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« Uomo dell’aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni »
[b]Man on Wire[/b] è un film del 2008 diretto da [url=http://it.wikipedia.org/wiki/James_Marsh_(regista)]James Marsh[/url]. Il film, basato sul libro [url=http://www.ibs.it/code/9788850211395/petit-philippe/toccare-nuvole.html]Toccare le Nuvole[/url], narra la vita e l’impresa del funambolo Philippe Petit, che nel 1974 camminò in equilibrio su un cavo metallico teso tra le Torri Gemelle del World Trade Center.
[title]Il film[/title]
Parrebbbe facile raccontare, emozionare e sviluppare nell’arco di due ore la storia dell’uomo che nel 1974 percorse otto volte una fune tesa fra le Torri Gemelle, noncurante della folla radunata sotto, beffandosi della polizia, giocando come un bambino a quattrocento metri di altezza.
Accetta la sfida il regista James Marsh, e confeziona un prodotto meticoloso, che stupisce, emoziona, fa trattenere il fiato e mantiene un senso di stupore per tutta la durata della pellicola. Questo grazie alla scelta di alternare la pianificazione dell’impresa alle precedenti esperienze di Petit, ad interviste con lo stesso, a riprese dell’epoca. Ciò che manca viene filmato da Marsh su un set, creando una costante continuità visiva. Ed è impossibile non abbandonarsi alla bellezza e poesia delle immagini, orchestrate da un montaggio scorrevole che apre la pellicola mostrando la costruzione delle Torri Gemelle, l’inizio del sogno e dell’ossessione di Petit, l’obiettivo per il quale sarebbe stato disposto a mettere in gioco tutto quanto, persino la sua stessa vita.
[title]L’impresa di Philippe Petit[/title]
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Petit aveva già avuto modo di testare su campo il suo infinito amore per il funambolismo, camminando fra le torri di Notre Dame o quelle del Sidney Harbour Bridge. Definire la preparazione dell’attraversamento delle Torri meticolosa è un pallido eufemismo: ogni fase fu pianificata alla perfezione, ripetuta allo stremo. Petit allestì un cavo della stessa lunghezza in Francia, esercitandosi ogni giorno facendosi aiutare dagli amici, che simulavano il vento e le intemperie attraverso movimenti e torsioni del cavo. A questo seguirono l’arrivare in cima alle Torri, i passaporti falsi, il trasporto dell’attrezzatura, la stesura del cavo.
E ce la fece, a dispetto della polizia che lo attendeva per arrestarlo fra una torre e l’altra, sbeffeggiata continuamente dal funambolo che, fingendo di scendere, si girava e ricominciava il suo volo fra le nuvole. Scese solo dopo quarantacinque minuti, dopo otto attraversamenti, dopo essersi sdraiato sul cavo e aver osservato il cielo.
Il tempo si sospende, un paio di frasi di Petit in voiceover descrivono la situazione, ma non ce n’è realmente bisogno. La linea stilizzata del cavo e la silhouette delle torri che si stagliano contro il cielo azzurro, accompagnate dalla prima Gymnopédie di Satie sono poesia pura, e valgono da sole la visione del film.
Sotto ogni punto di vista “Man on Wire” è un prodotto eccellente, registicamente e tecnicamente impeccabile, mi sento di consigliarne la visione a chiunque.
Per chi volesse saperne di più, uno dei libri più esaurienti sull’arte del funambolismo e non, edito dallo stesso Petit.