

La fluidità della stop-motion

Immaginatevi tutto questo in stop motion – per intenderci, la tecnica utilizzata per Nightmare Before Christmas da Tim Burton e, sempre da quest’ultimo, ne La sposa cadavere – con la necessità di far risultare fluida l’immagine allo spettatore. Un numero talmente alto di fotogrammi da poterli definire quasi infiniti, che hanno permesso a Del Toro di consegnarci un film che sembra animato in CGI, ma che in realtà ha fatto della scelta stilistica del regista il proprio cavallo di battaglia.

Guillermo del Toro’s Pinocchio – (Pictured) Pinocchio (voiced by Gregory Mann). Cr: Netflix © 2022

A partire da Pinocchio, infatti, tutti i personaggi hanno una capacità snodabile invidiabile, impensabile, e il solo pensare al tempo impiegato per realizzare quasi due ore di film lascia esterrefatti per il risultato finale, di una bellezza disarmante.

A partire da Pinocchio, infatti, tutti i personaggi hanno una capacità snodabile invidiabile, impensabile, e il solo pensare al tempo impiegato per realizzare quasi due ore di film

Una chiosa finale per esaltare anche il finale proposto dal Del Toro, il più coraggioso che si sia mai visto in una riproduzione di Pinocchio, nel quale il regista continua a interrogarsi sulla morte, andando a compiere una profezia che il burattino aveva ascoltato. Condannato dalla sua esistenza, la tristezza che pervade l’atto conclusivo della storia è una catarsi per il cinema, quello convinto di doverci lasciare andare sempre col sorriso, come se dovessero esistere emozioni di diverse categorie. È con queste idee e la sua autorialità che Del Toro sovrasta ampiamente l’opera di Robert Zemeckis.

90
Pinocchio
Recensione di Mario Petillo

Pinocchio di Guillermo Del Toro è la miglior riscrittura dell'opera di Carlo Collodi dai tempi di Walt Disney. Il cineasta di Chicago aveva per primo edulcorato il romanzo toscano, traendo spunti dalla rappresentazione teatrale di Yasha Frank, mentre il regista messicano decide di attingere a piene mani dall'epoca del Ventennio fascista per raccontare la sua versione dei fatti, la sua rilettura. Elidendo dall'equazione finale alcuni contenuti anacronistici e non avendo alcun tipo di paura di fare satira, Del Toro si esalta in quasi due ore di film che ci regalano risate, malinconia e una buona dose di tristezza. Quasi quarant'anni dopo il Pinocchio di Disney, l'animazione ha una nuova proposta per l'opera di Collodi, coraggiosa, roboante, affascinante, illuminante.

ME GUSTA
  • Una riscrittura coraggiosa e illuminata
  • Prologo ed epilogo originali ed emozionanti
  • La stop-motion è fluida e incredibile
FAIL
  • È pur sempre Pinocchio, del quale potremmo averne abbastanza