Le Veneri semidistese nell’arte

Nella storia dell’arte ci si può spesso imbattere in soggetti ricorrenti: la Venere semi distesa è uno di essi. Dal XVI secolo ai primi anni del Novecento molti artisti si sono cimentati nella sua rappresentazione.

Venere, corrispondente alla greca Afrodite, è la divinità dell’amore, della bellezza e della fertilità. Si tratta dunque di un soggetto sicuramente interessante per un artista.

In questo articolo analizzeremo alcune opere in cui la dea è ritratta semi distesa: si tratta di una sorta di leitmotiv nella storia dell’ arte che ha probabilmente origine nel Veneto del XVI secolo.

Le prime raffigurazioni di Venere risalgono all’antica Grecia, se escludiamo le effigi delle divinità corrispondenti di cui abbiamo testimonianze antiche quasi quanto l’ umanità.

Nel corso dei secoli la dea dell’ amore è divenuta perlopiù simbolo della bellezza ideale, più che un’ entità sovrannaturale; nonostante ciò, il suo culto è ancora vivo, non più come una fede religiosa, bensì come la tendenza al bello.

Gli artisti sotto elencati infatti non miravano a ritrarre Venere in quanto dea, ma in quanto simbolo eterno dello splendore estetico.

 

 

 

1509, Venere Dormiente

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Dipinta da Giorgione e terminata dall’allievo Tiziano, è la prima Venere semi distesa. Il capo che poggia sul braccio destro (adagiato su un panneggio), la mano sinistra sul pube e le gambe incrociate sono gli elementi che verranno ripresi dagli artisti postumi.

Il pittore veneto rappresenta la dea con gli occhi chiusi per evidenziarne l’innocenza e l’inconsapevolezza di essere osservata.

Sullo sfondo si vede un paesaggio bucolico dai colori tenui. Non sono presenti altri soggetti umani.

 

 

1538, Venere di Urbino

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Qualche decennio più tardi, Tiziano riprende il soggetto del maestro e, emulandone lo schema compositivo, realizza la propria Venere.

Si può notare la corrispondenza cromatica tra i due dipinti (i tessuti rossi e bianchi, la presenza del verde, lo sfondo dalle tinte meno accese). In questo caso però la Venere è più che consapevole di essere osservata e risponde con uno sguardo provocante e affatto ingenuo.

La scena si svolge in un ambiente chiuso e sullo sfondo si notano due domestiche intente a scegliere il vestito per la donna (moglie del duca di Urbino).

 

 

1650, Venere allo Specchio

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Durante il suo secondo viaggio a Roma, Velázquez ritrae la sua amante Flaminia Triunfi come una Venere intenta a rimirarsi ad uno specchio retto da Cupido.

La sua posizione non differisce da quella dei dipinti precedenti, ma l’ artista spagnolo rappresenta la donna di spalle, permettendoci di vedere solo il riflesso del volto della donna.

Questo dipinto e la Maja Desnuda (altro esempio di Venere semidistesa) di Goya sono gli unici nudi rinvenutici dell’ arte spagnola, che per diversi secoli è stata visibilmente condizionata dall’Inquisizione.

Ci ritroviamo di nuovo in un ambiente interno.

 

 

1808, Paolina Borghese

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Canova realizza Paolina Borghese come Venere Vincitrice per Camillo Borghese, il marito della sorella della zia del nonno del fatello di Napoleone Bonaparte. L’opera si riferisce al momento in cui Paride, valutando Afrodite la dea più bella, le dà il pomo della vittoria che possiamo vedere nella sua mano sinistra.

La donna è stesa su un triclinio e mostra il suo corpo con fierezza: il panneggio che le copre la parte inferiore del corpo ricade in modo da rivelare la fine della schiena e parte del pube. Il soggetto risulta molto più sensuale di quelli precedenti, che sono completamente nudi: ciò si deve al gioco di vedo-non vedo dovuto al lembo di tessuto.

Come se non bastasse, la scultura contiene al suo interno un meccanismo in grado di farla ruotare su se stessa, in modo che sia Paolina a rivelarsi all’ osservatore, e non quest’ ultimo a girarle attorno per scoprirne le fattezze. Se la Venere di Urbino era ben poco innocente, quella di Canova lo è ancor di meno.

 

 

 

1814, la Grande Odalisca

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Nel corso del suo percorso il pittore francese Ingres realizza diverse Odalische. Quella che vediamo sopra è forse la più famosa. I riferimenti al mondo esotico sono più che evidenti: vediamo un ventaglio di piume di pavone, una pipa per l’ oppio,  tessuti dalle decorazioni orientaleggianti, il turbante della ragazza…

Osservando con attenzione ci si rende conto delle sproporzioni presenti nel corpo della fanciulla. Si tratta di un ritorno allo stile manierista, che prevede anomalie del genere finalizzate a rendere le figure più allungate senza però intaccare la loro bellezza.

La protagonista del dipinto nasconde le proprie grazie, forse si tratta di un artificio usato da Ingres per rappresentarne la verginità; inoltre non è possibile vedere per intero il suo viso, poiché è di tre quarti e la luce ne illumina solo una parte.

Non si tratta esattamente di una Venere, ma lo schema compositivo è il medesimo.

 

 

 

1863, Olympia

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Molto meno vergine è l’Olympia di Manet, visto che si tratta di una prostituta. Il pittore riprende l’ ambientazione della Venere di Urbino: ritroviamo infatti le lenzuola bianche, il panneggio verde a sinistra, ma anche il tessuto rosso, qui solo accennato nel materasso; compare nuovamente una domestica.

Un altro elemento in comune con il dipinto di Tiziano è l’ animale in fondo al letto: l’ artista veneto rappresenta un cane (simbolo di fedeltà coniugale), Manet un gatto nero.

 

 

 

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