Wim Wenders e il suo rapporto con il concetto di immagine da pittorica a cinematografica fino a quella fotografica.

 

Wim Wenders e il rapporto fra immagine statica e dinamica

Prima di dedicarsi al cinema Wenders voleva diventare un pittore.

Prima di dedicarsi al cinema Wenders voleva diventare un pittore. Quelle singole immagini incorniciate erano state una via di fuga infantile dalla Düsseldorf lacerata dalla guerra. Durante gli studi a Parigi si avvicinò al cinema, senza mai più separarsene.

Dall’immagine fissa passò all’immagine in movimento e, tramite il montaggio, alla costruzione del tempo. Solo nei primi anni 80 Wenders si avvicina alla fotografia in modo professionale. Si trova infatti a dover girare l’incipit di Paris,Texas e nel contemplare la vastità delle terre del sud ovest degli stati uniti, quegli orizzonti senza limiti o confini, si trova spiazzato e decide di voler comprendere quei luoghi, prima di iniziare a girare, utilizzando un altro strumento che catturi l’immagine.

Da qui nascono le sue prime fotografie, fatte non per cercare le location per il film, ma per comprendere le storie che quei paesaggi, visti fino ad allora solo nei film di Ford, sono in grado di raccontare.

Come dice lo stesso regista, quando il paesaggio fa da sfondo ad un personaggio è la sua storia che viene scritta, ma nel momento in cui il paesaggio è il solo protagonista come in uno scatto fotografico è il paesaggio stesso il protagonista e la voce narrante non di una, ma di tutte le vite che vi sono passate attraverso.
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Fotografie e fotografi nel cinema di Wim Wenders

Numerose sono le scene dei suoi film che rappresentano personaggi intenti a scattare fotografie o fotografi di professione veri e propri.

Numerose sono le scene dei suoi film che rappresentano personaggi intenti a scattare fotografie o fotografi di professione veri e propri. Ne Lo stato delle cose, oltre a numerose Polaroid, lo sceneggiatore del film nel film conserva foto di scena nel suo PC.

Appaiono le prime immagini elettroniche, la prime foto elaborate da un Apple 2 e stampabili, un processo avveniristico per l’epoca. In Paris,Texas gli unici effetti personali che ha con se il protagonista Travis sono un biglietto da visita, una foto del terreno che ha acquistato e una serie di fototessere della famiglia che vorrebbe ricongiungere e che è poi il fulcro della storia. Ne L’amico americano Dennis Hopper, nei panni di Ripley, scatta una dopo l’altra Polaroid su Polaroid, puntando la macchina verso se stesso e facendo quello che ora definiremmo un selfie.

In Alice nelle città troviamo il protagonista Felix sotto un pontile intento, sempre con una Polaroid, a scattare ripetutamente foto del mare della costa statunitense, una dopo l’altra, per poi fermarsi a contemplare il loro sviluppo con occhi interdetti.

In Wenders la foto è già uno sguardo su una terra al contempo mitizzata, ma che lo lascia desaturato di una identità. In nuce vi è già il discorso metacinematografico del ripetersi delle immagini con fini commerciali, che livellano inevitabilmente l’unicità artistica del singolo scatto, in un fluire di figure disinvolto quanto vacuo, che racconta un tempo che non viene percepito come vissuto visceralmente.

La rinuncia di Felix alla scrittura a favore della fotografia è anche la ricerca di una paradossale negazione di filtri personali, affidandosi ad uno strumento tecnologico per raccontare e al contempo negare la propria identità. La società occidentale è ormai a predominanza visiva e solo uno strumento che non alteri le forme del reale può aspirare ad uno sguardo obiettivo quanto estraniante.

Inoltre la polaroid, priva di un negativo, è un prodotto visivo irriproducibile, un esemplare unico che può aspirare pertanto, alla stessa stregua di un dipinto, ad una originalità, ad una capacità di interrompere il flusso inesorabile e degradante del tempo. Un tentativo, quello di Felix, di immortalare l’effimero per fermare lo scorrere di una realtà nella quale, come il regista tedesco, è in cerca di una identità, di quello sguardo che è inevitabilmente presente in una foto, pur non essendovi impresso.

In Palermo Shooting il protagonista è un fotografo di professione che si troverà a scontrarsi con il concetto di effimero e funesto. Nel film suddetto Wenders ragiona sulla fotografia contemporanea, che ha perduto la necessità che chi stia dietro la macchina sia il primo e più attendibile testimone della realtà. La possibilità di manipolare l’oggetto fotografico attraverso il digitale è responsabile di una rinuncia da parte di chi scatta al presente, a favore di una alterazione futura. Il tempo torna a scorrere inesorabile e traumatizzante anche sulla fotografia.

L’aspetto pionieristico di Wenders nel cinema (digitale, stereoscopico), non si rispecchia nella sua opera di fotografo, convinto che il digitale nel singolo frame sia l’antitesi del complesso rapporto che la fotografia ha con il tempo stesso. Le istantanee sono definite come una capsula del tempo, capace di raccontare passato, presente e futuro facendoli convergere in un singolo punto di fuga inteso in senso non solo tecnico, ma anche metafisico.

La fotografia per Wenders significa essere, nel più profondo dei suoi significati, lì e in quel momento, presente con la propria identità di sguardo su quell’attimo che va rispettato e vissuto con entusiasmo, perché frutto di una attesa di qualcosa di non ripetibile, di estremamente vitale e al contempo effigie della mortalità.

 

Il sale della terra e la fusione di cinema e fotografia

Arrivando al documentario Il sale della terra Wenders affronta qui direttamente la dicotomia fra le due forme espressive. Da una parte scruta attraverso l’occhio della telecamera, e quindi il suo sguardo di regista, le foto di Salgado, reinterpretando il linguaggio fotografico attraverso un altro obiettivo e armonizzando la staticità dello scatto nel movimento della macchina da presa.

Le due forme espressive ne Il sale della terra si incontrano e si intrecciano l’una con l’altra.

D’altro canto il regista tedesco rende lo stesso Salgado il narratore delle storie delle immagini che ha impresso. Il punto di vista opposto che è strutturato all’interno della fotografia, che guarda all’occhio del fotografo e lo descrive in senso inverso, senza che si manifesti materialmente, trova nel film di Wenders una sua rappresentazione fisica e i due media di comunicazione si fondono in un unico messaggio più amplio.