Videogiochi e audiovisivo non sono mai stati così vicini

Audiovisivo e videogiochi

Poche altre espressioni sono abusate nel mondo della critica di settore come “il blockbuster è in crisi”. Blockbuster inteso come quel filone cinematografico ad alto budget che ha come scopo primario quello di “spaccare il box office”, ovvero puntare tutto sul successo commerciale, sia esaltando la proprio componente autoriale che appiattendola, sia facendo saga che puntando sullo stand alone (anse se sempre meno, lo ammettiamo), sia adattando che partendo da uno spunto originale. C’è spazio per tutti nel mondo del blockbuster, chiunque può esprimersi, l’unica cosa che conta è il mercato.

Questo è ciò che probabilmente gli ha permesso di rimanere “in crisi” per anni senza mai scomparire, ma, al contrario, riuscendo ogni volta ad evolversi, trovando il modo di continuare a cavalcare le epoche tecnologiche con le loro novità riguardo le modalità di fruizione e di distribuzione, trovando nuova linfa vitale nella dimensione della serialità, soprattutto dopo l’avvento delle piattaforme. Ormai titoli di questo ecosistema appartengono al piccolo e grande schermo e si scambiando idee e suggestioni, condividendo fortune e criticità. Il suo segreto è essere rimasto lo specchio di un mondo sempre più capitalista. Forse è vero che il blockbuster rischia di essere quella corrente nata per confermare la bontà della frase “nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma”.

super-mario-bros-il-film

Ed ecco allora che all’ennesimo funerale annunciato, stavolta per il calo di appeal dei cinecomics, un altro scenario si avvicina. Uno scenario da una parte sorprendente, viste le modalità con le quali sta prendendo piede e la velocità con cui si sta proponendo, ma dall’altra incredibilmente prevedibile, visto che giornalisti, opinionisti ed addetti ai lavori sono anni che lo indicano come immancabile nuova tappa. Parliamo del matrimonio tra il mondo audiovisivo e il mondo videoludico.

Ma da dove è cominciato? In che modo si è evoluto e perché proprio oggi ci troviamo di fronte ad un possibile momento di svolta, almeno lato ? Partiamo da un po’ di Storia per arrivare ai casi sul grande schermo di Super Mario Bros. – Il film e sul piccolo schermo di The Last of Us e Fallout, tre titoli che dimostrano come la chiave del successo di questa unione sia l’adattamento, ovvero le modalità con cui i due media entrando in comunicazione. Che poi è ciò che secondo gli psicologi è alla base di qualsiasi forma di relazione.

Un po’ di storia

Il sogno di riuscire a portare un adattamento cinematografico di successo proveniente dal mondo videoludico prende piede all’inizio degli anni ’90, epoca in cui hanno visto la luce dei cult riscoperti successivamente. Uno su tutti Super Mario Bros. di Rocky Morton e Annabel Jankel. Un dato interessante con il senno di poi visto che il titolo che pare stia dando il via a questa luna di miele annunciata da tempo proviene dal medesimo universo dei baffuti fratelli idraulici.

Resident Evil

Non bisogna però dimenticare per esempio il leggendario Street Fighter del 1994 (successo commerciale assoluto) e il Mortal Kombat del 1995 di Paul W. S. Anderson, l’uomo, la leggenda e colui che più di tutti ha creduto a questo dialogo, creando la saga di Resident Evil con protagonista Milla Jovovich, coinvolgendo anche Capcom e mostrando al mondo come i videogiochi al cinema ci potevano stare. Basti pensare che i suoi film hanno incassato complessivamente più di 800 milioni di dollari in tutto il mondo. Lo spazio di manovra era però ancora poco ampio a causa delle difficoltà di movimento, mentre le potenzialità da scandagliare forse troppe e dunque risultava sempre molto complesso alle grandi produzioni sfornare prodotti all’altezza in grado di soddisfare due tipi di pubblico con delle pretese a volte diametralmente opposte, tra fedeltà e funzionalità su un media differente.

Tant’è che si decise di virare su altro e per diverso tempo, fino all’alba degli anni ’20, i titoli proposti hanno avuto diversi problemi, da Max Payne a Prince of Persia, passando per Silent Hill e Tomb Raider fino ai film d’animazione ispirati a Ratchet & Clank e al mondo dei Pokémon. Tra un insuccesso e l’altro, c’era però una costante: il pubblico rispondeva, anche solo per criticare. Questo voleva dire che il mercato, in qualche modo, si muoveva e quindi che c’era una futuribilità. Mancava però riuscire a trovare una chiave per adattare due linguaggi così vicini, ma così lontani e, probabilmente, anche una parentesi dell’industria in grado di accoglierla. Mancava una sorta di finestra di opportunità dove riuscire ad entrare con i codici e le idee corrette.

Prove di matrimonio

Una mano, incredibilmente, l’hanno data proprio i videogiochi, che al contrario del cinema già da tempo avevano deciso di puntare molto sulla possibilità di sfruttare una narrazione cinematografica sulla quale costruire la propria componente interattiva. Prima Hideo Kojima, con Metal Gear Solid e Death Stranding, e dopo Neil Druckmann, con il suo lavoro su Uncharted e soprattutto The Last of Us, sono stati i due nomi che più di tutti gli altri hanno creato un solco nella storia videoludica recente cercando di portare il cinema dentro i loro lavori. Dicendo questo non vogliamo escludere tanti altri titoli che hanno giocato con la narrazione audiovisiva, ma probabilmente nessun altro ha avuto la sapienza dei due creativi nel lavorare sui punti di contatto tra i due linguaggi e riscosso il loro successo al punto da far pensare che il videogioco potesse rappresentare un futuro possibile per la Settima Arte stessa.

The Last of Us

Ciò ha costituito la nuova spinta che ho portato la HBO a interessarsi al titolo Naughty Dog proponendo un adattamento seriale più lineare e quindi in un certo senso più fattibile rispetto ai precedenti dato che il materiale di partenza aveva già molto dentro di sé della struttura e dell’impianto audiovisivo. Non parliamo solamente della scrittura dei personaggi o dell’intreccio, ma anche delle inquadrature, della regia, delle scelte fotografiche e di quelle sonore. Druckmann e Craig Mazin hanno creato un’alternativa al videogioco, tenendo come punto di riferimento sacro il suo scheletro. Una cosa che in un certo senso Netflix ha provato a fare con The Witcher e con il presto dimenticato reboot di Resident Evil, non trovando in nessuno dei due casi la formula giusta.

Il tutto in un momento in cui il grande cinema e quindi il grande pubblico stanno vivendo un momento in cui li mondo dei blockbuster propone una serie di titoli provenienti da proprietà intellettuali diverse e che utilizzano la narrazione della loro storia, del proprio marchio e dei propri simboli per proporsi sul grande schermo. Il primo titolo che viene in mente Barbie, il secondo è Lego –  The Movie, il terzo potrebbe benissimo essere Super Mario Bros. – Il film, guarda caso il maggior incasso di un adattamento videoludico sul grande schermo (più di un miliardo di dollari). Un successo che nasce dalla sua capacità di ragionare sulle radici della propria storia e sul senso del proprio immaginario per poi ricollocarlo all’interno di un contesto cinematografico che ha trovato delle regole precise per fare presa sugli spettatori. Questo, oltre che al nome più riconoscibile, è ciò che lo ha distinto da pellicole come quelle dedicate a Sonic. La chiave, ancora una volta, è stata la scelta dell’adattamento più corretto in virtù del mercato.

Da qui arriviamo alla serie del momento, Fallout (qui la nostra recensione) di Prime Video, che si piazza a metà tra i due casi sopracitati. La scelta è ancora quella del formato seriale, puntando su di un viaggio metatestuale, ma, a differenza di The Last of Us, questa volta si è deciso di non adattare rielaborando un percorso già attraversato dal videogioco, ma creando un qualcosa di nuovo all’interno di un immaginario ricostruito nel modo più fedele possibile, grazie a costumi, inquadrature, colonna sonora e scelte di registiche. L’idea vincente è ancora quella di riflettere sulla propria essenza e su ciò che per primo ha portato alla propria creazione. La storia creata da Robertson-Dworet e Wagner sfrutta le regole base del cinema per puntare dritto nel cuore dell’ideazione della serie videoludica, parlando così anche del contemporaneo. Ecco quello che vuole il mercato ed ecco come far felici i due tipi di pubblico con delle pretese a volte diametralmente opposte. Forse il blockbuster è uscito dalla crisi, di nuovo, manca il prossimo, decisivo, passo.

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