Facebook avrebbe deliberatamente fatto finta di non vedere i post di disinformazione degli ultraconservatori per non farsi accusare di faziosità.

Secondo a un report pubblicato ieri, primo novembre, dal Washington Post, l’azienda fondata da Mark Zuckerberg sarebbe arrivata ad annullare del tutto i suoi sistemi di fact-checking, pur di non scontentare il presidente Donald Trump e i suoi alleati.

Da sempre promotori dell’idea che le Big Tech siano esponenti della “sinistra radicale”, i Repubblicani più spinti e le destre alternative hanno infatti sostenuto pubblicamente l’idea che i social stiano cercando di porre un freno alla libertà di parola e alla libera informazione.

A seguito del caos elettorale statunitense del 2016, quando la Rete fu invasa e manipolata da “fake news” propagandistiche, sia Twitter che Facebook hanno infatti deciso di imporre un giro di vite che va a svantaggio di tutti quegli utenti che danno voce a danti antiscientifici e a illazioni sensazionaliste.

Un’effettiva censura, ma che, almeno su carta, non limita la circolazione di informazioni, qualora queste siano supportate da dati concreti. In altre parole, va bene tutto ciò che non sia complottismo o palese propaganda.

Twitter ha cercato di portare avanti una simile risoluzione in maniera solerte, arrivando a sbugiardare pubblicamente persino il presidente degli Stati Uniti, Facebook é stata invece decisamente più elastica, se non addirittura omertosa.

Stando alle testimonianze raccolte dal Washington Post, Facebook avrebbe deliberatamente annullato i flag di denuncia ricevuti dai post di disinformazione vergati dagli alleati e dai parenti di Donald Trump, così da salvaguardarli dalle conseguenze disciplinari previste dalla policy del social network.

Stando alle regole, infatti, coloro che spacciano ripetutamente per vere delle falsità dovrebbero vedere il proprio profilo, se non bloccato, perlomeno degradato al punto che difficilmente possa finire nei feed dei follower, cosa che limiterebbe non poco la circolazione delle bufale stesse.

Ebbene, dipendenti, ex-dipendenti e documenti interni della Big Tech denuncerebbero che questa policy sia stata applicata concretamente solo ai pesci piccoli e ai fake account, mentre personaggi di spicco quali Donald Trump Jr. vengono benedetti da uno scudo amministrativo.

Andrea Vallone, portavoce di Facebook, non ha negato la veridicità di quanto riportato dalla testata d’oltreoceano, limitandosi a suggerire che l’azienda sia “responsabile dell’applicazione delle regole” e che non occasionalmente possa “non applicare le penalità qualora la segnalazione non sia appropriata”.

Mike Ananny, professore dell’Università della Carolina del Sud, aveva riassunto una simile situazione già nel 2018, quando in una sua indagine aveva riportato come il sistema di fact-checking offerto da Facebook sia volutamente fallimentare “perché il business model richiede una scala, una velocità e un livello di partecipazione non corrispondente al controllo delle disinformazioni”.

 

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