La Passione in Calabria

L’articolo di Francesco sulla crocifissione mi ha fatto tornare in mente un servizio visto in TV qualche anno fa.

Anche da noi in Italia, seppur in forma ridotta, abbiamo le nostre belle tradizioni che da secoli ci fanno paura accompagnano durante la settimana santa.
In particolare vorrei parlarvi di una rito pagano religioso molto antico, che ha luogo a Nocera Terinese, un piccolo paesino di 4000 anime in provincia di Catanzaro: il rito dei “Vattienti”.
Questa è la descrizione che ne ha dato Ernesto Pontieri, uno storico nativo di Nocera Terinese :

I vattienti sono uomini che adempiono il voto o praticano la devozione, una volta tramandata da padre in figlio, di flagellarsi pubblicamente, a cio’ mossi dall’intento di castigare la carne, strumento del peccato, e di unirsi spiritualmente a Cristo nelle sofferenze che precedettero la sua crocefissione.

Il rito in sé è abbastanza semplice ma d’impatto: il fedele, per grazia ricevuta o per voto, si flagella le gambe per le vie della città, seguendo e incrociando il percorso della statua dell’Addolorata portata contemporaneamente in processione.

Il vattiente è vestito con una maglietta nera ed un pantaloncino nero rimboccato fino ai fianchi. Ha inoltre in testa una corona di spine di “Sparacogna” (cespuglio spinoso degli asparagi selvatici) che poggia su una bandana nera detta “Mannile”.
Gli strumenti utilizzati per il supplizio sono due: il “Cardo” e la “Rosa”: il primo è un disco di sughero sul quale sono incollati tredici pezzi di vetro (il Cristo più i 12 Apostoli) e viene utilizzato per produrre le lacerazioni. Il secondo è invece ben levigato e viene utilizzato per raccogliere il sangue e spargerlo per terra oppure lasciare un’impronta nelle pareti delle case di amici o parenti, o davanti le chiese che segnano il percorso.

Il vattiente non è solo. È legato attraverso una corda all’Acciomu (Ecce Homo). Questa figura è solitamente un parente o comunque una persona molto vicina al devoto, vestita con un drappo rosso che ne lascia nudo il torace e una corona di spine. Sulle spalle porta una croce interamente rivestita con strisce di panno rosso.

La terza figura che partecipa attivamente al rito è un amico del flagellante, che porta in processione una tanica di vino rosso e aceto da versare sulle parti insanguinate, sia come disinfettante, sia come lavaggio anti-cicatrizzazione.

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Nonostante la semplicità è un rito altamente simbolico dove tutto (abbigliamento, strumenti di supplizio ecc.) è rigidamente definito e riprende alcuni passi delle scritture:

La corda che lega i due soggetti principali rappresenta il legame spirituale tra la natura terrena (il vattiente) e quella divina (l’Acciomu) di Cristo.

Il segnare le case ricorda un passaggio dell’antico testamento nel quale alle case marchiate dal sangue dell’agnello sacrificato fu risparmiata il flagello della morte del primogenito (ricordate le piaghe di Mosè?).

L’azione del lavare il sangue del vattiente con il vino raffigura il Giovedì Santo: il sangue si mescola con il vino, è la rappresentazione dell’Eucarestia.

I drappi rossi della croce dell’Acciomu rappresentano il sangue versato da Cristo durante la flagellazione ad opera di Ponzio Pilato.
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Sapevatelo!

Fonti : Qui, Quo e Quà.

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