Una nuova ricerca dell’instituto German Marshall Fund denuncia la piaga delle fake news. «Nonostante le misure prese dai social, mai così sofisticate ed efficaci come nel 2020».

Il 2020 è stato un vero e proprio annus horribilis per la disinformazione coordinata. A dirlo è una nuova ricerca del German Marshall Fund. Il terreno di gioco preferito dai disinformatori di professione continua ad essere Twitter.

Come già avevano segnalato diverse inchieste, nel 2020 abbiamo assistito al proliferare di nuovi sofisticati schemi di disinformazione, attraverso la creazione di veri e propri media hub all’apparenza legittimi, al punto che spesso vedono la partecipazione di giornalisti inconsapevoli.

Sempre su Twitter, i ricercatori hanno notato un’impennata nelle fake news pubblicate dagli account verificati, quelli con la spunta blu. In questo modo per il pubblico diventa ancora più difficile distinguere la spazzatura in malafede dalle informazioni attendibili.

«I siti che diffondono contenuti ingannevoli sono prolificati con un tasso di crescita superiore a quello di qualsiasi altra tipologia di contenuto web», si legge nel report del German Marshall Fund.

Nel mirino dei ricercatori non ci finiscono solo le notizie semplicemente false, ma anche quei contenuti che vengono definiti “iper-di-parte“. Sono contenuti prodotti da media outlet che hanno l’esclusivo compito di fare propaganda ed inquinare il dibattito pubblico grazie ad un sapiente uso di mezze verità e informazioni manipolate. Quest’ultima categoria è sicuramente più difficile da inquadrare e combattere rispetto ai portali che diffondono direttamente notizie false. I contenuti di questo tipo di siti, denunciano i ricercatori, sarebbero stati condivisi su Twitter più di 47 milioni di volte nel corso del 2020. Stessa storia su Facebook, dove le interazioni dei siti iper-di-parte sono raddoppiate.