Sempre più studenti italiani scelgono di trascorrere un’anno di liceo all’estero come “exchange students”, alcuni spinti dal desiderio di scoprire nuove culture, altri dal sogno di dieci mesi fatti di fancazzismo e ragazze facili. Mi chiamo Roberto, sono al termine della mia esperienza in Minnesota, Stati Uniti, e voglio raccontarvi la mia storia.

Due valige, una targhetta con il mio nome scarabocchiato sopra e parecchio entusiasmo: così arrivai a Minneapolis, Stati Uniti, l’8 Settembre dell’anno scorso. Ad aspettarmi un anziano signore di 71 anni, vedovo da meno di sei mesi e non particolarmente al passo coi tempi. Ecco a voi la mia “famiglia ospitante”.

Apriamo una piccola parentesi fin da subito: per essere studenti di scambio serve fortuna.

Fortuna nel passare la selezione, nell’essere assegnati ad uno Stato particolarmente interessante e nell’essere abbinati ad una “host family” che voglia realmente accogliere un ragazzo straniero e trattarlo come un membro del nucleo familiare.

Io, che sono stato “riserva” (a.k.a. puoi partire solo se qualcuno rifiuta) e che sono finito nello Stato più freddo d’America a casa di un vecchio alla ricerca di compagnia, di fortuna non ne ho avuta proprio tantissima.

 

 

Autumn aerial view of Minneapolis, Minnesota, taken from the south looking north of Lake of the Isles.

 

 

Le prime due settimane furono semplicemente stupende, qualsiasi cosa era affascinante e stimolante.

Le prime due settimane furono semplicemente stupende. Qualsiasi cosa era affascinante e stimolante, dalle enormi “highway” americane a cinque corsie fino ai temperamatite elettrici (che ancora non capisco perché non siano diffusi in Italia, sono comodissimi).

Persino il mio coinquilino non mi sembrava poi tanto male, e non mi dispiacevano le nostre cene a base di zuppa contornate da discussioni sulla Seconda Guerra Mondiale. Per non parlare della scuola, di cui adoravo la modernità e la creatività, oltre che l’incredibile semplicità in rapporto al liceo italiano.

Poi volete mettere cambiare classe ogni ora e dare del “tu” ai professori? Un sogno.

 

Southwest High School
Ad ottobre qualcosa però si ruppe. Iniziava a mancarmi la mia famiglia italiana, le partite a FIFA con mio fratello prima di cena, il pranzo tutti insieme parlando della propria giornata, persino le liti con mia madre. La casa mi sembrava vuota, senza vita, ed a scuola mi sentivo isolato, perché ovviamente dopo meno di un mese non è che avessi poi chissà quali amici. Buona parte di quel mese fu una lotta continua, tra incomprensioni linguistiche, nostalgia, solitudine ed una buona dose di “ma chi me l’ha fatto fare”.

Poi, un giorno qualsiasi di inizio Novembre, presi una decisione. Alzai la cornetta del telefono, chiamai la mia associazione e dissi:

Voglio cambiare famiglia, qui non posso più stare.

Ovviamente non fu una decisione facile, e non fu semplice neanche convincere l’organizzazione a spostarmi, ma alla fine ebbi la meglio. Evito di parlare del disagio provato durante la cena in cui dovetti comunicare al 71enne che stavo levando le tende e passo direttamente a quando entrai nella casa della nuova mia nuova famiglia.

Fu amore a prima vista, i genitori mi trattarono come un figlio e i figli come un fratello da quando misi piede nella loro abitazione, e ad oggi, a due settimane dal mio rientro in patria, posso affermare che non sarei potuto capitare in una famiglia migliore.

Quest’esperienza non è per tutti: è necessario essere determinati, coraggiosi, pazienti, aperti mentalmente e fortunati.

Evito di dilungarmi su descrizioni della scuola, degli Stati Uniti in generale e degli Americani, che rinvio magari ad un articolo futuro.

Ora, dopo aver passato dieci mesi lontano da casa ed aver visitato gran parte degli Stati Uniti (Da Los Angeles a Washington DC passando per Chicago) voglio darvi la mia opinione sul valore di un’anno all’estero.

 

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Quest’esperienza non è per tutti: è necessario essere determinati, coraggiosi, pazienti, aperti mentalmente e, come detto prima, fortunati. Se avete queste caratteristiche il mio consiglio è: provateci.

A diciassette anni niente ti fa crescere come passare un anno lontano da mamma e papà, costringendoti ad imparare una nuova lingua, fare nuove esperienze ed uscire dalla tua “comfort zone”, potendo contare solo su te stesso.