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[b]Il primo caso di Aids
29 anni fa la prima diagnosi: la malattia è letale e si diffonde rapidamente. E il mondo ancora non se ne è liberato[/b]
Nel mondo ci sono [b]33,3 milioni di persone[/b] che convivono con l’ [b]Hiv[/b], 2,5 hanno meno di 15 anni. La battaglia è cominciata ufficialmente [b]29 anni fa[/b] quando l’ [b]1 dicembre 1981[/b] viene diagnosticato il [b]primo caso di Aids[/b], o sindrome da immunodeficienza acquisita. La malattia è letale, colpisce una popolazione molto giovane e si diffonde rapidamente. Inizialmente viene riscontrata soprattutto in [b]giovani maschi omosessuali[/b], ma ben presto è evidente che non è appannaggio esclusivo dei gay: ne sono colpiti anche molti emofiliaci e tossicodipendenti che spesso si scambiano tra loro le siringhe necessarie alla somministrazione degli stupefacenti. Ma anche eterosessuali senza dipendenze.
Nel 1982 i casi di Aids negli Usa salgono a 1.614 e le morti a 619. Nuovi casi sono diagnosticati ogni giorno in diverse parti del mondo: è un’epidemia che giaceva silente nell’ignoranza della medicina. La ricerca però si muove, e si apprendono nuovi dettagli: è una malattia infettiva che distrugge il [b]sistema immunitario[/b] rendendo l’organismo vulnerabile all’attacco di virus e batteri, come per esempio quelli responsabili della tubercolosi (ancora oggi il 25 per cento dei decessi per tbc riguarda pazienti sieropositivi). Nel 1984, finalmente, [b]Luc Montagnier[/b] e [b]Francoise Barre-Sinoussi[/b] isolano e coltivano cellule prelevate dai linfonodi ingrossati dei pazienti e identificano il responsabile: il virus dell’immunodeficienza umana (o human immunodeficency virus) alias [b]Hiv[/b] (i due vinceranno il premio Nobel per la medicina grazie a questa scoperta). Il virus si trasmette per via sessuale e attraverso il sangue infetto.
Da allora si è scoperto molto sull’Aids e sul virus che la provoca. Intanto si è scoperto che a colpire l’essere umano sono due varianti del virus, [b]Hiv1[/b] e [b]Hiv2[/b]; che probabilmente – come ipotizzato a partire dalla fine degli anni ’90 – il virus ha fatto un [b]salto di specie[/b] dalle scimmie (il cui virus Siv risale a decine di migliaia di anni fa) a noi, e che questa barriera è stata infranta almeno un centinaio di anni fa (secondo un recente studio pubblicato su Nature, addirittura tra il 1884 e il 1924). Lo scorso anno, poi, il genoma del Siv è stato completamente decodificato, aprendo le porte a nuovi studi.
Nel frattempo anche la medicina è andata avanti: un semplice test del sangue permette di diagnosticare l’infezione entro sei mesi da quando è avvenuta, consentendo di cominciare presto le terapie chiamate [b]antiretrovirali[/b] (HAART), combinazioni di farmaci che consentono alle persone colpite dal virus di [b]vivere molti anni[/b] con una buona qualità della vita e di rallentare la comparsa e il decorso della malattia.
Numerosi gruppi di ricerca sono a lavoro su possibili vaccini e terapie preventive e, grazie ai trattamenti disponibili, genitori sieropositivi possono mettere al mondo figli sani.
Dal 1 dicembre 1988, [b]prima giornata mondiale contro l’Aids[/b], molto è stato fatto anche in termini di [b]prevenzione[/b]. Il [b]preservativo[/b] è l’arma principale per evitare l’infezione attraverso un rapporto sessuale. Negli ospedali e nelle strutture sanitarie, l’uso di strumenti sterili è costante e il sangue delle trasfusione viene sempre controllato.
Purtroppo le cure sono [b]molto costose[/b] e non raggiungono la maggior parte della popolazione mondiale colpita: quella che vive nei [b]Paesi in via di sviluppo[/b]. In queste nazioni, soprattutto nell’ [b]Africa Sub-sahariana[/b], in [b]Asia[/b], in [b]India[/b] e in [b]Medio Oriente[/b], l’incidenza dell’infezione è altissima, manca completamente l’assistenza sanitaria e sono colpiti soprattutto donne e bambini (che nascono già sieropositivi). Qui, l’uso del profilattico per motivi religiosi, culturali ed economici è praticamente pari a zero.
Tuttavia anche in queste aree del mondo grazie a interventi mirati, spesso con il supporto di associazioni no-profit internazionali, grazie a campagne di prevenzione e a una maggiore consapevolezza, dal 2001 al 2009 l’incidenza del virus è [b]diminuita del 25[/b] per cento in 22 paesi subsahariani e anche in India e nel sud est asiatico, stando al [url=http://www.unaids.org/globalreport/]rapporto 2010[/url] del [url=http://www.unaids.org/en/splash.html]Programma dell’Onu per l’Aids (Unaids)[/url] presentato pochi giorni fa. Il direttore esecutivo dell’Unaids, [b]Michel Sidibe[/b] ha sottolineato che per la prima volta quest’anno [b]il numero dei nuovi casi e dei decessi è diminuito[/b]. Negli ultimi dieci anni, i nuovi casi di contagio si sono ridotti di circa il 20 per cento a livello globale, mentre negli ultimi cinque anni anche i morti si sono ridotti del 20 per cento.
La stessa indagine mostra, invece, un dato allarmante: è negli[b] Usa [/b]e in [b]Europa occidentale[/b] che l’incidenza delle infezioni è rimasta [b]quasi invariata[/b]. Corresponsabile una crescente [b]indifferenza[/b] e [b]cattiva informazione[/b], soprattutto tra i giovani. Per esempio in Rete se ne parla molto poco: secondo un rapporto dell ‘[url=http://www.eikonspa.com/index.html]Istituto Eikon[/url] del 2008 nei blog, forum e newsgroup frequentati da almeno 14 milioni di italiani, su 24 milioni di utenti complessivi della rete, di questa malattia si parla poco, e al di fuori dei forum specializzati, chi ne parla non si sente coinvolto o minacciato. Ritenendo il problema appannaggio di paesi lontani o categorie ben precise di persone, molte persone non si sottopongono ai test e così molti di quanti sono colpiti dal virus in Occidente, non lo sanno neanche.[/quote]
[url=http://daily.wired.it/news/scienza/primo-caso-aids.html#content]Via Wired.it[/url]
Su [url=http://it.wikipedia.org/wiki/AIDS]Wikipedia[/url] tutte le altre informazioni.