In Italia si parla di una povertà assoluta quando non si è capaci di coprire le spese minime per fare una vita accettabile. Se si è sotto tale soglia, allora si parla di povertà assoluta, secondo l’Istat. Si ha una povertà relativa con un reddito familiare formato dal 50% in meno rispetto alla media. Le famiglie in povertà relativa sono 2.895.000, pari a 8.775.000 persone. I dati parlano di povertà assoluta per un numero di famiglie di 1.960.000, equivalenti a 5.571.000 persone.
Non basta più quindi avere un reddito di lavoro dipendente per tutelarsi dal rischio di povertà. Su un totale di lavoratori, 22.500.000, in 4.900.000 svolgono lavori non standard (part time, part time volontario, collaboratori). La fascia più colpita è quella dei giovani fra i 15-34 anni (38,7%). Poi chi ha un basso livello d’istruzione (24,9% ha la licenza media) e chi risiede nelle regioni meridionali (28,1%).
I dipendenti a bassa retribuzione sono 4 milioni nel settore privato (retribuzione annua sotto i 12mila euro). Di questi 4 milioni, in 412mila hanno un lavoro indeterminato e a tempo pieno. Gli occupati regolari sono 3,2 milioni, di cui 2,5 milioni nei servizi. Poi 500mila sono i falsi autonomi e 50mila coloro che lavorano nelle piattaforme.
Per quanto riguarda i pensionati: il 40%, 6,2 milioni di persone, ha un reddito di pensione complessivo uguale o inferiore a 12.000 euro.
Almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte.
Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative