Torna su FOX, precisamente dal 25 Maggio, la serie tv creata da Chad Hodge e prodotta da M. Night Shaymalan, Wayward Pines. La serie, giunta alla sua seconda stagione, è basata sull’omonima trilogia di romanzi di Blake Crouch, che a sua volta si ispirò alla serie cult anni ’90 di David Lynch, I Segreti di Twin Peaks.
Fin dalla prima stagione si era capito fin troppo bene che Wayward Pines volesse ricalcare le atmosfere del cult di Lynch, sfruttando moltissimo la città come se fosse il personaggio principale del prodotto, senza però riuscire a ottenere gli effetti, e l’audience, dell'”originale”.
Nebbie, fitti boschi, una città fantasma estranea a qualsiasi forma di comunicazione al di fuori della sua barriera. Presenze inquietanti e sconosciute, misteri e segreti da scoprire ad ogni costo.
La città di Wayward Pines fa parte di quella categoria di luoghi protagonisti, quasi sempre oggetto di serie di genere mistery, basti anche solo pensare all’isola di Lost o al lago di Top of the lake, alla città di Broadchurch e, appunto, alla stessa Twin Peaks.
Inoltre, non fu difficile già dalla prima stagione riuscire a scovare lo zampino di Shaymalan. Il meccanismo principale, nonché l’elemento della comunità e il non voler far trapelare nulla oltre i confini della propria città, è alla base dello stesso processo creativo utilizzato nell’horror The Village.
Per chi non ha apprezzato il risvolto finale di The Village, sicuramente avrà apprezzato ancora meno la conclusione di Wayward Pines.
La serie non è di certo stata questo grande campione di ascolti sebbene sia partita con un discreto dinamismo e con vari elementi di mistero che trascinavano abbastanza l’attenzione dello spettatore nel vivo della narrazione.
Il vero problema è stata la dispersione di elementi e la troppa carne sul fuoco. Più andavano avanti gli episodi e più la confusione aumentava a livelli esponenziali dimenticando assolutamente quel fattore di intrigo che tanto è necessario in questo tipo di soggetto.
Molti gli interrogativi sollevati nel corso delle primissime puntate, ma che poi si sono persi nel corso della narrazione, chiudendo l’intera stagione lasciando dei veri e propri crateri nella trama. Non c’è assolutamente un lavoro decente di semina e raccolta e, spesso, i personaggi finiscono col diventare deliranti e ridondanti a causa della poca coerenza nello sviluppo dell’arco narrativo.
Un finale davvero frettoloso per una serie dalla buona intenzione ma dallo sviluppo veramente pessimo, il quale conferma, purtroppo, quella perdita totale di smalto che si è sempre più riscontrata negli ultimi lavori di Shaymalan.
Una serie, insomma, quella di Wayward Pines che si fa davvero poco volere bene e che ha lasciato moltissimi interdetti nello scoprire che FOX, facendo marcia indietro rispetto a quanto detto pochissimo dopo la messa in onda dell’ultimo episodio della prima stagione, avesse deciso di ordinare la seconda stagione.
E l’episodio iniziale di questa seconda stagione, affidata alle mani di Mark Friedman, si ricollega a quelli che sono stati gli ultimissimi secondi dell’ultimo episodio della prima stagione.
Per rinfrescare un po’ la memoria
Ethan Burke (Matt Dillon), agente dei servizi segreti, dopo aver scoperto di essere nel 4028, precisamente nella città di Wayward Pines, nata dalla mente di David Pilcher (Toby Jones) per poter salvare una piccola parte della popolazione mondiale destinata a estinguersi, porta avanti la sua personale battaglia contro la follia della città.
Gli orrori, sia fuori che dentro Wayward Pines, sono altri, e Ethan finisce con il sacrificarsi per poter uccidere i ferocissimi Abi, mutazione dell’uomo stesso a causa dei cambiamenti atmosferici della terra, e salvare la propria famiglia e l’intera città.
Il testimone passa a Ben (Charlie Than), figlio di Ethan, che a seguito di un incidente durante la tragica notte dell’assedio degli Abi, cade in uno stato comatoso.
Si risveglierà da quel coma solo tre anni dopo, per scoprire tristemente che il sacrifico del padre è servito a ben poco. Non sono gli Abi, infatti, l’unico pericolo di Wayward Pines.
Le regole sono cambiate e uno stile molto austero e severo regna sovrano.
Questo è l’effetto della prima generazione di Wayward Pines, cioè i nati e cresciuti nella città, educati solo esclusivamente per servire la causa: far vigere la pace a Wayward Pines a qualsiasi costo.
Un “nuovo” inizio
Questo pilot si apre proprio con quelli che sono stati i drastici cambiamenti apportati da questa prima generazione, introducendo anche i nuovi personaggi.
Ovviamente se non ci ripetiamo un po’ non siamo contenti, e visto che Ethan ormai è morto, ci deve essere un altro personaggio che porti scompiglio e sia causa di non pochi fastidi, ficcanasando in giro. Parlo del dottor Theo Yedlin (Jason Patric), il quale apre l’episodio con un flashback per poi risvegliarsi direttamente nell’inquietante Wayward Pines assieme alla moglie Rebecca (Nimrat Kaur).
Theo, durante una vacanza con la moglie, viene in contatto con uno dei personaggi principali della prima stagione, lo sceriffo Arnold Pope (Terrence Howard). Quelle che sembrano le parole deliranti di qualche bicchiere di troppo, come macchine per dormire mille anni, per poter salvare altrettante vite, assumeranno una drammatica consistenza veritiera.
Questo primo episodio, intitolato Enemy Lines e diretto da David Petrarca, si muove moltissimo tra il déjà vù della prima stagione e una tela bianca da poter ancora riempire.
Sicuramente il primo punto di svantaggio tra questo episodio e il pilot delle prima stagione risiede nel numero di informazioni. Theo si ritrova nella stessa assurda situazione di Ethan. Un posto sconosciuto nel quale non sa come ci è arrivato. Impossibile prendere aerei, treni, macchine. Impossibile mettersi in contatto telefonico con le città vicine.
La differenza, però, è che con Ethan scoprivamo le cose man mano che le scopriva lui, e questo faceva assumere alla serie quell’aurea di mistero, che spingeva lo spettatore a investigare, andare avanti nella visione per scoprire cosa la città, e i suoi abitanti, nascondessero.
Questa volta, invece, lo spettatore sa molto di più rispetto al protagonista, facendo perdere la catarsi dopo pochissimi minuti dall’inizio dell’episodio.
Quel poco che salvava Wayward Pines, cioè l’atmosfera mistery e quella sua connotazione tipicamente thriller, in questo esordio di seconda stagione viene totalmente a mancare.
Sembra che in questa stagione si voglia molto più sottolineare quell’idea di pensiero, già iniziatosi a definire nella prima stagione, di ideologia assoluta nei confronti di una razza perfetta.
Il giovanissimo Jason Higgis (Tom Stevens), nuovo sceriffo appartenente alla prima generazione, distorce totalmente il pensiero di David Pilcher, scatenando un vero e proprio bagno si sangue affinché Wayward Pines torni a essere quel paradiso iniziale.
Non provare ad andare via. Non parlare del passato. Non parlare della tua vita precedente. Rispondi sempre al telefono se squilla. Lavora sodo, sii felice. Goditi la vita a Wayward Pines.
A capeggiare e tirare i fili della fragile volontà di Jason, c’è la docente Megan Fisher (Hope Davis), grande ritorno della prima stagione, assieme a una breve comparsa di Kate (Carla Gugino), la quale continua a impartire le sue lezioni totalitarie anche al di fuori della scuola.
Questo Wayward Pines assume un’impronta molto più politica, ma meno incisiva. Nonostante una certa chiusura a effetto, che indubbiamente incuriosisce, il materiale che viene mostrato fino a questo momento è piuttosto deludente.
Certo, possiamo davvero sperare che la storia prenda una direzione totalmente differente, creando qualcosa di nuovo e che si distacchi del tutto dalla prima stagione. Il risultato potrebbe, addirittura sorprendere, ma se le premesse sono davvero queste, è davvero difficile riuscire a essere fiduciosi.
Ce la farà Mark Friedman a dare un senso a questa serie? Staremo a vedere.