Neppure l’IBM se la sente di prospettare un futuro roseo, per quanto riguarda il futuro dei rifornimenti di chip e semiconduttori. Perlomeno non se la sente Jim Whitehurst, presidente dell’azienda produttrice di microcomponenti, il quale sostiene che questo periodo di magra potrebbe continuare ancora per un paio di anni, normalizzandosi solamente nel 2023.

La stessa identica posizione l’aveva condivisa circa un mese fa anche Intel, tuttavia è anche da notare che l’opinione di entrambe le ditte orbiti attorno a un unico fulcro: i finanziamenti governativi al settore.

C’è un grande ritardo tra il momento in cui viene sviluppata una tecnologia e quando entra in fabbricazione. Quindi, francamente, stiamo guardando ad un paio di anni prima di ottenere una capacità incrementale sufficiente per alleviare tutti gli aspetti della carenza di chip,

ha sostenuto Whitehurst.

Tanto IBM, quanto Intel, insomma, prendono come orizzonte temporale la creazione statunitense di nuove fonderie e rimarcano in maniera martellante la gravità della situazione, ma ricordandosi costantemente di sollecitare una soluzione che sia rappresentata da investimenti statali nelle loro aziende.

Sia chiaro, la situazione della carenza di semiconduttori è degna di emergenza a livello economico e, in alcuni casi, pure sul piano sociale, tuttavia le grida di allarme giungono traviate dal sospetto, quando di mezzo c’è un ampio margine di speculazione.

 

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