Giunge al terzo appuntamento il mio umile tentativo di spiegare come evitare le fallacie più comuni. Oltre a ringraziarvi per la calorosa risposta, vorrei appellarmi alla vostra pazienza. L’articolo di oggi sarà piuttosto lunghetto. Ci sarà una grossa ricompensa per chi avrà perseverato, ve lo prometto.

 

GBD03 – “Da quale pulpito!”

“Mangiare vegan è davvero salutare. L’ho letto sul libro di Salvor Hardin.”

“Salvor Hardin non è un nutrizionista né un esperto. Chiunque potrebbe scrivere un libro. Il tuo argomento non è valido.”

“Perché dovrei crederti? Tu sei un lercio vivisettore a cui piace il circo con gli animali. Assassino!”

“E questo cosa c’entra? Ciò non toglie che lui sia un ciarlatano!”

“Sarà anche un ciarlatano, ma qualcuno lo ascolta, quindi è autorevole! ‘Le Iene’ hanno trasmesso un servizio che…”

“Aaalt, non credere mai a quello che dicono in televisione. Sono baggianate belle e buone.”

“Potrei dire la stessa cosa dei tuoi scienziati. Chi li paga? Cosa ci guadagnano a dire fesserie? Essere vegan fa miracoli. Informati, ignorante!”

Il buon discorso è come un incontro di scherma.

Quando si discute, ognuno di noi porta con sé le armi che ritiene migliori – gli argomenti. A ogni arma, ovviamente, corrisponde un’area-bersaglio valida dove essa può colpire. Ogni volta che il nostro conversatore commette una fallacia, si apre una breccia nel suo discorso.

Colpire, però, non ci esime dall’eventualità di una contromossa difensiva da parte di chi vogliamo attaccare. Potremmo addirittura sbagliare l’attacco, evitando l’avversario.

Chi sta sbagliando ci permette di penetrare nelle sue difese, ma “toccare” nelle aree valide richiede un pizzico di raziocinio in più.

 

L’argomento ad hominem è una stoccata che manca il bersaglio.

 

È un attacco diretto, diffamatorio, vigliacco fino al midollo. Invece di ragionare sull’argomento al centro della discussione, ci si accanisce su chi abbia espresso un parere. Si tratta di un attacco mirato ad attaccare la sua credibilità.

Per farvi capire i suoi effetti devastanti, andremo indietro nel tempo.
Il 3 ottobre 2009 il giudice Raimondo Mesiano conferma in primo grado la condanna a Fininvest (oggi Mediaset) per la questione “Lodo Mondadori“. Il 15 ottobre, nel contenitore Mattino Cinque, Claudio Brachino lancia un servizio sul giudice.

Mentre viene ripreso a sua insaputa, la voce fuori campo definisce Mesiano “non un cittadino qualunque”, a cui vengono condannate “stravaganze” a cui “siamo abituati tutti”.

Oltre ad aver insinuato che la sua promozione fosse dovuta esclusivamente alla condanna a Berlusconi, la giornalista conclude sottolineando “un’ultima stranezza” di Mesiano: “camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzini turchesi”.

Tornati in studio, Brachino prosegue dando voce all’allora direttore de “il Giornale”, Alessandro Sallusti. Quest’ultimo rincara la dose ricordando un articolo pubblicato quello stesso giorno.

Il video del servizio è qui, per chi volesse vederlo – chiedo venia per la fonte, ma è l’unico video che sono riuscito a trovare con una decente qualità.

L’effetto di una mossa del genere è evidente. Non si discute sulle conseguenze mediatiche di una simile condanna. Al contrario, si evita l’argomento prediligendo un approccio di pura denigrazione. La persona è ridicolizzata, le caratteristiche personali sono soggette a un giudizio irrimediabilmente manipolato. Lo scopo è rimuovere ogni barlume di credibilità nell’interlocutore.

La domanda implicita è riassumibile in “Perché dobbiamo dare retta a uno che si veste in maniera così strana?”.

La fallacia sta nell’evitare l’argomento introducendone un altro basato esclusivamente sulla persona. Come se quella persona fosse la ragione per cui non dovremmo proseguire nel discorso.
Raimondomesiano2

Quello del servizio Mediaset, peraltro malvisto dall’Ordine dei Giornalisti, è un attacco che molti definirebbero come squisitamente politico. Nulla di più errato: è argomento di tutti i giorni.

Un buon ragionamento ha come bersaglio valido il singolo argomento, e solo quello.

Seminare il dubbio vuol dire testare le conoscenze della persona, nonché le proprie, in virtù del raggiungimento di una verità accettabile per entrambi gli interlocutori – non certo “la verità nel mezzo”.
Se si semina il dubbio su una persona, non si fa un buon discorso, né si aiuta a ragionare.
Si dimostra solo una gran vigliaccheria.

Mettere alla prova è il senso dell’esistenza del dubbio. Investigare, analizzare, ricercare, raccogliere prove, sviluppare nuove conoscenze: questi sono gli strumenti del buon ragionamento. È un bene dubitare, ma attenzione a non cadere nell’estremo: rifiutare in tronco una fonte data la sua provenienza o un “interesse”.

Avete presente quando parlano di troll pagati dai partiti per influenzare le opinioni dei votanti? O quando dicono che i medici sono pagati dalle aziende farmaceutiche per farci star male? Queste affermazioni attaccano indirettamente la persona. Chi muove queste accuse determina a priori l’impossibilità di ragionare in presenza di chi “nutre interessi personali”.

Ricordiamoci sempre che le preferenze in qualsiasi campo, siano esse in termini di politica, scienza, letteratura, musica e chi più ne abbia, più ne metta, non si traducono necessariamente in un “interesse” a parlar bene, o male, di qualsiasi cosa esuli da esse.

La conoscenza in merito a taluni argomenti può essere alimentata per diversi motivi, tutti certamente validi. Conoscere il background di una persona può aiutare a farsi un’idea del tipo di idee che essa può nutrire. Attaccare l’interlocutore perché “è di sinistra”, “è pro-immigrazione”, “è un vivisettore” o “perché non conosce la verità” è solo un modo come un altro per non voler affrontare il discorso.

Se proprio dovete smontare una persona, colpite le sue opinioni, ciò che esprime. Corroborate la vostra tesi con fatti, ricerche, prove oggettive, fonti valide. Soprattutto, accettate le correzioni e le critiche costruttive.
Sbagliando si impara. Imparando si insegna. Insegnando si aiuta chi sbaglia.

giulia-corsini-assassina-3Vorrei citare l’esempio di Giulia Corsini, consigliere di Pro-Test Italia. In questo periodo si fa un gran parlare della sperimentazione animale e sull’esistenza o meno di “cure alternative”. La Corsini, assieme a molti altri del gruppo Pro-Test Italia, ha tenuto molti dibattiti su questi argomenti. Com’è logico, erano aperti a tutti.

Invece di confrontarsi sull’utilità della sperimentazione animale o proporre alternative – partecipare, in sintesi – c’è chi ha preferito imbrattare i muri con la propria opinione.

Questo è niente. Ogni giorno la Corsini è sistematicamente vessata da sparuti personaggi che approfittano dell’anonimato di Internet per lanciare attacchi alla sua persona. Le accuse vanno da “sei Pro-Test, dunque vivisettrice, perciò assassina” a “ti pagano per difendere la scienza ka$ta”. Alcuni sono troll, altri invece credono in ciò che affermano. Per darvi un’idea della ripetitività di certi insulti e su quanto sia infondata questa fallacia, vi invito a chiedere l’amicizia al profilo della Corsini. Salutatela da parte mia, non siate cafoni.

Vogliamo parlare di un altro esempio pratico? Caterina Simonsen. Tempo fa Caterina ha espresso, tramite la pagina A Favore della Sperimentazione Animale, la gioia di essere viva anche grazie, appunto, alla sperimentazione animale. Un’affermazione molto forte, specialmente su un argomento “caldo”.
In questo caso il background delle sue esperienze aiuta a comprendere il perché di una posizione così forte. Per chi non la conoscesse, Caterina è affetta da quattro malattie genetiche rare, per le quali non esiste altro tipo di sperimentazione se non quella animale.
Ancora una volta, invece di ragionare sull’efficacia degli studi compiuti con questo tipo di sperimentazione, qualcuno ha pensato bene di accusarla di essere “il fantoccio delle multinazionali del farmaco”, di parlare “a nome dei crudeli vivisettori”. Ciliegina sulla torta: le minacce di morte.

Solo per aver espresso un’opinione.

Di recente è successo qualcosa di simile sul profilo della pornodiva Valentina Nappi. Potete cliccare, è SFW — ah, di nuovo, salutatela da parte mia, non siate cafoni.

Con l’altra mano, per favore.

Valentina si è espressa su cosa significa avere una “mente semplice”, quella che non va al di là del proprio naso. È un discorso stupendo che va dritto al punto, vi riporto giusto un estratto:

Le menti semplici hanno bisogno di concetti semplici. Solo questi ultimi sono chiari, non sono supercazzole. Napoli? Monnezza e fantasia! I romeni rubano. Ciò che è “naturale” non fa male. Le “cose chimiche” non sono naturali. I vecchi sono saggi, perché hanno esperienza. I maschi hanno il pisellino e le femmine la farfallina, secondo il Piano della Natura. Le pornostar hanno un QI più basso della media. La cucina della nonna è la migliore. L’euro fa aumentare i prezzi. Gli extracomunitari tolgono il lavoro agli italiani. Le banche sono associazioni a delinquere legalizzate. Potere uguale potere finanziario. Eccetera. Stronzata dopo stronzata.

Tutte queste stronzate nascono dal fatto che le menti semplici sono inadeguate alla comprensione di concetti che siano anche solo un po’ più articolati di “il cielo sta in alto, la terra sta in basso”. Purtroppo le menti semplici esistono. Sono, grosso modo, quelli che alle elementari non riuscivano a capire che 0,2 è maggiore di 0,10. Purtroppo, in democrazia anche le menti semplici votano e sono rappresentate. Quindi, anziché lasciar decidere agli esperti, si decide a maggioranza (facendo votare anche le suddette menti semplici) se gli OGM facciano male o meno, o se l’uscità dall’euro sia la soluzione giusta o meno per uscire dalla crisi economica. Questa è una cruda verità, già nota a Platone.

Alcuni pacifici avventori si sono sentiti vagamente insultati. Invece di rispondere all’argomento provandosi degni di quel prodigio chiamato ricchezza mentale, hanno sfornato diversi “cafolavori” per giustificare l’invalidità dell’argomento.

Ma che t’hanno preso a Repubblica?

Domanda facile: ma perché non ti limiti a svolgere il tuo divertente lavoro invece di addentrarti in discorsi su cui non sei ferrata?

Di’ a quel cretino del tuo fidanzato di smetterla di tediarci con queste fesserie. Lo sappiamo che non sai scrivere quattro parole in croce.

Motivo dietro questo livore? Valentina Nappi è “solo una pornodiva”.

La verità fa male, si sa.

Se Atene piange, però, Sparta non ride.

Può accadere che in una discussione si ponga il dubbio sulla validità di una fonte. Anche qui bisogna evitare di cadere nel classico errore “L’ha detto la TV/l’ho letto su Internet, allora è per forza una cavolata”. Questo tipo di fallacia non solleva una questione sulla veridicità della fonte, ma evoca a priori la “memoria negativa” (v. episodio precedente) che la circonda.

È nota la disinformazione operata dal programma Le Iene su alcuni argomenti scientifici. Il dubbio è stato sollevato anche in virtù della qualifica, proclamata dal programma, di “supereroi dell’informazione”.

Dopo la campagna mediatica iniziata con il caso Stamina, L” hanno proseguito con una perla dietro l’altra: The China Study “cura miracolosa” contro il cancro, l’autismo causato dai vaccini e l’opinione della De Petris su cancro e dieta vegetariana. Di quest’ultima collaboratrice, BUTAC ha trattato il motivo del suo licenziamento.

Badate bene come in tutti questi casi si è discusso di contenuti. È compito del debunker, come anche di chi dovrebbe occuparsi di una corretta informazione, confutare le affermazioni in base ai contenuti e alle premesse. Avere dubbi sulla fonte anche in base a errori precedenti è più che legittimo.

L’errore sta nell’attaccare sempre e comunque, anche quando chi discute ha comunque ragione su qualcosa.
Non che Le Iene abbiano ragione su The China Study, eh!

 

Spesso si crede che la ragione e il torto siano stati permanenti.

Una persona dice sempre la verità, oppure è sempre menzognero. Questa dicotomia manichea è quanto di più piatto possa esistere nel mondo della logica.

Ognuno di noi parte con alcune conoscenze pregresse acquisite nel corso degli anni. Queste conoscenze cambiano col passare del tempo: ci possono volere secondi, settimane, anni. Una volta cambiate, non è detto che rimangano inalterate fino alla fine dei nostri giorni. Cambiare opinione in base a un errore è difficile, ma è ancora più difficile ammettere di aver sbagliato.

Chi argomenta ad hominem in qualunque sua forma non vuole ammettere alcuna possibilità di errore. Si guarda solo il pulpito da cui viene la predica, non la “predica” in sé.

Ci si deve concentrare sugli argomenti, non sulla memoria negativa (o presunta tale) che questo o quello evoca. Data la facilità con la quale si può cadere in essa, nessuno è esente da questo tipo di fallacia. Diamine, anche io sono caduto in questa trappola nel primo articolo per Bufale un tanto al chilo! Uno parte dal presupposto che tutto ciò che si legge sia falso a priori… perché detto da Tizio, Caio o Sempronio, noti per quella fallacia!

Una mente aperta è una mente che accetta il confronto su qualsiasi campo e qualsiasi argomento, a prescindere da chi si pronuncia in merito.

In conclusione, nella scherma della logica, l’unica area valida dove attaccare è il contenuto espresso. Solo perché una persona dice il vero una volta, non vuol dire che dica sempre la verità. È vero il contrario: non è detto che chiunque commetta un errore in un ambito possa commetterlo anche in altri.

Siate coraggiosi. Lasciatevi “toccare” quando l’avversario ha ragione.

A proposito, buon appetito.

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(ve l’avevo promesso, no?)

 

 

Come ragionare bene, ovvero: una guida semiseria al buon discorso

Questo articolo è parte di una serie:

  1. Effetto Domino
  2. Dell’autorità e dei sentimenti
  3. Da quale pulpito!