Lo Hobbit, chiudiamo il cerchio

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Ho già parlato delle precedenti pellicole della saga de Lo Hobbit sulla Lega qui e qui finendo con lo scrivere un tremendo pippone sull’enorme differenza che sussiste tra il linguaggio letterario e cinematografico.

Dopo aver letto un sacco di commenti di spettatori che si sono soffermati su quelli che potevano essere difetti o difformità della terza pellicola rispetto all’opera originale  mi permetto di dare la mia personale opinione che va oltre la recensione e non ha la presunzione di esserlo.

Appartengo ad una generazione cinematograficamente parlando privilegiata

Chi segue i miei articoli dedicati a quelle che considero delle vere e proprie pietre miliari del cinema anni 80 ha capito che appartengo ad una generazione cinematograficamente parlando privilegiata.

Ho assistito alla prima proiezione di E.T. commuovendomi dinanzi un fantoccio di gomma con una luce rossa nel petto, ho riso nel vedere un pupazzo verde fosforescente mangiare dal vassoio del Sidewick Hotel e inzaccherare di ectoplasma un divertentissimo Bill Murray, ho ballato in sala assieme a David Bowie le note di magic dance circondato da goblin e orchetti  e ho fatto tutto questo consapevole del fatto che si trattasse di marionette o poco di più.

 

 

Crescendo ho iniziato a considerare il cinema per quello che è, un’arte della finzione finalizzata al puro intrattenimento, ma è una finzione che ha il pregio di sapermi trasportare all’interno della storia narrata fotogramma dopo fotogramma senza togliermi questa consapevolezza.

Il cinema è anche reinterpretazione.

Il cinema è anche reinterpretazione perché, come sempre quando ci troviamo dinanzi ad una pellicola tratta da un’opera letteraria il più delle volte siamo di fronte ad un lavoro che passa attraverso sceneggiatori, designer, caratteristi eccetera.

 

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Nel caso de Lo Hobbit l’opera di Tolkien è stata presa, reinterpretata, riletta e pubblicata, sotto nuova forma, attraverso gli occhi di chi ha tagliato personaggi e situazioni arricchendo il più possibile altre vicende per cercare di allungare il brodo.

Non dico di apprezzare il lavoro di Jackson, ma credo che in situazioni come questa non si possa far altro che rassegnarsi di fronte ad un adattamento che probabilmente molti avrebbero fatto in maniera differente (e che pochi comunque avrebbero davvero il coraggio o anche solo il mezzi per effettuare), sedersi e godersi lo spettacolo per quanto ci venga permesso di farlo!

 

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Lo Hobbit non ha tradito le mie aspettative.

Detto questo sento di poter dire che Lo Hobbit non ha tradito le mie aspettative. Lunedì scorso, dopo un periodo di feste non proprio rilassante ho finalmente visto il terzo capitolo che Peter Jackson ha estrapolato, volente o nolente, dall’opera di Tolkien e, come tradizione vuole, ad accompagnarmi c’era il mio amico di sempre, anch’egli grande fan dell’opera.

Siamo partiti entrambi con poche speranze per lo più causate dal soporifero capitolo centrale della saga ma fortunatamente Jackson, pur riprendendo la continuity esattamente dove era stata interrotta, fa capire immediatamente che qui il tono è differente.

 

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Il sadico volteggiare di Smaug sopra Pontelagolungo trasmette un’immediata sensazione di soggezione e impotenza tant’è che ho esultato assieme a Bard allo scoccare della sua ultima freccia.

Dopo un’introduzione davvero ben realizzata inizia l’ultimo capitolo, episodio più breve (nel libro la battaglia è descritta in 5-6 pagine) e forse anche il più dinamico dei tre  che non tradisce minimamente quanto preannunciato dal titolo.

La battaglia delle 5 armate è la vera protagonista dell’epilogo del racconto

Uno scontro epico in cui il dramma personale dei singoli personaggi, magistralmente reso preminente nella trilogia originaria, sembra svolgersi più di riflesso, quasi a ridursi ad un semplice contorno.

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gli scontri vanno oltre la sfera personale

Thorin è poco più di una macchietta nel suo emulare l’avidità di Gollum nella disperata ricerca dell’Arkengemma, e non vi è il minimo accenno al litigio che nel libro lo porta a scontrarsi con Dwalin.

Il carisma di Bard si spegne velocemente dopo un inizio travolgente e il suo categorico rifiuto a farsi appellare come nuovo Re sembra quasi dare una lettura diversa al suo personaggio.

Anche il dramma esistenziale di Thranduil sfuma velocemente sovrastato dal vero motore della pellicola, gli scontri che vanno oltre la sfera personale dei rispettivi rappresentanti degli eserciti.

Questa “conduzione di massa” che si respira per tutto il film da un lato mantiene molto alta l’epicità degli scontri collettivi, ma dall’altro rendo meno coinvolgenti i due duelli fondamentali che sul finale della pellicola portano alla reciproca sconfitta dei protagonisti.

 

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È chiaro che nel riadattare il romanzo si sia finito con tralasciare gran parte del significato letterario dell’opera per dare spazio alla spettacolarità. Il significato del viaggio di Bilbo viene accennato solo sul finale dove peraltro viene menzionato un funerale piuttosto importante che immagino ci verrà inevitabilmente propinato nella versione extended ad uso domestico.

Se davvero volessi ridurre il film potrei definirlo come uno scontro continuo in cui la massa di eserciti impegnati in coreografie belliche viene alternata da dei siparietti in cui Legolas fa le sue mosse ninja (oltre a fare il servo della gleba con Tauriel).

Visto che il mio intento era quello di divertirmi, ho provato ad andare oltre e alla fine, complice il metraggio ridotto, la fluidità dello shooting in 48 fps, le mazzate peggio che in un film di Bud Spencer, e il fatto che alla fine, seppur con numerose licenze e adattamenti, il cerchio di sei pellicole finisce col chiudersi, credo di aver raggiunto il mio intento.

 

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le creature digitali della Weta sono impeccabili

Sul comparto degli effetti speciali ho poco da dire proprio per quanto espresso in premessa, le creature digitali della Weta, prescindendo dallo stile con cui sono state realizzate, sono impeccabili e onestamente non ho trovato grandi difetti nelle scene di massa in cui viene evidenziata l’ossessiva coordinazione degli Elfi rispetto all’agire più impulsivo dei nani.

Si è vero, il più delle volte l’algida fluidità dei 48 fps con cui è stata filmata la pellicola non lascia alcun dubbio sull’artificialità di ambienti e personaggi, ma non sono ossessionato da questo aspetto.

Le differenze con la prima trilogia non penso che vadano sottolineate. Ci troviamo di fronte ad un progetto troppo distante, frutto di un’operazione del tutto commerciale e sorretto da un consulente che di cognome da Del Toro (e di cui si nota lo zampino per ogni caratterizzazione dei personaggi).

Il tono del racconto, spremuto fino all’osso per trarre questo trittico di pellicole, è profondamente differente da Il Signore degli Anelli e anche da ciò dipende la netta demarcazione tra i presonaggi della trilogia originaria e quelli presenti in qesta nuova opera.

 

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Posso giusto sottolineare che gran parte di quel che ho visto al cinema non l’ho mai letto sulle pagine del breve racconto di Tolkien, e all’opposto, in più di un’occasione ho cercato di vedere se e quando sarebbe riapparso Beorn, quando si sarebbe incoronato Bard o se si fosse trovato il modo di dare il giusto spessore alla relazione tra Kili e Tauriel.

Ho trovato La battaglia delle cinque armate coinvolgente

L’approccio che ho avuto è stato molto sereno, di chi ha voglia di godersela e di vedere proprio con che sfacciataggine gli sceneggiatori hanno stirato fino all’impossibile la trama ma non è stata questa mancanza di grandi aspettative a rendere la pellicola piacevole. Ho trovato La battaglia delle cinque armate coinvolgente.

 

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Ho condiviso la rabbia di Thorin, sostenuto Galadriel durante la sua estenuante lotta e mi sono esaltato moltissimo quando ho percepito l’alleanza tra nani ed elfi sul campo di battaglia.

Il sonoro l’aspetto che mi ha permesso di immedesimarmi di più.

Ciò che ha maggiormente contribuito a regalare emozione è il comparto sonoro: le battaglie sono un tripudio di sferragliamenti, grida e stridere di spade.

Forse più delle immagini è il suono l’aspetto che mi ha permesso di immedesimarmi di più, complice anche un Dolby perfettamente calibrato (e un ottimo impianto nel cinema in cui ho assistito alla proiezione).

Uscito dalla sala mi sono giusto chiesto se questa seconda trilogia lascerà un indelebile segno nei miei ricordi o se finirà nel mucchio di film visti.

Sebbene nel complesso Lo Hobbit continui comunque a non reggere il confronto con la trilogia originaria, il terzo capitolo ha il pregio di dare continuità ad una saga che sicuramente poteva essere adattata meglio, ma che tutto sommato, nonostante la profonda commercializzazione del prodotto, mi ha indubbiamente saputo regalare emozioni.

Non metterò il blu-ray de Lo Hobbit sul mio scaffale delle pietre miliari.

Non metterò il blu-ray de Lo Hobbit sul mio scaffale delle pietre miliari, ma lo acquisterò comunque, consapevole di essere caduto nel tranello commerciale che Jackson e soci hanno sapientemente architettato e confezionato… un tranello che comunque in parte ho apprezzato.

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