I Manetti Bros. sono un simbolo italiano del cinema di genere, da Zora la vampira fino ad arrivare alla trilogia di Diabolik il duo formato da Marco e Antonio ha ridato vita al noir, al thriller ed al cinecomic italiano in un periodo di vuoto sul grande schermo. Abbiamo avuto la possibilità di intervistarli durante lo Stretto Film Festival (svoltosi a Palmi dal 2 al 4 agosto).
Con i Manetti Bros. abbiamo parlato di Diabolik, di cinecomics, di Marvel Cinematic Universe, del loro prossimo film ambientato a Palmi, e della loro attività da produttori. Proprio durante lo Stretto Film Festival i due filmmaker hanno presentato il lungometraggio Non Riattaccare, una storia drammatica ambientata durante il periodo del Covid.
Ecco il report dell’intervista ai Manetti Bros.
Dopo Diabolik state lavorando al film U.S. Palmese. Sentivate il bisogno di gestire un progetto più piccolo e con meno pressioni?
Marco: Sentivamo il bisogno di fare una cosa nostra, non nel senso che Diabolik non fosse nostro, ma volevamo un qualcosa che avesse meno legami e che non fosse derivativo. Diabolik, sotto questo punto di vista, esisteva già.
Cosa vi è rimasto dentro dell’esperienza con la trilogia cinematografica di Diabolik?
Antonio: Direi tanto. Per la prima volta abbiamo fatto un film per il cinema che non partiva da un’idea originale nostra. Avevamo a che fare con un personaggio che aveva altri creatori ed è stata una grossa responsabilità. Ci abbiamo lavorato con tanta attenzione, ancora maggiore rispetto a quelle riservata alle nostre produzioni, proprio perché non era materiale che ci apparteneva. E poi questa esperienza ci ha lasciato l’orgoglio di essere entrati nella famiglia Diabolik, ed allo stesso tempo abbiamo allargato quella di Astorina.
Fareste un altro progetto cinecomic, magari con la Sergio Bonelli?
Marco: La Sergio Bonelli ha a disposizione personaggi come Dylan Dog, Zagor, Martin Mystere. Sarebbe bello lavorare con figure del genere, però ora come ora ci va di fare cose un po’ più nostre. Dobbiamo dire che sia Tex che Martin Mystere sono passati dalle nostre fantasie, ma per quanto riguarda altri character non SBE vorremmo fare un film su Alan Ford, e poi sogniamo da sempre di creare un adattamento del manga Mai, the Psychic Girl.
Da cineasti e da nerd, pensate che il ritorno di Robert Downey Jr. nel Marvel Cinematic Universe sia una mossa disperata, oppure geniale?
Marco: L’MCU ha perso un po’ di grinta ma, banalmente, il problema principale è che si sono esauriti i supereroi più interessanti, e forse è più giusto che ritornino figure come Iron Man e Captain America. Però posso dire che, secondo me, è una mossa geniale, ho un sacco di voglia di vedere il Dottor Destino di Robert Downey Jr., anche perché è il mio villain preferito.
Antonio: Secondo me è una mossa disperata.
Il cinema italiano di genere può avere ancora uno spazio importante?
Marco: Il cinema di genere avrà spazio quando smetterà di essere definito come tale. Bisogna smettere di considerare il cinema di genere come un qualcosa di particolare. Quando fare un film di genere diventerà una cosa normale sarà tutto superato. Noi e Mainetti abbiamo aiutato a superare certe barriere negli ultimi tempi, perciò credo che oggi il genere abbia voce in capitolo. Negli anni Settanta il cinema di genere aveva più spazio anche perché all’epoca le produzioni osavano in maniera maggiore.
Potrebbe essere un problema che nasce dal legame creatosi dagli anni Ottanta tra produzioni cinematografiche e televisione?
Antonio: Il problema non è la televisione, è il finanziamento statale che è nato in quegli anni che ha demarcato il cinema da un certo punto in poi. Per tanto tempo i finanziamenti sono andati solo ai film d’autore. Adesso il finanziamento statale non dà soldi solo a quei progetti, e lo dimostra il fatto che la Rai abbia finanziato anche le nostre produzioni.
Marco: La televisione non è un problema. Parliamo di un mezzo che ha permesso di far venire fuori in un periodo in cui il cinema italiano di genere non esisteva un qualcosa come La Piovra, che è un poliziesco. Pure il nostro Coliandro nasce in televisione.
Allo Stretto Film Festival avete presentato Non Riattaccare, un progetto in cu siete coinvolti in qualità di produttori. Con la vostra casa di produzione che tipo di film andate a cercare?
Antonio: Ci interessano di più gli autori che i progetti. Noi cerchiamo di creare un rapporto ed una fiducia nei confronti di un autore.
Marco: Non so se sia bello fare il produttore, ma la bellezza di produrre sta nel permettere di far uscire fuori dei film che non sono nelle proprio corde. Noi non siamo in grado di fare qualsiasi film che ci piace vedere, ma come produttori possiamo farlo. Ed il titolo che abbiamo presentato qui a Palmi ci permette di avere a disposizione un progetto di un regista con un tocco delicato che a noi non appartiene.
Durante il dibattito in cui i Manetti Bros. sono stati protagonisti nel corso dello Stretto Film Festival, i due filmmaker hanno raccontato che il loro prossimo film, U.S. Palmese, è anche frutto del loro affetto per Palmi, città natale della madre.
Abbiamo girato un film a Palmi per stare più vicini a nostra madre- hanno raccontato- ma, in generale, questo luogo è a noi caro, anche perché da piccoli trascorrevamo qui le estati, e guardavamo più film a Palmi che a Roma.
La circolarità della vita, il ritorno alle radici, il valore delle passioni. Questi sono alcuni degli elementi che sono usciti fuori attraverso un prezioso incontro con i maestri del cinema di genere, i Manetti Bros.