The Mule

La carriera di Clint Eastwood rappresenta quanto di più vicino al classicismo cinematografico si possa ancora ricercare. E con questo termine non si intende quel conservatorismo che trasforma tutto in statico e poco accattivante.

Al contrario, è un classicismo che serve ad Hollywood per esternare un modo di fare cinema che sta pian piano scomparendo. Nonostante alcune recenti uscite in grado di polarizzare totalmente il pubblico, vedasi il discusso (e per chi scrive anche mediocre) American Sniper, con The Mule il vecchio Clint torna all’essenza del suo cinema.

Così in un attimo ci troviamo a mettere insieme i pezzi di una pellicola che ricorda a più battute film come Gran Torino, ma in grado comunque di stravolgere totalmente la visione del vecchio scorbutico che da anni è impressa nella nostra memoria. I fatti sono romanzati a partire da un’inchiesta su un fatto realmente accaduto.

Ecco quindi che Earl Stone (Eastwood appunto) si materializza nell’animo di un novantenne floricoltore, sempre lontano dalla famiglia e incapace di dare peso alle sue responsabilità di marito e padre.

La breve serie di scene iniziali, hanno proprio lo scopo di presentarci un personaggio negativo, ma affabile e adulatore. Giusto il tempo di toccare queste sensazioni, per poi ritrovarci nella realtà di un’America mangiata dalla crisi, dalla quale anche il vecchio Earl non può sottrarsi.

Caduto in rovina, si ritroverà suo malgrado a diventare il principale corriere di un cartello messicano.

 

Sembrerebbe l’incipit di un qualsiasi film a tinte action-thriller che tanto piacciono alla Hollywood del botteghino.

Sembrerebbe l’incipit di un qualsiasi film a tinte action-thriller che tanto piacciono alla Hollywood del botteghino. Al contrario, la grande capacità di Eastwood è quella di costruire una pellicola amara, raccontandola con una leggerezza fuori dagli schemi.

Earl è un classico vecchietto lontano dalle realtà del suo tempo. Non sa inviare SMS, non permette ai trafficanti di “tagliare” il suo furgone per nascondere la droga e non ne vuole sapere di seguire tempi e percorsi assegnati.

Proprio queste sue caratteristiche ne fanno il corriere perfetto, quello insospettabile e al quale è possibile assegnare centinaia di chili di cocaina da trasportare da uno stato all’altro nel vano posteriore di un pick up.

 

 

Le due ore di film si susseguono scandite (intelligentemente) tra una corsa e l’altra, durante la quale una famiglia di colore diventa “voi negri”, come semplice constatazione di un uomo lontano dagli obblighi della facciata sociale del nostro tempo, e lo si racconta con una spensieratezza che viene replicata anche sullo schermo.

Earl non è cattivo, non è razzista e, men che meno, è un criminale.

È un semplice novantenne che ha girato una cinquantina di stati senza mai prendere una multa in vita sua, vivendo la vita, i paesaggi e gli incontri che questa gli ha regalato e che replica anche nel mezzo del suo lavoro da “mulo”.

 

Il classicismo della messa in scena, si contrappone quindi ad un’aria quasi surreale degli eventi raccontati, fino ad una risoluzione semplice e scontata ma che non vanifica il viaggio, e anzi lo valorizza.

Ogni scena presuppone l’arrivo della successiva, senza lungaggini e senza sussulti, ma con grazia e maestria registica e recitativa.

La contrapposizione tra il protagonista e l’antagonista funge da strumento per un montaggio alternato poco invasivo e incalzante, ma utile a mettere a confronto la natura “criminale” di un Eastwood che, a dispetto delle battute iniziali, è oramai un personaggio mai così positivo; con la determinazione di un agente della DEA che riconosce in lui il suo stesso possibile futuro, compatendolo e in qualche modo ammirandolo.

 

 

Per questo, nonostante le poche scene dedicate a Bradley Cooper, non si sente la necessità di sviluppare un personaggio che è, a dirla tutta così dannatamente simile allo stesso Earl.

Per questo, nonostante le poche scene dedicate a Bradley Cooper, non si sente la necessità di sviluppare un personaggio che è, a dirla tutta così dannatamente simile allo stesso Earl.

La straordinaria prova registica di Eastwood, quasi impallidisce di fronte alla capacità di districarsi ancora oggi dietro e davanti alla macchina da presa, alla soglia dei novantanni, ritrovandosi in scena per la quasi totalità del minutaggio.

Nonostante la scoperta della Pietra Filosofale, è evidente che l’Uomo Eastwood lanciato dal mai abbastanza compianto Sergio Leone, abbia ancora molto da dare a questa Hollywood, con la speranza di ritrovarlo al più presto al cinema con questa freschezza e questa capacità di sorprendere ed ammaliare.

 

 

 

 

The Mule – Il Corriere arriva nei cinema italiani il 7 febbraio.

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